di Sebastiano Gaglione
È meglio vivere una vita quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita?
Una questione, questa, non da poco conto e la cui risposta non appare così scontata, soprattutto in relazione alla prospettiva offertaci dall’età moderna.
Tutti vorrebbero considerare fotografabile ogni momento della propria vita, ma la realtà dei fatti ci presenta una scomoda verità che facciamo fatica ad ammettere.
Vivere il momento o fotografarlo? Certo, sulla carta per rendere fotografabile un momento vuol dire che lo si è vissuto, ma ne siamo davvero sicuri?
Ebbene, forse l’ultima frase andrebbe riformulata, perché rendere fotografabile un momento non vuol dire necessariamente averlo vissuto, ma che si ha avuta l’opportunità di viverlo.
La vera domanda, quindi, è la seguente: siamo soliti sfruttare tale opportunità, vivendo i bei momenti che la vita ci offre, pienamente?
In passato, c’è stato un tempo in cui gli smartphone non esistevano. Ad esistere, invece, erano le vecchie macchine fotografiche a rullino. Molte di queste erano le famose Polaroid (tornate in voga soprattutto negli ultimi anni per la gioia dei puristi della fotografia istantanea).
La bellezza di tali macchine, risiedeva proprio nei loro limiti: il fatto di esser vincolati da un numero limitato di foto scattabili, attribuiva un peso totalmente differente all’acquisizione dell’immagine; un’importanza notevole ad ogni singola foto, rispetto ai nostri giorni in cui, invece, è possibile scattare con il proprio smartphone una quantità di foto pressoché “illimitata”.
L’ideazione stessa della fotografia risiedeva nel mirare ad ottenere, tramite un semplice scatto, una stampa cartacea del soggetto ripreso. Immortalare un momento, equivaleva a creare un ricordo.
Un reperto del proprio passato, attraverso il quale poter rimembrare i momenti cari: una giornata di mare, una passeggiata in montagna, un’occasione particolare ecc.
C’era molto sentimento in quel pezzo di carta lucida acquisito: un calore affettivo permeato dall’unicità. Tutt’altra cosa, rispetto agli scatti freddi e digitali di oggi.
Il fine ultimo della fotografia era proprio quello di “ricordare”, far rivivere con la forza del pensiero e delle sensazioni quel determinato intervallo di tempo vissuto.
L’avvento delle nuove tecnologie ha presentato il conto dell’altra faccia della medaglia: il consolidamento dei social ha preso il posto della vecchia “camera oscura” in cui venivano sviluppate le fotografie. Oggi si fissano i post nel proprio feed Instagram.
Lo smartphone è l’unico oggetto di cui davvero non ci si scorda mai, essendo divenuto parte integrante di noi stessi. È la “veste” preferita dell’apparenza.
La comodità del poter ritrarre panorami e momenti a portata di mano ha preso il sopravvento, stravolgendo il simbolismo della fotografia e della mission della sua stessa nascita. Ammettiamolo, quando si visita un luogo o facciamo una semplice uscita, la prima azione che si compie, ormai da prassi, è quella di scattare la foto per postarla sui social, in modo da mostrare a tutti i nostri followers dove ci troviamo oppure cosa stiamo facendo. Ecco, “mostrare”.
In questo verbo possiamo riassumere la nuova finalità della fotografia, ma forse ne esiste uno che si adatta ancor meglio al contesto: il verbo “ostentare”.
Difatti, la fotografia moderna, nella stragrande maggioranza dei casi, è un’umile serva dell’ostentazione di un presunto, quanto dubbioso, benessere.
Il ritmo incessante a cui la caducità del tempo scorre ha cambiato il modo di vivere la vita e, di conseguenza, i momenti che essa ci mette a disposizione.
A causa di tutto ciò, questi fattori ci hanno resi tutti un po’ più superficiali.
A mancare all’appello, oggigiorno, è un vecchio fattore fotografico di notevole importanza: il fattore spontaneità.
D’altronde se non usciamo bene in una foto, questa dev’essere ripetuta un’infinità di volte, perchè altrimenti sui social cosa dirà la gente di noi?!
Ormai siamo alla mercé delle apparenze e del voler, a tutti i costi, apparire.
Per i nostri nonni, scattare una foto equivaleva davvero ad immortalare quel determinato momento: se nella foto si usciva male, pazienza. Non contava. La foto era preziosa, doveva esser custodita gelosamente per sé, nel proprio album dell’occasione. Il momento della foto durava un attimo ed era un minimo e misero contorno di un’intera giornata o di un intero momento, che andava vissuto fino all’ultimo istante. Senza smartphone in mano o ulteriori distrazioni del caso. Senza preoccuparsi di tutto il resto. Focalizzandosi solo ed esclusivamente sul momento.
Prima la foto non poteva più essere cambiata: lo scatto era avvenuto, al massimo si passava al prossimo, in un altro luogo, in un’altra circostanza, in un’altra avventura tutta da vivere.
Quindi perchè sprecare il rullino inutilmente?
A tal proposito, un dubbio sorge spontaneo: quando un giorno saremo anziani e andremo a rivedere le nostre vecchie foto digitali su chissà quale fantasmagorico nuovo dispositivo del momento, ricorderemo di quel momento nella medesima, intensa ed emotiva maniera dei nostri nonni? Ci rapporteremo allo stesso modo di come facevano loro?
Una cosa è certa: il giorno in cui capiremo che i momenti della vita sono limitati, esattamente come i vecchi rullini fotografici, allora inizieremo davvero a vivere i nostri momenti ed il tempo che abbiamo a disposizione, da veri protagonisti indiscussi. In prima persona, rendendo fotografabile ogni momento della propria vita.
Nel frattempo, fino ad allora, continueremo a farlo dietro lo schermo di uno smartphone, vivendo ogni momento della nostra vita quanto più fotografabile possibile