In occasione della ricorrenza festiva della Liberazione, come ogni anno si ripropongono stancamente le consuete commemorazioni ufficiali, simili a liturgie rituali e puramente verbali, ereditate dalla retorica resistenziale. Ormai il calendario delle festività di regime ha istituzionalizzato ed assorbito il valore originario del 25 Aprile e della Resistenza antifascista. Eppure, oggi più di ieri, i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione del 1948, sorta dalla Resistenza partigiana, sono aggrediti e minacciati seriamente, per non dire abrogati da una sedicente “riforma costituzionale” che reca, tra gli altri, le firme di Maria Elena Boschi e Denis Verdini. Giusto per menzionarne un paio. Nel ventennio mussoliniano il Paese si spaccò con violenza tra fascisti ed antifascisti. Nel ventennio berlusconiano ha preso il sopravvento una nuova, netta scissione tra berlusconiani ed antiberlusconiani. Oggi, sono diventati tutti (o quasi) renziani, da destra a manca, a celebrare e consacrare, nei fatti, la coalizione delle “larghe intese” ed il “partito della Nazione”. Un esecutivo incostituzionale, guidato da un premier abusivo, mai eletto dal popolo, ha ratificato una serie di provvedimenti antidemocratici che manco i peggiori governi di Berlusconi erano riusciti a varare. Fino all’ultimo atto di matrice “piduista”, che mette addirittura in discussione la Carta Costituzionale. Oggi, tra il fascismo e la democrazia borghese sembra non esserci più alcuna differenza sostanziale, se non nelle forme più esteriori e formali, quindi solo all’apparenza ed in minima parte. Ormai l’essenza del fascismo si conserva e si riproduce addirittura meglio nella “riforma” della “Repubblica democratica”. Mi limito soltanto a ricordare che il fascismo, uscito sconfitto sul terreno militare dalla guerra civile e dallo scontro con le Brigate partigiane, in seguito riuscì a vincere politicamente grazie anzitutto a Togliatti e a quanti sostennero la cessazione delle ostilità interne e propugnarono l’obiettivo di una riconciliazione nazionale tra le classi sociali nel nome di un interesse patriottico supremo. In tale riunificazione interclassista consiste, sin dalle sue origini, l’essenza autentica del fascismo. Essenza assimilata nel “partito della Nazione” di Matteo Renzi. È sempre più palese che la Resistenza deve farsi una lotta di segno anticapitalista, una Resistenza contro la guerra senza quartiere e senza pietà che il capitale finanziario internazionale conduce contro i lavoratori e l’intera umanità. Il fascismo, quello storico, non si è imposto per la volontà malvagia di un partito politico o addirittura per l’avidità o la follia di un unico personaggio, Benito Mussolini. Il fascismo mussoliniano si affermò grazie all’aperto sostegno politico e finanziario dei padroni. Si levò per contrastare le rivolte proletarie contro la miseria crescente e lo sfruttamento. All’inizio degli anni Venti, i lavoratori diedero vita ad un imponente movimento di classe con vaste proteste, mobilitazioni di massa ed occupazioni delle fabbriche. In un clima assai teso, ai padroni serviva un regime terroristico. Le persecuzioni dei comunisti, la repressione del movimento operaio e delle agitazioni proletarie, il mantenimento di un livello disumano di sfruttamento, furono i risultati conseguiti dal fascismo di Mussolini. Oggi quel tipo di fascismo, incarnato in un regime nazionale di stampo poliziesco, apertamente dittatoriale, non è più necessario, né utile al potere neoliberista, che si avvale di un nuovo genere di totalitarismo, quello dei media e dei network televisivi, assai più persuasivo e pervasivo di ogni autoritarismo politico e militare. Nel mondo odierno, il movimento operaio è scomparso dalla scena della storia, ma ciò non significa che siano stati risolti i problemi del lavoro e la questione operaia. L’odierno proletariato è una classe estremamente dispersa e frammentata, ma è uno status diffuso in una società polarizzata tra “proletari e tagliatori di cedole”.
Lucio Garofalo