«Per una effettiva ripresa delle attività produttive serve un’azione più incisiva da parte delle istituzioni sia a livello centrale che locale», così il segretario generale della Cgil irpina Franco Fiordellisi. «Il decreto Semplificazioni – osserva il sindacalista – non può essere sufficiente a dare una concreta svolta alla crisi. Lo abbiamo sempre detto, la deregolamentazione, in un paese come l’Italia, rischia di peggiorare la situazione».
Per questo serve creare le condizioni per avere lavoro stabile e dignitoso, così si garantisce la ripresa: «Non ci sarà ripresa senza lavoro. Ci sono ingenti risorse apportate e disponibili, sia nazionali che europee, occorre quindi una strategia che coniughi l’emergenza con lo sviluppo del Paese, immaginando un nuovo ruolo economico dello Stato, che progetti nuovi investimenti, promuova e qualifichi il lavoro, sostenga i redditi, anche attraverso una riforma organica del sistema fiscale».
Le previsioni d’estate della Commissione europea peggiorano il già drammatico quadro economico nazionale e internazionale, attribuendo all’incertezza della domanda e, in particolare, alla depressione degli investimenti il calo record del Pil dell’Italia nel 2020 (-11,2%), che precipita così in fondo alla classifica europea, oltre che una ripresa nel 2021 (+6,1%) ancor più debole di quella predetta a primavera. Nello scenario più ottimistico, in assenza di una seconda ondata di contagi nel terzo trimestre di quest’anno, sempre secondo la Commissione, le misure messe in campo dal governo potrebbero sollevare l’attività economica generale del nostro Paese e migliorare le previsioni.
«Per far sì – commenta Fiordellisi – che vi siano le condizioni per ripresa, che ci si sollevi velocemente, può avvenire solo se viene difesa l’occupazione e creato lavoro attraverso nuove politiche economiche e fiscali. Difatti, nella nota di maggio-giugno sull’andamento dell’economia italiana, l’Istat intravede segnali positivi, nello specifico nei dati più recenti sulle vendite al dettaglio e sulle esportazioni, ma conferma che non si ferma la progressiva erosione dell’occupazione e, di conseguenza, dei redditi delle famiglie. Non bastano consumi ed esportazioni a creare valore aggiunto e posti di lavoro, in assenza di investimenti pubblici e privati».
Anche l’indagine straordinaria sulle famiglie italiane della Banca d’Italia rileva che metà della popolazione ha subìto una contrazione del reddito e che tale perdita aumenta considerevolmente in funzione della perdita dell’occupazione o della precarietà del lavoro. Malgrado ciò, Bankitalia sottolinea che aumenta la propensione al risparmio delle famiglie e, data la forte incertezza del contesto, quei risparmi assumono una funzione cautelativa e non si traducono in investimenti nell’economia reale: «Non a caso, nell’Employment Outlook 2020, l’Ocse prevede livelli record di disoccupazione a fine anno (9,4% come media delle 34 economie più avanzate del Pianeta), che per l’Italia significherebbe raggiungere un tasso di disoccupazione del 12,4%, senza contare i nuovi inattivi scoraggiati, i sottoccupati ed i part-time involontari, e una condizione ancor più preoccupanti per i giovani e le donne».
Da assicurare anche maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro: «In questa fase, notiamo da parte una certa disattenzione da parte del Governo che pur affermando la priorità assoluta della sicurezza nei posti di lavoro, come anche sottoscritto nei vari Protocolli tra governo e parti sociali, si dimentica della sicurezza del posto di lavoro e sbaglia ancora una volta ricetta quando indica come soluzioni per l’Italia l’aumento degli incentivi alle imprese, e, soprattutto, di riconsiderare il blocco dei licenziamenti e i limiti all’assunzione a tempo determinato».
«In una fase di grande riorganizzazione e trasformazione dell’occupazione occorre sostenere il più possibile il lavoro, anche attraverso una riforma degli ammortizzatori sociali e, nel breve periodo, attraverso il rilancio e il sostegno ai contratti di solidarietà, anche espansivi, determinando un incastro virtuoso fra ammortizzatori, formazione e rimodulazione dell’orario di lavoro. Occorre rafforzare contemporaneamente le politiche attive ed evitare di pensare che la soluzione per rilanciare l’occupazione sia un nuovo incremento della precarizzazione dei rapporti di lavoro».