Il Tribunale ha deciso che il quadro sequestrato nel febbraio 2015 a Lugano va consegnato alla giustizia italiana. La proprietaria si rivolgerà ora al TF di Losanna
Good by Lugano. Nuova e forse definitiva sconfitta giudiziaria per la proprietaria del dipinto olio su tela raffigurante il “Ritratto di Isabella d’Este” attribuito a Leonardo da Vinci e sequestrato nel febbraio 2015 a Lugano va consegnato alla giustizia italiana. Il Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona ha respinto un ricorso della proprietaria, che si è ora rivolta al Tribunale federale di Losanna. In una sentenza pubblicata oggi, la Corte dei reclami penali del TPF giudica che nessun motivo giuridico si opponga a una restituzione dell’opera alle autorità italiane. La sua proprietaria, Emidia Cecchini, ha sempre sostenuto che il dipinto, un olio su tela di 61 per 46,5 centimetri, presunto ritratto di Isabella d’Este, marchesa di Mantova (1474-1539), proviene da una eredità di famiglia e si trova in Svizzera dal 1913. Questa versione dei fatti non ha convinto la giustizia italiana (il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione), che ha condannato la donna a 14 mesi di carcere per esportazione illegale di opere d’arte. La vertenza è ora pendente davanti al Tribunale federale. Nelle questioni di assistenza giudiziaria, la suprema corte di Losanna interviene soltanto quando il caso è ritenuto molto importante o se pone un problema di fondo che deve essere risolto a breve termine. Il “Ritratto di Isabella d’Este” è oggetto di contesa non soltanto davanti ai tribunali. Gli stessi esperti, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, sono divisi sull’autenticità del quadro. Dopo il sequestro avvenuto il 9 febbraio 2015 su richiesta della Procura di Pesaro, il noto critico dell’arte Vittorio Sgarbi lo aveva definito un dipinto «da porta Portese», «inventato» dallo storico dell’arte Carlo Pedretti, che aveva invece attestato l’autenticità del quadro e lo attribuiva almeno in parte al grande genio del Rinascimento (1452-1519). Per Sgarbi si trattava invece di «una crosta, di qualità modestissima che vale al massimo 2000 euro».