Roberto Colucci e Stefano Napolitano, due esempi positivi, per passione e spirito di servizio per le nostre tradizioni. Anche grazie a loro la storia della festa del Maio continua…
di Antonio Vecchione
La festa del Maio di S. Stefano costituisce una preziosa eredità ricevuta dai nostri genitori ed è stato un merito della nostra comunità, da rivendicare orgogliosamente, averla saputo salvaguardare, valorizzare e trasmetterla, a nostra volta, ai giovani. Aprendo questo scrigno prezioso emergono le nostre radici, la storia della nostra comunità che aveva un modello di organizzazione sociale fondato sui rapporti personali, di amicizia, di vicinato, di parentela. Tutti sapevano tutto di tutti. Il progetto di vita di ciascuno era già segnato dalla nascita e dalla sua appartenenza familiare (a meno di non rimescolare dal profondo il proprio destino con l’emigrazione, un salto verso l’ignoto). Una comunità che, per l’assenza dello stato, si faceva carico di funzioni civili e fondamentali, come la solidarietà, l’aiuto reciproco nel soddisfare i bisogni collettivi e affrontare le difficoltà comuni, la protezione, il controllo dell’ordine e della moralità pubblica. A questi valori condivisi se ne aggiungeva un altro, quello più importante: la devozione per Santo Stefano, alla cui protezione si affidavano tutti i baianesi, confidando in Lui per chiedere grazie, per superare le avversità e sciagure, pubbliche e private. Una Fede che ha aiutato a vivere e che ha caratterizzato i costumi di vita. E in questo scenario di Fede, solidarietà e sacrifici che trae la sua linfa vitale la festa del Maio: ringraziare il Santo con l’omaggio dell’albero più bello, alto e dritto del bosco Arciano, un luogo simbolo che ha sfamato la povera gente per secoli, e con il calore del “Fucarone” è un’esigenza dell’anima nata, con molta probabilità, spontaneamente tra i devoti baianesi. Un patrimonio collettivo di conoscenze, di usanze, di sentimenti, di regole non scritte del vivere sociale, di tradizioni religiose, che è giunto fino a noi attraverso la festa ma anche grazie ai racconti degli anziani. Ascoltarli è stato come leggere le pagine di un appassionato libro della vita. Le vicende e i personaggi di cui ci parlano trovano scarsissima attenzione nei libri di storia ufficiali e tocca a noi conservarne memoria anche nel rispetto del valore fondamentale di una piccola comunità: quello di umanizzare i rapporti sociali, permettendo a ciascuno di avere un ruolo, una funzione, piccola o grande, ma legittimata e riconosciuta da tutti. La storia ci insegna che la partecipazione alla festa del Maio è sempre stata caratterizzata da un semplice sentimento: l’umiltà di portare a termine il proprio compito, in silenzio, senza clamori, senza vantarsi, con la coscienza a posto per aver fatto il proprio dovere. Questo spirito di partecipazione, valore positivo della comunità, è condizione necessaria per la tutela della nostra tradizione. In mancanza ci sarebbe un eccesso di protagonismo esiziale per la festa.
Per fortuna ci sono ancora giovani che lo mantengono vivo e qualche giorno fa ne abbiamo avuto un chiaro esempio da Roberto Colucci e Stefano Napolitano. Nel corso di un’assemblea del Comitato Maio e nel rispetto della “Carta del Maio”, Roberto Colucci ha rinunciato al suo ruolo storico, ereditato dal padre Nicola. Non sarà più lui a sciogliere le funi dopo che il Maio è stato fissato davanti la Chiesa per elevarsi al cielo a gloria di Santo Stefano. Il testimone è passato, per unanime volontà, a Stefano Napolitano. Non è un passaggio rivoluzionario (altri ce ne sono stati in passato), ma costituisce una rara e lodevolissima testimonianza di umiltà, responsabilità, amore per la festa.
Rinunciare a una parte importante della propria vita, a una funzione radicata nel più profondo dell’anima, a una lunga tradizione familiare, ricca di soddisfazioni, è stata per Roberto una prova durissima, una scelta intrisa di profonda sofferenza. Ha dimostrato un’eccezionale forza interiore, una rara determinazione e il coraggio di rimettersi in discussione: una grande prova di maturità ed equilibrio. Noi non possiamo che inchinarci di fronte a questo suo sacrificio e alla sua forza d’animo. Nobilissime le sue parole, anche a nome della famiglia: “Per noi la festa non è solo salire il Maio”. Un pensiero che incarna il valore fondamentale degli storici appassionati e protagonisti della festa: la consapevolezza che il ruolo di ciascuno è sempre stato quello di mettersi al servizio della comunità, a prescindere dalla propria funzione, perché il contributo dato al cerimoniale della festa, piccolo o grande, è sempre prezioso. Chi conosce la storia recente della festa sa bene che la famiglia di Nicola Colucci non ha mai fatto mancare la sua attiva e concreta presenza nei lunghissimi anni della ricostruzione della festa, sia nella fatica di organizzare ma anche e soprattutto nell’onorare il Santo: la loro presenza assidua alle “Messe ‘e notte” lo dimostra. Roberto e Alfonso, suo fratello, sono stati tra i primi che, dalla metà degli anni 2000, giovanissimi, si impegnarono in questo sforzo di valorizzazione e rilancio. Le prime riunioni per coinvolgere e responsabilizzare le nuove generazioni, convocate nella sede dell’Associazione Maio, li videro tra i promotori e protagonisti, sempre disposti a collaborare e a profondere tempo ed energie per il buon esito degli incontri. Da quelle riunioni è nato il nucleo storico dei giovani che ha conferito alla festa sterzate di energia ed entusiasmo. La sua rinuncia è stata recepita da tutti noi baianesi con grande rispetto, immutata stima e con un sincero, affettuoso grazie, dal più profondo del cuore. La storia continua con Stefano Napolitano, “’o zorro”, un nomignolo attualizzato da quello originale della sua famiglia: “‘e zurrizzurri”, un personaggio di altri tempi. La sua sincera devozione per Santo Stefano si manifesta attraverso un particolare “voto” per il Protettore, a cui ha affidato la sua vita. Il 3 agosto di ogni anno si unisce alla schiera dei battenti che percorrono scalzi circa 9 km. di strada fino a inginocchiarsi ai piedi dell’altare. Stefano si sottopone a una durissima prova: porta in omaggio al Santo un cero votivo enorme, pesantissimo, 30 kg., appoggiato sulla schiena. La fatica per trascinarsi è evidente ma l’espressione del viso ha la leggerezza della fede che lo anima. Contadino per tradizione familiare, boscaiolo per mestiere, è costantemente impegnato per portare avanti con dignità la sua famiglia. E’ raro trovare oggi persone come lui, tenaci, disposte a ogni tipo di lavoro e dotate di una straordinaria capacità di inventarsi attività per procurare risorse. Un esempio è costituito da come ha saputo valorizzare il suo amore per il legno come materia creativa. Gli oggetti d’arredo che escono dalle sue mani, frutto della sua fantasia, sono numerosi e tutti ben confezionati: sedie, sgabelli, altalene, vassoi, contenitori, strutture anche complesse come gazebo per giardini.
Il delicato ruolo di Roberto, dunque, è stato ereditato da Stefano e possiamo stare tranquilli: è animato dalla stessa passione e volontà di “servizio”, lontana da ogni esibizionismo. Erano anni che manifestava pubblicamente il suo ardente desiderio: arrampicarsi sul Maio per sciogliere le funi. Sapeva bene che si trattava di un sogno quasi proibito: le regole tramandate e accettate per consolidata tradizione non glielo consentivano. Soffriva di questo impedimento, ma in silenzio, senza mai creare problemi: il rispetto delle regole è un valore riconosciuto, anche e soprattutto da lui. Infatti, in tutti questi anni ha riversato il suo amore per la festa in altre direzioni, sempre con dignità e spirito di servizio, ma non si è mai arreso sperando sempre di poter coronare il suo sogno. Il suo percorso di avvicinamento alla festa inizia da ragazzo di 13 anni. Ma è agli inizi degli anni 2000 che si trasforma in un attaccamento viscerale. L’associazione Maio, per promuovere la partecipazione al taglio del maio nel bosco e il recupero del mestiere di boscaiolo, incarica Angelantonio Candela, espertissimo mannese, di insegnare ai giovani a maneggiare l’ascia. Furono comprate e contrassegnate dieci “accette” e organizzato un vero e proprio “corso” di formazione. Stefano fu tra coloro che risposero positivamente all’invito. Partecipò entusiasta e nacque un amore sviscerato per il bosco e il lavoro da boscaiolo. Da quel momento ebbe un unico pensiero: ritagliarsi un ruolo attivo all’interno del rito, un’esigenza fortissima, fonte di sofferenza perché non trovava soluzione.
La festa è caratterizzata da una folla di “protagonisti” e proprio per questo nessuno dovrebbe sentirsi tale. Pur tuttavia questa folla può costituire, anche senza averne intenzione, una sorta di “barriera” che, per mancanza di spazi vitali, appare difficilmente superabile. Ed è questa “invisibile barriera” che fu motivo di disagio per il giovane Stefano, umile e timido. “Avevo l’impressione che la festa fosse chiusa a persone come me”, afferma, “e nel 2010 per manifestare questo disagio, mi recai nel bosco per arrampicarmi sull’albero scelto come Maio e appendere un cartello con un messaggio espressione del mio sentire: “Il Maio non è di nessuno, è per Santo Stefano donato dal popolo di Baiano”. Questa iniziativa mi aprì la mente. Ecco trovato il modo, pensai, di esprimere in modo originale la mia Fede e attaccamento alla festa: appendere ogni anno alla chioma del Maio selezionato per la festa uno stendardo rosso con i simboli del nostro Santo Protettore”. Un gesto altamente simbolico, che fu bene accolto ed è divenuto, da qualche anno, una tradizione col suo rituale: il giorno dell’Immacolata con un gruppo di amici Stefano si reca nel bosco per fissare lo stendardo sulla chioma del Maio. Ma il suo impegno non è limitato a questo. E’ stato ed è ancora tra i principali promotori del coro di ragazzi divenuto altra positiva componente della processione del Maio. Saprà sostenere il nuovo ruolo con lo spirito partecipativo e umile di sempre? Certamente sì. La sua anima profondamente popolare è naturalmente contraria alle consorterie elitarie e sarà sempre in prima linea a evitare i rischi di una mutazione genetica per eccesso di protagonismo. Il rito, per la sua sensibilità che è anche la linfa vitale della festa, deve rimanere sempre aperto, con quei lampi di anarchia liberatoria, caratteristici di una festa popolare, senza il rischio che, in una qualsiasi fase della festa, qualcuno possa dire: “Qui comando io”.