Numerosi sacerdoti cattolici statunitensi, tra cui anche qualche vescovo, protestano contro la policy di Facebook di vietare account che abbiano prima del nome proprio dell’utente la parola “father”, cioè “padre”, titolo che nella religione cristiana viene spesso usato dai ministri di culto. Non solo: il sistema rigetta anche altri termini direttamente collegabili alla tradizione cristiana, come “sister”, cioè “sorella”, che da sempre indica le suore in lingua inglese. Nel giro di pochi giorni un gruppo creato da social network ed intitolato “Facciamo sapere a Facebook che vogliamo che i sacerdoti cattolici possano inserire padre o titoli simili prima del proprio nome nell’account” ha raggiunto 6.500 adesioni.
Pochi giorni fa l’account di padre Peter West, sacerdote da venticinque anni, è stato bloccato da Facebook ed è stato riattivato solo quando il nome è stato cambiato nel più semplice “Peter West”. E’ solo uno degli aneddoti raccontati dal sito di informazione religiosa Aleteia. Padre James Chern ha ricevuto un messaggio automatico che spiegava che il suo nome non rispecchiava la politica e gli standard del noto social network e di aver, innanzitutto, pensato che si trattasse un virus. Ha fatto log out, è rientrato sul sito, ma la cosa è avvenuta di nuovo. Ha, dunque, provato a cambiare il nome, inserendo la parola “padre” dove si mette il nome di battesimo, ed il suo nome e cognome dove in genere si inserisce solo il cognome ed ha ricevuto un messaggio che recitava: “Stai violando la nostra politica. Tra un minuto avrai l’opportunità di cambiare il tuo nome. Se continuerai ad inserire lo stesso nome ti disattiveremo l’account.” La stranezza è che sembrano, invece, consentiti appellativi come “rabbino” per gli ebrei o “imam” per i musulmani. Tra i termini che il sistema informatico lascia filtrare anche “cappellano”. Nessun problema, invece per i religiosi italiani: Facebook non blocca né i “don”, né i “padre” né i “fratel”. La policy del sito fondato da Mark Zuckerberg è chiara: tutti dovrebbero iscriversi con il proprio vero nome, utilizzando la dizione con cui i propri amici sono abituati a chiamarli. Tuttavia per i religiosi cristiani che hanno preso i voti “padre” o “sorella” sono a tutti gli effetti una parte integrante del nome. “E’ la mia vocazione celeste – ha dichiarato un altro sacerdote – Io non ho scelto di essere un padre, Dio mi ha scelto. Non è un titolo professionale qualsiasi, è la vocazione della mia vita.”