Reportage di Antonio Fusco
In una antica frazione del comprensorio comunale della cittadina di Trichiana, in provincia di Belluno, esisteva, probabilmente già prima del Mille, in epoca paleocristiana, una pieve parrocchiale intitolata a san Felice martire, ubicata presso la riva sinistra del Piave, in una zona in cui il fiume era facilmente traghettabile e vi confluivano arterie stradali utilizzate per il transito ed i commerci. Il documento più antico che dovrebbe riferirsi a questa antica pieve Feliciana è una pergamena del 1204 che riporta la lista dei possedimenti rivendicati dal Comune di Treviso.
Nel 1510, quando “Villa Trichiana” aveva acquistato maggiore importanza tra le altre borgate per lo spostamento all’interno di assi viari più agevoli, la parrocchia, che tuttavia mantenne il titolo di san Felice, fu trasferita per comodità della popolazione nell’oratorio di “Santa Maria”, edificato sul sito di una più antica cappella risalente al XV secolo. Con il passare del tempo la chiesetta risultò troppo angusta per accogliere i numerosi fedeli e quindi fu demolita nel 1650. Sulla stessa area si iniziò ad edificare l’attuale Chiesa Arcipretale, la cui costruzione si protrasse per più di un secolo, fino al 1785, come attesta la seguente dedica in cui è documentato il duplice titolo: D.O.M. IN HONOREM DEIPARAE SANTIQUE FELICIS TEMPLUM HOC JAMPRIDEM ANGUSTUM IN AMPLIOREM ET ELEGANTIOREM FORMAM PROPRIA IMPENSA A FUNDAMENTIS EXTRUCRUM PLEBS UNIVERSA D.L.D. ANNO SALUTIS MDCCLXXXV
Il nuovo tempio fu benedetto il 26 luglio del 1789 e finalmente consacrato il 25 settembre del 1825 dal vescovo Jacopo Monico che confermò come eponimi “santa Maria Assunta e san Felice presbitero e martire”. Sorse allora anche la questione sull’identità del Santo, tenuto conto che in Italia figurano altri santi con tale nome e che godono di locale devozione. Si presentò il dubbio tra il martire di Aquileia e il presbitero martire di Nola, finché, grazie alla tematica di due affreschi ed alle approfondite indagini condotte da esimi studiosi sui Carmi natalizi scritti sulla vita di san Felice presbitero da san Paolino di Nola, l’allora Vescovo Mons. Albino Luciani, futuro pontefice, con decreto del 23 luglio 1959, sancì la titolarità del presbitero nolano con ricorrenza il 14 gennaio. E’ da sottolineare che il nostro San Felice presbitero, pur non avendo subito il supplizio, merita la qualifica di martire in quanto trascorse la sua esistenza terrena in povertà, sopportando con esemplare e spirito cristiano persecuzione, torture e grandi tribolazioni. Del resto due affreschi della chiesa, come già accennato, possono essere riferiti al Santo, come se i pittori ne siano stati a conoscenza dell’agiografia.
La chiesa, di maestoso ed elegante stile barocco è ad una sola navata e conserva nella volta un grande affresco con la gloria della Vergine e di Felice, opera di Giovanni Batta Canal (1743 – 1825), nipote del famoso Canaletto. Il santo vi è raffigurato in ginocchio, in abito sacerdotale e senza i simboli della dignità episcopale; infatti la mitria giace a terra mentre, più in basso, il pastorale è retto da un angioletto. La scena lascia pensare che debba riferirsi al fatto che Felice per umiltà rifiutò a Nola la dignità episcopale (313).
Un secondo dipinto raffigura un angelo che di notte trae un uomo dolente da un luogo oscuro e tenebroso, scena che potrebbe ricordare l’analogo episodio notturno della vita di san Felice quando per intervento divino fu liberato dal carcere.
La parrocchia custodisce anche una statuetta dorata che lo mostra con tricorno presbiterale e palma del martirio, così come di solito è raffigurato.
Nella cittadina veneta, inoltre, prendono il nome di san Felice: la Sala Culturale teatro di performance d’arte, il Centro culturale, un ponte e una trattoria pizzeria.