Ogni anno si ripete la tradizione, la storia si riscrive, la memoria rivive. Le Maggiaiole si preparano di nuovo ad intraprendere il “fatale andare” a Conza. L’ultimo sabato di Maggio le fanciulle di Sant’Andrea di Conza seguono i dettami della Madonna della Gaggia: cammineranno per la strada “stort’ e malort’” per raggiungere il “santuario” mariano di Conza della Campania e onorare la Vergine. La leggenda affonda le sue radici in un’epoca lontanissima, dominata da una cultura patriarcale, animata da valori antichi ma attuali, sospesa tra le tortuose pieghe del tempo. Un tempo cristallizzato e inamovibile, un passato che si fa materia e continua a fluire costantemente nel nostro presente. E sempre le Maggiaiole camminano in un limbo, in un’era parallela, in un miscuglio di attimi infiniti. La loro guida è Maria, che appare più umana che mai in questa narrazione: è impaurita, ansiosa, accorta, ha un fare circospetto. Fugge di notte e abbandona Sant’Andrea. Viene scoperta e riportata a casa, ma, testarda, fugge di nuovo. La sua è una fuga quasi inspiegabile, ermetica, apparentemente immotivata, inesorabile; la sua volontà chiara. La Vergine rimarrà a Conza, ma non ha dimenticato i santandreani e soprattutto non ha dimenticato le bambine fragili, indifese e speranzose. Le “verginelle” sono indissolubilmente legate a lei e continueranno a venerarla di anno in anno, non smetteranno di affidarsi alla sua misericordia. Nella processione indossano un fazzoletto bianco coronato di uva spina, un manto candido che ne rappresenta la purezza. Un occhio vigile le segue, la benedizione si posa su di loro, la fortuna le accompagnerà, troveranno presto un marito, un buon partito, un amore limpido e duraturo. I loro sospiri, le loro speranze si elevano, si stagliano nel cielo, animano i loro passi lasciando orme indelebili nell’eternità.
Questa tradizione ha molto da insegnare: pur essendosi modificata nel tempo, riesce, ancora oggi, a porsi come un faro per la comunità. Ci invita a non demordere, ad avere fiducia in noi stessi e a non perdere la speranza anche nei momenti più bui. Le Maggiaiole sono eroine che non hanno paura di viaggiare, di stancarsi, non temono le tribolazioni, né si lasciano intimidire dai problemi quotidiani. Camminano su due file parallele e si affidano alla Madonna perché le guidi, anche quando il familiare Arco della Terra scompare alle loro spalle. Il sabato delle maggiaiole, tuttavia, ci parla anche di un’altra tematica fondamentale: l’incontro fra due popoli, lo scambio e l’amicizia tra Conza e Sant’Andrea, l’apertura nei confronti dell’altro. Nonostante le differenze di latitudine e longitudine, nonostante le credenze diverse, le religioni, le bandiere, i confini, le regioni, ci ricorda che siamo uomini. Uomini che condividono debolezze, paure e fragilità. Siamo “umani, troppo umani”, soprattutto in un periodo di vulnerabilità globale a causa del Coronavirus. In una vita difficile in cui ci troviamo catapultati, vittime di eventi imprevedibili, in un mondo sempre meno abitabile non siamo soli. Siamo fatti per entrare in relazione, per condividere, scambiare opinioni, vivere sotto lo stesso cielo. Una volta che il velo di Maya dei pregiudizi sarà squarciato, ci ritroveremo nudi, in un liquido amniotico primordiale. Fragili, indifesi e speranzosi. Saremo disposti ad affidarci alle cure dell’altro? Riusciremo a vedere nell’altro il nostro riflesso? Coglieremo la fiamma di umanità divina che ci anima? Come ci insegna il pellegrinaggio delle maggiaiole, uniti possiamo dare un senso e una direzione al nostro esistere. Possiamo patire e gioire, guardare ad un domani condiviso, porgerci la mano e camminare insieme.
Le Maggiaiole, una tradizione che purtroppo quest’anno non ci sarà per le restrizioni delle manifestazioni causa Covid-19.
🖋 Francesco Iannicelli
📸 Pietro Vigorito