a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 19 giugno si festeggia san Romualdo, abate ravennate e fondatore dell’eremo di Camaldoli e promotore della Congregazione camaldolese; era figlio di un duca e seguendo l’esempio dei suoi genitori, fino all’età di 20 anni si dedicò con tutto se stesso ai piaceri del mondo, turbato da un fatto di sangue di cui furono protagonisti il padre e un cugino, sconvolto, decise di farsi monaco ed entrò nell’antico monastero di Sant’Apollinare in Classe nei pressi di Ravenna, qui prese i voti, poi lasciata Ravenna si recò presso un eremita, Marino, in territorio veneziano, sottoponendosi alla sua guida spirituale, lascato l’eremita si recò sui Pirenei dove fondò una comunità di eremiti, tornato in Italia fondò e riformò numerosi monasteri fino a giungere a Camaldoli, dove si stabilì definitivamente e costituì l’Ordine camaldolese; costruire, avviare una convivenza, insegnare (alla predica preferisce il colloquio), partenze e arrivi ritmano la vita di Romualdo, che si conclude in un altro monastero fondato da lui: quello marchigiano di Val di Castro, qui egli muore, all’età di 75 anni, da eremita qualsiasi, in una piccola cella.
19 giugno: fratelli gemelli milanesi e la tradizione agiografica vuole che siano stati figli di san Vitale e santa Valeria, le notizie sulla loro vita si perdono nel tempo e sono giunti a noi solo pochissimi documenti, non si conosce con certezza il momento storico in cui vissero: secondo una tradizione avrebbero professato la loro fede durante l’impero di Nerone e sarebbe stati convertiti al Cristianesimo, assieme ai loro genitori, dal vescovo di Milano san Caio; si racconta che i loro genitori furono martiri della cristianità, il padre Vitale di Milano venne ucciso mentre si trovava a Ravenna e la madre santa Valeria fu assassinata sulla via di ritorno per Milano, appena venuti a conoscenza della morte dei genitori non pianificarono nessuna vendetta, anzi decisero di vendere tutti i beni di famiglia per distribuire il ricavato ai poveri di Milano; furono denunciati come cristiani e li additati come persone da punire e da redimere, allora i due fratelli furono arrestati, torturati ed umiliati: a Protasio fu tagliata la testa con un colpo di spada, mentre Gervasio morì a seguito dei numerosi colpi di flagello ricevuti.
19 giugno: san Deodato di Nevers, nato da famiglia nobile francese perseguitato, fin da piccolo imparò ad amare dio e il prossimo, a preferire la virtù alla ricchezza e a coltivarla assiduamente e con perseveranza tutti i giorni della vita, fu eletto vescovo di Nevers e compì le sue funzioni come un pastore che cerca solo la gloria di Dio e la salute delle anime; sulla cattedra episcopale ci restò solo tre anni, poi per il grande amore che portava alla solitudine, ma anche per lo sdegno che provava nel costatare l’eccessiva ingerenza dei re nelle questioni ecclesiastiche, con alcuni compagni si ritirò in solitudine sulle montagne dei Vosgi, qui costruì una cella e una cappella in onore di san Martino; molti giovani affascinati dal suo buon esempio chiesero di poter vivere sotto la disciplina del santo abate, così fondò un monastero che prese il suo nome (Saint Dié), dove introdusse una regola basata su quella di san Colombano, quando il nostro santo iniziò a sentire che le forze lo abbandonavano, temendo di nuocere alla vita regolare della comunità con i suoi acciacchi, si ritirò nella sua cella, e di là governò i monaci con uguale zelo e vigilanza come se si fosse trovato in mezzo a loro, morì che aveva 90 anni.
19 giugno: santa Giuliana Falconieri, religiosa fiorentina dell’Ordine dei Servi di Maria, lo zio paterno, fra Alessio era stato uno dei Sette Santi Fondatori che nel secolo XIII istituirono proprio quest’Ordine religioso, devoto alla Madre di Dio, l’esempio dello zio mossero in lei, fin dall’adolescenza, il proposito di consacrare in modo speciale la propria vita a Dio; ma solo quando raggiunse l’età legale (14 anni) in cui, indipendentemente dalla volontà dei genitori, avrebbe potuto scegliere liberamente la propria strada, fu la prima superiora della giovane congregazione, che si dedicava alla cura dei malati e all’educazione della gioventù; gli ultimi istanti della sua vita furono rivolti a Gesù Eucaristia, impossibilitata a ricevere la particola consacrata, pregò il sacerdote di deporgliela sul petto, non appena l’ebbe fatto, l’ostia l’assunse in sé e Giuliana morì, le monache credono di sciogliere l’enigma quando, appena spirata e mentre ne stanno ricomponendo il cadavere, notano in corrispondenza del cuore un marchio viola, grande come l’ostia consacrata, come se questa si fosse impressa nel suo corpo: il marchio che le Mantellate ancora oggi portano impresso sul loro abito religioso, a ricordo della miracolosa ultima “comunione” della loro fondatrice