a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 29 giugno si celebrano santi Pietro e Paolo, la solennità odierna è antichissima: è stata inserita nel Santorale romano molto prima di quella di Natale. Nei secolo IV si celebravano già tre messe: una in san Pietro in Vaticano, l’altra in san Paolo fuori le mura, la terza alle catacombe di san Sebastiano dove furono probabilmente nascosti per un certo tempo, all’epoca delle invasioni, i corpi dei due apostoli; Simone era un pescatore di Betsaida che si era più tardi stabilito a Cafarnao, il fratello Andrea lo introduce al seguito di Gesù, il Cristo gli cambia nome e lo chiama «Pietra», per realizzare nella sua persona il tema della pietra fondamentale. Simon Pietro è uno dei primi testimoni che vede la tomba vuota e dopo l’ascensione egli prende la direzione della comunità cristiana, a Roma, Pietro diviene l’apostolo di tutti, qui egli compie pienamente la sua missione di «pietra angolare», riunendo in un solo «edificio» i Giudei ed i pagani e suggella questa missione con il suo sangue e sotto Nerone dà la sua vita per l’amato Maestro. La tradizione dice che San Pietro ricordandosi anche in quell’estremo momento del suo peccato, e ritenendosi indegno di morire come Gesù, pregasse i carnefici ed ottenesse di essere crocifisso col capo all’ingiù; Saulo, in seguito Paolo, nacque a Tarso, capitale della Cilicia, la sua educazione fu austera quale si conveniva ad un figlio di farisei zelanti della legge, ben presto gli misero in mano la Sacra Bibbia che egli approfondì talmente che, convertito, trasfonderà abbondantemente nei suoi scritti. Frequentò a Gerusalemme la scuola ebraica ed ebbe a precettore il celebre Gamaliele, l’uomo più saggio di Gerusalemme. Da lui si rafforzò nell’amore alle tradizioni ebraiche ed imparò una scrupolosa osservanza delle prescrizioni della legge, a sconvolgere tutta questa educazione, sorse la dottrina del Nazareno che riempiva già Gerusalemme di seguaci e dilagava anche nelle vicine province, Saulo, intransigente fariseo e strenuo difensore della tradizione, li odiò subito a morte, dopo aver assistito alla lapidazione di santo Stefano, intraprese la lotta contro di essi, battaglia che doveva portarlo a quel Gesù che egli inconsciamente perseguitava, appunto mentre cavalcava alla volta di Damasco per perseguitare anche lì i cristiani una luce lo abbaglia e lo fa cade reda cavallo, mentre una voce misteriosa lo rimprovera: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?»; da quel momento da persecutore diventa perseguitato e la sua parola risuonerà ovunque apportatrice di pace, di luce e di salvezza, dove non può arrivare colla persona, arriva colle sue lettere e con lo zelo dei suoi seguaci, intraprende vari viaggi missionari, l’ultimo, il quarto lo porta a Roma dove viene arrestato e si incontra con san Pietro col quale doveva rendere testimonianza alla verità subendo il martirio. Paolo portato davanti a Nerone viene condannato alla decapitazione, un colpo di spada lo getta tra le braccia del suo amato Signore.
29 giugno: san Siro di Genova, una tradizione dice che fu figlio di un certo Emiliano Dolcino, sposato con una buona cristiana nata a Nervi, fin dalla più tenera età dimostrò una spiccata tendenza alla preghiera, tant’è che, narra Jacopo da Varagine, Siro fu affidato in giovane età dai genitori al vescovo Felice affinché lo istruisse e lo avviasse al servizio di Dio. Il vescovo, riconosciuta la sua vocazione, lo ordinò suo diacono e lo mandò come suo vicario a Villa Matutia (l’odierna Sanremo), ad aiutare il presbitero Ormisda; Siro si dedicava alla cura delle anime con grande impegno e devozione, egli quotidianamente si recava presso i fedeli per esortarli, incoraggiarli, confortarli e portare la parola del Signore. Egli si soffermava presso le case dei suoi parrocchiani, informandosi dei loro bisogni, aiutando nelle piccole faccende e, all’ora del mangiare, sedeva volentieri alla loro mensa. Egli era molto parco nelle sue abitudini, quindi non pesava molto sui poveri bilanci famigliari, ma grazie a questa sua consuetudine di mangiare a casa degli altri, i genovesi lo tenevano in grande considerazione ammirando la sua capacità di risparmiatore, ed inventarono la focaccia così che potessero mangiare in piedi senza imbandire la tavola, e Siro si ritrovò sempre più spesso a pancia vuota; dopo alcuni anni, Siro sarebbe stato richiamato a Genova dal vescovo Felice ed alla morte di questi sarebbe stato acclamato vescovo della città, la vita cristiana della città di Genova progredì a tal punto che i suoi contemporanei tramandarono ai posteri il nome di Siro abbinandolo meritevolmente al ricordo di un pastore santo e vigilante, in età ormai avanzata e circondato da un’indiscussa fama di santità, Siro morì il 29 giugno di un anno imprecisato, che viene considerato l’ultimo giorno del suo episcopato