a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 17 luglio la chiesa cattolica celebra san Leone IV, 103º papa della Chiesa cattolica; romano di nascita ma “di stirpe longobarda” e monaco benedettino nel monastero di San Martino presso la Basilica di San Pietro, fu suddiacono sotto Gregorio IV che lo aveva in stima e venne scelto all’unanimità per succedere a Sergio II quand’era ancora cardinale prete col titolo dei Santi Quattro Coronati, al Celio. Il pericolo incombente dei Saraceni, che già avevano assalito la città l’anno prima, indusse i Romani a consacrare Leone in gran fretta, senza aspettare la conferma dell’imperatore Lotario I, il 10 aprile (mentre il sito del Vaticano riporta il 10 maggio) dell’847. La consacrazione era stata irregolare, poiché era avvenuta sine nomina imperatoris e dunque senza il suo beneplacito, ma Lotario non se ne risentì, come nel caso del predecessore papa Sergio II, probabilmente perché era ben consapevole della mancata difesa di Roma dall’assalto dei Saraceni. Ad accrescere le ansie della popolazione, già preoccupata per i Saraceni, nello stesso anno 847 si verificò prima un violento terremoto (che fece crollare una parte del Colosseo), e successivamente un grave incendio che distrusse la zona di Borgo e giunse a minacciare il porticato della basilica di San Pietro. Secondo il Liber Pontificalis, Leone avrebbe estinto miracolosamente l’incendio impartendo la solenne benedizione; Leone IV si prodigò per riparare i danni subiti da Roma a causa delle incursioni arabe, ricostruendo chiese e monumenti; apprestò una flotta sul mare per contrastarli e stabilì guarnigioni di difesa lungo tutta la costa tirrenica; creò la “città leonina”, cioè fortificò con mura di difesa tutto il quartiere intorno a San Pietro, da Trastevere a Castel S. Angelo; morì a Roma il 17 luglio 855 e fu sepolto in San Pietro, nella cappella dove riposava papa Leone I e che lo stesso Leone IV fece restaurare.
17 luglio: santa Edvige d’Angiò regina di Polonia, nata in Ungheria da re Luigi d’Angiò, alla morte del padre fu incoronata regina (ufficialmente il suo titolo era “re” e non “regina”, per indicare che regnava per suo diritto e non in quanto consorte di re) ed Elisabetta di Bosnia, a soli 10 anni, l’anno successivo sposò il principe Ladislao II Jagellone di Lituania: cristiana praticante e timorata di Dio, accettò di convolare a nozze solo quando lo sposo si dichiarò disposto a battezzarsi, in qualità di sovrana cristiana, seppe testimoniare la sua fede con irrepetibile sensibilità, sin dalla sua infanzia era stata abituata a leggere la Sacra Scrittura, il Salterio, le Omelie dei Padri della Chiesa, le meditazioni e le orazioni di san Bernardo, i Sermoni e le Passioni dei Santi ed altre opere religiose classiche, inoltre esigeva dal clero un alto livello sia spirituale e che culturale, era solita contemplare l’immagine del Crocifisso Nero di Wawel, la santa regina attingeva amore e forza per regnare servendo, lo slancio missionario, l’umiltà di cuore, l’altruismo e la pace nel soffrire e nell’agire. Diverse fonti ricordano come fosse solita assistere alla Messa nei giorni feriali, anche durante i suoi viaggi. La croce l’accompagnò sempre nel suo pellegrinaggio terreno, anche nelle circostanze più difficili: la morte prematura del padre, il distacco dalla casa paterna a Buda, l’incoronazione a Regina all’età di dieci anni in un regno a lei ignoto, la rassegnazione circa i falliti progetti matrimoniali dell’infanzia, la tragica morte della madre e dell’ultima sorella, le calunnie diffuse nei suoi riguardi nelle corti europee, il tentativo di creare discordia fra lei e suo marito Ladislao Jagello più anziano di lei, ma in tutte le numerose e complesse difficoltà politiche e umane in cui venne a trovarsi, Edvige seppe sempre prodigarsi con tutto l’amore possibile; morì all’età di appena 25 anni; patrona delle regine e della Polonia.
17 luglio: sant’Alessio mendicante, figlio di ricchi genitori romani, la sua vita è conosciuta attraverso tre tradizioni, una siriaca, una greca e una romana; secondo la leggenda siriaca era fidanzato con una donna virtuosa che convinse, la sera delle nozze, a rinunciare al matrimonio, si imbarcò per la Siria del nord (l’attuale Turchia) per arrivare poi alla città di Laodicea e poi a Edessa (l’attuale Urfa), dove si finse mendicante e tutto quello che raccoglieva di giorno, lo distribuiva di sera ai poveri della città, ad Edessa, poco prima di morire come mendicante in un ospedale, rivelò di appartenere ad una famiglia nobile romana e di aver rifiutato il matrimonio per consacrarsi a Dio; così gli furono tributati gli onori degli altari; secondo la versione greca e romana, invece, dopo una vita da mendicante in paesi lontano, fece ritorno diciassette anni più tardi a Roma alla casa paterna, dove nessuno lo riconobbe: qui visse come servo dei suoi stessi genitori dormendo in un sottoscala, prima di morire scrisse in un biglietto tutta la sua vita, della rinuncia del matrimonio e della partenza a Edessa. Secondo la leggenda solo il papa riuscì ad aprire la sua mano e a leggere il biglietto, provocando la sorpresa dei genitori, alla morte del santo si sprigionò prodigiosamente un suono festoso di campane.
Mentre la Chiesa Ortodossa festeggia il 17 luglio: santa famiglia Romanov, lo zar Nicola Aleksandrovic nacque il 6 maggio 1868, sin dall’infanzia si mostrò religiosissimo, mite, desideroso di essere un vero padre per il suo popolo, ma anche irrisoluto, influenzabile, incapace di assumersi la responsabilità del necessario rinnovamento politico e sociale: in una parola, non certo adatto a reggere il peso del trono nei tempi tragici che avrebbe avuto in sorte di vedere, alla morte del padre, l’autoritario Alessandro III, Nicola II salì al trono, poco dopo sposò la principessa Alice d’Assia, che si convertì all’ortodossia prendendo il nome di Aleksandra Fedorovna, la coppia ebbe quattro figlie, ma l’atteso erede maschio nacque solo nel 1904, l’anno precedente lo zar e la moglie avevano partecipato alla beatificazione di san Serafino di Sarov, al quale avevano chiesto la grazia di un erede. Fortemente unita e ammirevole nella sua fede, la famiglia imperiale era però del tutto avulsa dalla realtà politica e sociale dell’epoca, e per di più soggiaceva all’influsso di inaffidabili consiglieri, quali il famoso Rasputin. Lo scoppio della guerra mise a nudo tutte le contraddizioni e le difficoltà della società russa, incapace di reggere il confronto con le più avanzate nazioni dell’Europa occidentale se non al prezzo di inauditi sacrifici. Nel febbraio 1917 scoppiarono a Pietrogrado le prime avvisaglie della bufera rivoluzionaria. Lo zar era al fronte, al quartier generale, poco o nulla informato di quanto avveniva nella capitale, una delegazione lo raggiunse sollecitandolo ad abdicare per la salvezza del paese, angosciato per le sorti del suo paese, Nicola abdicò. Si ricongiunse allora alla famiglia nella residenza di Carskoe Selo, dove venne tenuto sotto stretta sorveglianza. La situazione si fece disperata dopo la Rivoluzione di Ottobre e la presa del potere da parte dei bolscevichi. Alla fine dell’aprile 1918, il governo sovietico ordinò che la famiglia imperiale venisse trasferita a Ekaterinburg, sugli Urali. Gli ultimi mesi di Nicola e dei suoi familiari furono angosciosi e umilianti. Sottoposti alla violenza e alla volgarità dei loro futuri carnefici, lo zar, la moglie, i figli e i domestici, che avevano voluto seguirli sino alla morte, mostrarono un’ammirevole dignità e una fede forte e incrollabile, negli ultimi giorni i prigionieri vennero trattati con estrema durezza; la notte tra il 3 e il 4 luglio i prigionieri vennero svegliati e fatti rivestire; si spiegò loro che dovevano essere nuovamente trasferiti, al pianterreno li attendeva invece il plotone d’esecuzione. Lo zar e la sua famiglia affrontarono anche quest’ultima prova con dignità e coraggio, rivolgendo a Dio un’ultima preghiera. Insieme a Nicola II vennero fucilati la moglie Aleksandra, le figlie Olga, Tatjana, Marja, Anastaija, l’erede al trono Aleksej, il medico e tre fedeli servitori. I corpi degli uccisi vennero occultati e distrutti nel timore di manifestazioni popolari. I membri della famiglia imperiale sono stati canonizzati dalla Chiesa russa in esilio il 19 ottobre 1981 insieme con gli altri neomartiri e confessori della Russia, identico provvedimento fu poi adottato dal Patriarcato di Mosca il 15 agosto 2000.