a cura di don Riccardo Pecchia
Mercoledì 27 luglio la chiesa festeggia san Pantaleone di Nicomedia, nato nella seconda metà del III secolo da Eustorgio, uomo molto ricco e pagano e da Eubula, profondamente credente, fin da ragazzino trovò grande interesse per tutto ciò che riguardava l’arte medica, intraprese studi di medicina. Conquistato dal sapere di Pantaleone, l’imperatore pagano Massimiano, lo nominò suo medico personale, divenne anche amico della moglie dell’imperatore e un giorno le raccontò di aver ricevuto un’educazione cristiana, tentando l’imperatrice ad abbracciare la sua fede, ma il tribuno Valerio ascoltava di nascosto e invidioso accusò Pantaleone davanti all’imperatore di essere cristiano; a Massimiano succedette Galerio, che lo fece gettare in carcere e ordinò di sottoporlo alle più atroci torture, ma dato che il medico si rifiutava ostinatamente di rinunciare alla sua fede, gli furono inchiodate le braccia sulla testa, che poi il boia gli mozzò, era il 27 luglio, probabilmente dell’anno 305; essendo nato negli anni dal 275 al 280, Pantaleone doveva avere dai 25 ai 30 anni; patrono delle ostetriche e dei medici (insieme ai santi Cosma e Damiano).
27 luglio: san Raimondo Zanfogni detto Palmerio, avviato giovanissimo dai genitori al mestiere di ciabattino, dopo la morte del padre fu condotto dalla madre in pellegrinaggio a Gerusalemme, sulla strada del ritorno, la madre si ammalò e morì; il figlio ancora adolescente (forse quindicenne) rientrò da solo a Piacenza, dove fu in qualche modo assistito dai parenti, poi si sposò presto e si avviò al mestiere di ciabattino, dal matrimonio nacquero cinque figli, ma morirono tutti, forse a causa di un’epidemia, nacque in seguito un sesto figlio, Gerardo, dopo la nascita del piccolo morì anche la moglie di Raimondo, a questo punto, l’uomo lasciò la casa al figlioletto, che fu affidato ai parenti e partì in pellegrinaggio verso San Giacomo di Compostela, da qui, si recò poi in altri santuari, finché, giunto a Roma, ebbe una visione che lo spinse a ritornare a Piacenza, dove si dedicò ai poveri, agli emarginati e alle prostitute, ma sollecitò anche i ricchi e le istituzioni cittadine a intervenire in loro aiuto, alla sua morte, a 60 anni, era considerato già santo.
27 luglio: beata Maria Maddalena Martinengo, apparteneva alla nobile famiglia dei conti da Barco di Brescia, il padre, conte Leopardo, era Capitano della Repubblica Veneta, di salute cagionevole, perse presto la madre Margherita Secchi d’Aragona, per le complicazioni del parto morì dopo cinque mesi e il padre l’affidò alle Suore Orsoline di Santa Maria degli Angeli, superata la contrarietà del genitore abbracciò la vita monastica tra le cappuccine di Nostra Signora della Neve di Brescia, prendendo il nome religiosa di suor Maria Maddalena. Nel monastero scelse di dedicarsi alle faccende più umili (cucina, portineria), ma poi fu nominata maestra delle novizie e poi badessa; si distinse per le opere di penitenza e le doti mistiche tra cui la stigmatizzazione invisibile, il matrimonio mistico e le frequenti visioni. Le sue continue mortificazioni sconcertanti, centinaia di aghi conficcati in tutte le parti del corpo, discipline, cilizi, incisioni, bruciature con maglie di ferro e fuoco e zolfo, senza dimenticare le notti mistiche e le interne misteriose azioni dello Spirito, tutto passò quasi nel segreto di una vita ordinaria: «Tutta la mia vita è uno sproposito. Soffro di non soffrire». Nel 1737 rinunciò al ministero di abbadessa ed il suo corpo era ormai sfinito. Soggetta a prolungati svenimenti le consorelle poterono constatare, nel suo corpo martirizzato, i segni delle sue tremende penitenze e delle stimmate di diversi tormenti della passione del Signore. Il tramonto fu rapido e sereno, gioì quando seppe che la fine era imminente ed alle consorelle che piangevano, con tenerezza materna, donava le more che aveva in un piccolo canestro. Pregava con versetti biblici, poi la si udì sussurrare: «Vengo, vengo, Signore!»; per obbedienza al suo confessore, scrisse la sua vita e le sue esperienze, serenamente spirò, malata di tubercolosi, il 27 luglio 1737, stava per compiere 32 anni di vita religiosa e 50 anni di età.
27 luglio: venerabile Maggiorino Vigolungo, nasce a Benevello d’Alba (Cuneo) il 6 maggio 1904, fin da piccolo Maggiorino si mostra di intelligenza aperta e di temperamento allegro e molto vivace, vuole essere il primo in tutto: nello studio, nel gioco, nel lavoro, nella bontà. L’incontro con don Alberione apre il suo cuore alla concretezza dei suoi sogni, perché quel giovane prete è un sognatore anche lui, di quelli che afferrati da Cristo, trasmettono il fuoco della missione, così il 15 ottobre 1916 entra nella Scuola Tipografica, la futura Società San Paolo, per divenire un apostolo della comunicazione: ha appena 12 anni, vuole “farsi santo, presto santo, grande santo” e ci riesce, perché in soli due anni compie tutto il percorso della santità cristiana: il 27 luglio 1918, all’età di 14 anni, come una meteora, a causa di una grave malattia, è colpito da una grave forma di meningite, lascia questo mondo ed entra nella vita che non ha fine. Il suo programma di vita è stato pienamente realizzato: «Progredire un tantino ogni giorno».
27 luglio: san Celestino I, 43º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nulla conosciamo della sua giovinezza, tranne che era romano e il Liber pontificalis lo dice figlio di un certo Prisco e originario della Campania, si dice che abbia vissuto per un certo periodo a Milano con sant’Ambrogio. Celestino succedette a papa Bonifacio I il 10 settembre 422 e morì, presumibilmente, il 27 luglio 432, dopo aver regnato per nove anni, dieci mesi, e sedici giorni, nonostante i tempi turbolenti che correvano a Roma, fu eletto senza alcuna opposizione, come si evince da una lettera di sant’Agostino (Epistola CCLXI), scrittagli poco dopo la sua elevazione, Celestino e Agostino erano legati da una forte amicizia e che dopo la morte di quest’ultimo, Celestino scrisse una lunga lettera ai vescovi di Gallia sulla santità, la cultura e lo zelo del santo nella quale vietava tutti gli attacchi alla sua memoria da parte dei semipelagiani; sebbene il suo destino si giocasse in tempi burrascosi, dato che i Manichei, i Donatisti, i Noviazianisti ed i Pelagiani stavano turbando la pace della Chiesa e che le orde barbariche stavano iniziando le loro incursioni nel cuore dell’impero, il carattere fermo ed al tempo stesso gentile di Celestino lo rese in grado di adempiere con successo a tutti i doveri che comportava la sua posizione, sostenne dappertutto i diritti della Chiesa e la dignità del suo ufficio, al pontificato di Celestino si attribuisce l’introduzione della salmodia nella liturgia romana della messa, prima della “missa fidelium”, in aggiunta alle letture tratte dalle epistole di Paolo e dal vangelo: il canto dei salmi era eseguito a cori alternati da tutto il popolo, veniva così recepito un uso che in Oriente e a Milano, dal tempo di Ambrogio, era ormai una consuetudine.