a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 21 settembre la chiesa celebra san Matteo evangelista, nacque a Cafarnao, in Galilea, verso la fine del I secolo a.C. Non si hanno notizie biografiche relative ai primi di vita, si chiamava Levi, alcuni suppongono che abbia cambiato il nome come una forma tipica dell’epoca, per indicare il cambiamento di vita, in quanto pubblicano, era membro di una delle categorie più odiate dal popolo ebraico. In effetti a quell’epoca gli esattori delle tasse pagavano in anticipo all’erario romano le tasse del popolo e poi si rifacevano come usurai tartassando la gente. I sacerdoti, per rispettare il primo comandamento, vietavano al popolo ebraico di maneggiare le monete romane che portavano l’immagine dell’imperatore. I pubblicani erano quindi accusati di essere peccatori perché veneravano l’imperatore. Gesù passò vicino a Levi e gli disse semplicemente Seguimi (Mc 2,14). E Matteo, alzatosi, lo seguì. Immediatamente Matteo tenne un banchetto a cui invitò, oltre a Gesù, un gran numero di pubblicani e altri pubblici peccatori. Dalla tradizione storica risulta che Matteo predicò agli Ebrei di Palestina, poi si recò presso altre genti; quali esse siano è incerto, si pensa all’Etiopia, al Ponto, alla Persia, alla Macedonia, all’Irlanda. Si racconta che l’Etiopia fu evangelizzata dall’apostolo Matteo e si fa risalire a lui la conversione del re Egipo e di tutta la sua famiglia. Il racconto si sofferma particolarmente sulla figlia del re, Ifigenia, la quale dopo il battesimo si consacrò al Signore e fu messa da Matteo a capo di duecento vergini. Dopo la morte del re, il fratello Itarco, usurpò il trono e per ragioni di stato voleva in sposa sua nipote Ifigenia. La sua resistenza fu tale che Itarco cercò in Matteo il suo ambasciatore presso la giovane, ma egli ben lungi dal prestarsi ai desideri del re, anzi lo invitò ad ascoltare una sua predica che avrebbe tenuto il sabato successivo nel tempio al cospetto di tutta la popolazione. Quel sabato l’apostolo proclamò solennemente che il voto di matrimonio di Ifigenia con il re celeste non sarebbe potuto essere infranto per il matrimonio con un re terreno perché se un servo usurpasse la moglie del suo re sarebbe giustamente arso vivo. Il santo sarebbe stato ucciso sull’altare mentre celebrava la messa, trafitto a colpi di spada da un sicario inviato dal re. Ifigenia distribuì i suoi beni al clero e chiese che fosse costruita una grande chiesa in onore dell’Apostolo. Nel Martirologio Romano si legge che evangelizzò l’Etiopia e vi subì il martirio. Al 6 maggio il Martirologio pone la traslazione del corpo di Matteo dall’Etiopia a Salerno passando per Paestum; Morì il 21 settembre 69 d.C.; patrono dei banchieri, contabili, ragionieri.
21 settembre: san Giona di Ninive, VIII secolo a.C., è un profeta ebreo, quinto dei dodici profeti minori; protagonista dell’omonimo libro dell’Antico Testamento; la sua celebre uscita dal ventre di un grosso pesce è interpretata nel Vangelo come prefigurazione della Risurrezione del Signore. Figlio di Amittai, compare due volte nell’Antico Testamento e non si hanno altre notizie su di lui. Giona fu infatti inviato da Dio a predicare a Ninive, grande capitale orientale assira, ma egli preferì invece imbarcarsi per Tarsis. Il mare burrascoso ed il mostro marino che lo inghiottì simboleggiano la morte, una dura prova, ma anche infine una sorta di liberazione. Purificata la sua anima, il profeta dovette rassegnarsi a recarsi a Ninive ed il successo della sua missione è così descritto: «I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì». La vicenda di Giona non termina però qui. Infatti questo profeta un pò petulante ebbe ancora a trovare di che lamentarsi. Sostando quietamente sotto un frondoso albero di ricino, in cuor suo macinava di astio aspettandosi che i niniviti, nemici di Israele, non si sarebbero convertiti, tanto da scatenare la collera e la giustizia divina anziché il perdono. Un verme si attaccò allora alle radici dell’albero e lo fece inaridire. Cadute le foglie, il sole prese a battere sul capo di Giona e si sollevò per di più il caldo vento del deserto. È facilmente immaginabile la protesta di questo poveruomo, adirato con tutti, compreso Dio. La voce di quest’ultimo risuonò però nuovamente forte e chiara, svelando la lezione di questa parabola, attacco ad ogni forma di grettezza, chiusura, integralismo e razzismo ed al tempo stesso celebrazione della volontà divina di salvezza per ogni creatura: «Tu ti dai pena per quella pianta di ricino ed io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone ed una grande quantità di animali?». Il libro biblico intitolato a Giona vuole dunque essere un’esaltazione della misericordia divina, più che della vita di Giobbe. Secondo un’antica tradizione le spoglie di Giona si troverebbero nella Cattedrale di Nocera Inferiore. Il vescovo Simone Lunadoro descrive, in una lettera inviata all’amico Alcibiade Lucarini: Intorno all’origine della Città di Nocera e suo Vescovado, il ritrovamento del corpo del profeta venuto alla luce.
21 settembre: Servo di Dio Rosario Livatino, nacque a Canicattì (Agrigento) il 3 ottobre 1952, da una famiglia borghese. Rosario trascorre un’infanzia serena, nella semplicità e nel decoro di una famiglia, appartata e schiva, che lo segue con attenzione e tenero affetto. Conseguita la maturità presso il liceo classico Ugo Foscolo, dove si impegnò nell’Azione Cattolica, nel 1971 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Palermo presso la quale si laureò il 9 luglio 1975, a 22 anni con il massimo dei voti e la lode. Giovanissimo entrò nel mondo del lavoro vincendo il concorso per vicedirettore in prova presso la sede dell’Ufficio del Registro di Agrigento dove restò dal 1 dicembre 1977 al 17 luglio 1978. Nel frattempo però partecipa con successo al concorso in magistratura e superatolo lavora a Caltanissetta quale uditore giudiziario passando poi al Tribunale di Agrigento, dove per un decennio, dal 29 settembre 1979 al 20 agosto 1989, come Sostituto Procuratore della Repubblica, si occupò delle più delicate indagini antimafia, di criminalità. Fu proprio Rosario, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un ministro dello Stato. Dal 21 agosto 1989 al 21 settembre 1990 Rosario prestò servizio presso il Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione. Il 21 settembre del 1990 Rosario, giudice al tribunale di Agrigento esce da casa, sale sulla sua auto quando, viene raggiunto da quattro giovani armati, assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa nostra, sulla SS 640 Agrigento-Caltanissetta mentre si recava, senza scorta, in tribunale. «Che vi ho fatto?». Ha solo il tempo di pronunciare questa breve frase. Tentò disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo ad una spalla, fu raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola. Un giudice inflessibile, che non si piega al malaffare, che della legge ha un’idea altissima. La sua passione per il dovere era infatti legata alla certezza che il male e l’ingiustizia sono destinati ad essere vinti dalla forza del bene e dalla verità. E ha pagato con la vita questa sua convinzione. Morì il 21 settembre 1990, a 38 anni