a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 16 gennaio: san Marcello I, 30° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica e martire; romano, fu eletto papa dal clero romano intorno alla metà del 308. Marcello sarebbe stato scelto come successore di Marcellino già alla fine del 306, ma avrebbe potuto essere consacrato e prendere possesso del soglio solo il 27 maggio 308. Alla sua ascensione ufficiale, trovò la chiesa in una situazione disastrosa. I luoghi di riunione e alcuni cimiteri erano stati confiscati e le attività ordinarie erano state interrotte. Oltre a questo, erano sorti dissensi interni causati dal gran numero di persone che avevano abiurato la fede durante la persecuzione e che, sotto la guida di un apostata, pretendevano di essere riammessi in comunione senza fare atto di penitenza, perché, a loro avviso, la lunga vacanza della sede apostolica, dopo l’abdicazione dello stesso pontefice Marcellino, permetteva di ritenere tali procedure ormai obsolete e superate. Una volta eletto, Marcello si accinse immediatamente alla riorganizzazione della Chiesa. Secondo il Liber Pontificalis suddivise il territorio metropolitano in 25 distretti (tituli) assimilabili alle odierne parrocchie, a capo dei quali era posto un presbitero che sovrintendeva alla preparazione dei catecumeni, al battesimo, alla somministrazione delle penitenze, alle celebrazioni liturgiche e alla cura dei luoghi di sepoltura e della memoria. Il suo nome, comunque, è legato soprattutto alla fondazione del cimitero di Novella, sulla via Salaria, di fronte al cimitero di Priscilla. Il lavoro del papa fu, però, presto interrotto dalla controversia dei lapsi. Marcello, forte sostenitore delle antiche tradizioni, irrigidì la sua posizione e pretese da coloro che volevano essere riammessi la penitenza. Massenzio, infuriato per la riorganizzazione della Chiesa intrapresa da Marcello, pretese dal papa che rinunciasse alla sua dignità episcopale e che sacrificasse agli dèi pagani, proprio come il predecessore. Al suo rifiuto, questi fu condannato a lavorare come schiavo presso una stazione postale (catabulum) di Roma. Dopo nove mesi fu liberato dal clero romano, ma fu nuovamente condannato per aver consacrato la casa della matrona Lucina presso la via Lata. La condanna consisteva nell’accudire ai cavalli ricoverati presso lo stesso catabulum. Marcello morì in esilio poco dopo aver lasciato Roma e fu subito venerato come santo; patrono degli stallieri e degli allevatori di cavalli.
16 gennaio: san Tiziano di Oderzo, nacque ad Eraclea (anticamente Melidissa), nel 555 d.C. Ebbe come maestro san Floriano, vescovo di Opitergium (attuale Oderzo), da lui educato ed istruito come meglio era possibile in quei tempi. Crescendo in età, Tiziano sentì maturare in lui la vocazione al sacerdozio, sollecitato dalla sua inclinazione a mettersi al servizio della povera gente, ma ancor più sull’esempio del suo maestro san Floriano. Questi lo ordinò prima diacono, poi sacerdote e avendo dato prova di un’eccellente preparazione pastorale, a Tiziano fu affidato l’incarico di economo diocesano e arcidiacono della Chiesa opitergina. Le sue attività caritatevoli lo resero noto nella regione, tanto che quando Floriano lasciò la propria cattedra vacante per andare a farsi missionario tra i pagani, con la speranza di cogliere la palma del martirio, Tiziano fu eletto suo successore a furor di popolo. Visse religiosamente e divenne noto per le sue predicazioni e per il suo netto rifiuto dell’Arianesimo, che negava la divinità di Cristo, allora diffuso tra le popolazioni longobarde. Morì a Oderzo (Treviso) il 16 gennaio 632; patrono della città di Vittorio Veneto.
16 gennaio: santi Protomartiri Francescani, Berardo suddiacono, Pietro, Ottone sacerdoti e Adiuto e Accursio frati laici, definiti anche Protomartiri Francescani, provenienti da località adiacenti alla città di Terni, furono tra i primi ad abbracciare la vita minoritica, furono i primi missionari inviati da san Francesco d’Assisi nelle terre dei Saraceni. Sono stati i primi martiri dell’Ordine francescano, uccisi in Marocco il 16 gennaio 1220. In principio si portarono a Siviglia, in Spagna, dove iniziarono a predicare la fede di Cristo nelle moschee. Vennero malmenati, fatti prigionieri e condotti davanti al sultano almohade Muhammad al-Nasir detto Miramolino, in seguito trasferiti in Marocco con l’ordine di non predicare più in nome di Cristo. Nonostante questo divieto continuarono a predicare il Vangelo, per questo furono di nuovo imprigionati e dopo essere stati sottoposti più volte alla fustigazione, decapitati il 16 gennaio 1220. Francesco, all’annuncio dell’uccisione dei suoi frati esclamò: «Ora posso dire con sicurezza di avere cinque Frati minori». Le salme vennero trasferite a Coimbra, in Portogallo. Fu in tale contesto che sant’Antonio di Padova, giovane agostiniano, che era a Coimbra, e che sembra avesse conosciuto in precedenza i martiri al loro passaggio in Portogallo diretti in Marocco, ebbe la vocazione ad entrare nell’ordine francescano. Vennero canonizzati nel 1481 da papa Sisto IV, anch’egli francescano, il 7 agosto 1481, con la bolla Cum alias.
16 gennaio: , nacque il 14 marzo 1841 a Cividate Camuno (Brescia). La prima educazione che riceve è particolarmente austera, come volevano le tradizioni religiose, e quindi morali ed educative del luogo. Alla severità familiare si aggiunge la ferrea disciplina adottata nelle scuole elementari, che frequenta prima nel paese natale e poi a Breno. Nel 1852 viene affidato al collegio municipale di Lovere, dove rimane per sei anni. La disagiata condizione economica della famiglia minaccia però di fargli interrompere gli studi. Interviene allora in aiuto uno zio sacerdote, don Giambattista Malaguzzi, che gli fa ottenere un posto gratuito presso il Collegio per giovani poveri, fondato a Verona dal Servo di Dio don Nicola Mazza. Nel luglio 1859 gli muore il padre e lui si trova a 18 anni con cinque fratelli minori da mantenere e una situazione economica disastrosa. Abbandona così l’idea di farsi missionario, dopo lunga e sofferta meditazione sul proprio stato; per tutti era chiaro, data la sua vita di giovane integerrimo e religioso, che si sarebbe fatto sacerdote, quindi fu grande meraviglia quando Giuseppe, conseguita la licenza liceale nel 1860, si scrive, come privatista, alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Un sacerdote lo aiuta a rimanere ospite del “Collegio don Mazza”, trovandogli un lavoro presso lo studio di un avvocato. Il 7 agosto 1865 si laurea, ma la gioia è offuscata dalla perdita della mamma. Si mette a lavorare presso gli studi di un avvocato e di un notaio di Lovere, mentre ha anche il compito di vicerettore e professore nel Collegio municipale locale, questo incarico durerà due anni, con la soddisfazione di tutti; si distingue perché è il solo a recitare le preghiere prima e dopo le lezioni e far la Comunione ogni domenica. Nel 1867 si trasferisce a Brescia, dove, divenuto avvocato, entra nello studio dell’avvocato Giordano Corbolani. Dal 1871 al 1874 viene eletto sindaco di Cividate, promuove varie iniziative per attuare opere pubbliche, sgrava il Comune dai molti debiti; fonda nel 1872 la Banca di Vallecamonica in Breno; inizia gli studi per un collegamento ferroviario che va da Brescia ad Edolo, per risollevare l’economia della Valle. Il 6 gennaio 1875 si unisce in matrimonio con Emilia Corbolani, figlia del titolare dello studio dove lavora. Dalla loro unione nascono ben 10 figli, di cui uno diverrà sacerdote e due religiose; si dimostra padre affettuoso e premuroso, educatore attento ad inculcare nei figli i principi della morale cattolica. Sostiene memorabili battaglie nei Consigli comunale e provinciale, ma soprattutto promuove iniziative del tutto originali, fondando, nel 1882, l’asilo «Giardino d’Infanzia S. Giuseppe» e il collegio «Ven. A. Luzzago»; il Patronato degli studenti presso i padri della Pace nel 1889; l’Opera per la conservazione della fede nelle scuole d’Italia nel 1890. Nel 1888 fonda a Brescia la Banca San Paolo e, nel 1896, a Milano il Banco Ambrosiano. L’educazione cristiana, l’azione pedagogica, la scuola costituiscono la sua opera preminente, per questa si sente apostolo e missionario, e vi si dispone come ad una crociata in difesa della fede. Il dinamismo del Tovini si rivela veramente sorprendente, se si considera la sua gracile costituzione e le precarie condizioni di salute che, a partire dal 1891, di anno in anno andavano peggiorando. Giuseppe morì il 16 gennaio 1897, all’età di 55 anni