a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 1 novembre è la Solennità di tutti i Santi, festa di precetto, è occasione propizia per elevare lo sguardo verso i fratelli che ci hanno preceduto con il loro esempio e la loro santità e vivono ormai nella gloria di Dio. Dal IV secolo in poi, le Chiese dell’Oriente celebravano una festa comune a tutti i martiri della terra. La festa dei Martiri di Tutta la Terra, con il trascorrere del tempo, è diventata quella di Tutti i Santi, chiamata anche Ognissanti. La ricorrenza della chiesa occidentale potrebbe derivare dalla festa romana della Dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres, ovvero l’anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio del 609 o 610 da parte di papa Bonifacio IV. Il pontefice Gregorio III, più tardi, scelse il 1 novembre come data dell’anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie “dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo”. Arrivati ai tempi di Carlo Magno, la festività di Ognissanti era diffusamente celebrata in novembre. Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Il 1 novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell’835. Il decreto fu emesso “su richiesta di papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi”. La festa si dotò di ottava solenne ancora presente nel rito straordinario della Chiesa durante il pontificato di papa Sisto IV, quando, bandendo la crociata per la liberazione di Otranto nel settembre 1480, il pontefice implorò la benedizione dell’Altissimo sulle schiere cristiane. Oggi è una festa di speranza: “l’assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
1 novembre: san Cesario di Terracina, nacque a Cartagine (Africa settentrionale) nell’84 d.C., da un mercenario e da una nobildonna, entrambi discendenti dalla rinomata Gens Iulia, stanziata a Cartagine durante la riorganizzazione dei territori africani da parte di Giulio Cesare e si sarebbe trasferito a Terracina all’epoca dell’imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano. Quando la zona di Cartagine divenne oggetto di predicazione da parte degli apostoli di Gesù, la sua famiglia decise di convertirsi al cristianesimo, dal quale il giovane Cesario rimase enormemente affascinato. Decise perciò di fare voto di diaconato, con il compito di diventare servitore di Dio, missione che assolse con una incessante opera tesa a formare comunità cristiane caratterizzate da amore e libertà. Aveva superato la fase dell’adolescenza, quando decise di recarsi a Roma, dove il cristianesimo era ancora illegale. Mentre era in viaggio alla volta di Roma per diffondere il Vangelo, a causa di un naufragio giunse a Terracina, una città situata all’estremità meridionale dell’Agro Pontino, dove si sarebbe imbattuto in Luciano, un giovane destinato ad essere sacrificato in una cerimonia del 1 gennaio. Ogni anno era consuetudine immolare al dio Apollo il ragazzo più bello della città, il quale – dopo essere stato esaudito in tutti i suoi desideri e nutrito con prelibati cibi per circa otto mesi, doveva indossare magnifiche armi, montare su un cavallo riccamente bardato, salire fino alla sommità del Monte Sant’Angelo e gettarsi nel vuoto con il recalcitrante cavallo per schiantarsi contro le rocce e perire tra le onde insieme alla sua cavalcatura; il suo sacrificio avrebbe assicurato al suo nome fama e gloria immortale ed ottenuto la salvezza dei suoi concittadini. Il sacerdote pagano incaricato al sacrificio umano si chiamava Firmino, il quale avrebbe approfittato dello stato di ignoranza dei suoi cittadini per convincerli a compiere questa sanguinaria azione. Quando il diacono Cesario vide per la prima volta Luciano, chiese alla folla cosa significasse tutto questo splendore di cui questi era circondato, e riuscito a sapere la storia di questa antica usanza, si indignò per questa barbarie ed aspettò il giorno stabilito per la cerimonia facendo veglie, digiuni e preghiere. Arrivato il 1 gennaio, Luciano avrebbe sacrificato una scrofa per la salvezza dei suoi cittadini nel Tempio di Apollo, dal quale sarebbe partita la solenne processione che lo avrebbe condotto verso il monte. Nonostante i vari tentativi di Cesario al fine di interrompere il barbaro rito, il giovane Luciano si sarebbe gettato dall’alto del monte ed il diacono, ed avendo protestato contro questa folle tradizione presso il falso sacerdote Firminio, venne arrestato con l’accusa di lesa maestà e condotto da un console di nome Leonzio, che gli ordinò di sacrificare al dio Apollo. Il console Leonzio avrebbe deciso di condurre Cesario davanti al tempio di Apollo: se il diacono avesse rinnegato la sua fede in Cristo ed offerto incenso e preghiere alla loro divinità pagana, sarebbe stato lasciato in libertà e perdonato sulla base del suo pentimento. Trascorso un anno di dura prigionia, dopo aver digiunato per tre giorni, Cesario rifiutò di abiurare alla sua fede, allora fu condotto nel luogo centrale della città, il Foro Emiliano, dove il console Leonzio si sarebbe improvvisamente convertito e sarebbe morto dopo aver ricevuto i sacramenti da un sacerdote di nome Giuliano. Il corpo di Leonzio sarebbe stato salvato dalla sua famiglia e sepolto in “Agro Varano”, nelle vicinanze della città, il giorno 30 ottobre. Il suo successore alla carica, un certo Lussurio, primo cittadino del luogo, avrebbe quindi condannato Cesario e Giuliano ad essere gettati nel mare di Terracina, dalla guglia di Pisco Montano, chiusi in un sacco riempito di pietre, con mani e piedi legati, morendo soffocati. Morì il 1 novembre 107 d.C.
011 novembre: beato Rupert Mayer, nacque a Stoccarda (Germania) il 23 gennaio 1876, in una famiglia con molti fratelli. Ottenuta la maturità, nel 1894, studiò filosofia e teologia a Friburgo (Svizzera), a Monaco di Baviera e a Tubinga. Il 2 maggio 1899 fu ordinato prete a Rottenburg. Dal 1912 lavorò come padre gesuita a Monaco di Baviera. Si dedicò alle missioni popolari, fu cappellano degli immigrati e, dopo il 1914, militare nella prima Guerra Mondiale. Ferito e amputato alla gamba sinistra, riprese il ministero pastorale specialmente tra i poveri. Nel novembre del 1921 assunse la direzione della Congregazione Mariana degli uomini di Monaco, dirigendola in modo ammirevole. Vedendo nel nascente movimento nazista un grande pericolo incombente sull’umanità, predicò che i cattolici non avrebbe mai potuto essere nazionalsocialisti essendo le due cose incompatibili. Quando Hitler si impadronì del potere, egli continuò a sostenere coraggiosamente la sua idea e per questo venne più volte arrestato. Nonostante il divieto di raccogliere fondi per la Caritas, sfidò i nazisti di Monaco mettendosi davanti alla chiesa di San Michele e raccogliendo denaro per questa istituzione cattolica. Per via delle sue coraggiose prediche antinaziste la Gestapo lo arrestò e gli proibì di predicare. Lui, una volta rilasciato, continuò con i suoi sermoni sempre più coraggiosi. Il 5 gennaio 1938 fu nuovamente arrestato ed imprigionato nel campo di concentramento di Landsberg. Grazie ad un accordo, fu rilasciato il 3 maggio e don Rupert non predicò più, ma categoricamente si rifiutò di svelare il segreto confessionale. Il 3 novembre fu incarcerato una terza volta e portato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, presso Berlino, lontano dalle comunità cattoliche tedesche. Visto che il suo stato di salute si deteriorava sempre di più, i nazisti, per non far di lui un martire, lo internarono nel monastero di Ettal vicino ad Oberammergau, dove non poteva avere contatti con il mondo esterno. In quel luogo conobbe per pochi mesi il pastore evangelico Dietrich Bonhoeffer, anch’esso antinazista. A guerra finita, padre Mayer tornò a Monaco, nel convento dei Gesuiti. Il 1 novembre 1945, mentre stava predicando dal pulpito della chiesa di Michaelskirche, morì per un attacco cardiaco.