a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 14 aprile si celebrano i santi Valeriano, Tiburzio e Massimo, nacque a Roma nel 177 d.C., nobile cavaliere romano, fu convertito dalla moglie santa Cecilia il giorno del loro matrimonio. Prima di sposarsi, Cecilia gli avrebbe comunicato il suo voto di perpetua verginità, dicendogli: «Nessuna mano profana può toccarmi, perché un angelo mi protegge. Se tu mi rispetterai, egli ti amerà, come ama me». Valeriano accettò e si convertì al cristianesimo, divenendo, come la moglie, un fedele di papa Urbano I, da questi battezzato. Ma la persecuzione verso i cristiani infuriava e il prefetto Almachio lo condannò a morte con il fratello Tiburzio, anche lui convertitosi al cristianesimo, per aver dato una sepoltura a dei cristiani giustiziati ed entrambi per aver ripudiato gli dei pagani, furono affidati al cornicularius Massimo il loro carceriere, un ufficiale in seconda del console che però, prima di far eseguire la sentenza, si convertì a sua volta al Vangelo di Cristo. Una scelta che gli costò la vita: anch’egli fu martirizzato pochi giorni dopo i due fratelli. Subirono il martirio a Roma il 14 aprile 229.
14 aprile: santa Lidwina di Schiedam, nacque a Schiedam (Olanda) il 18 marzo 1380, era l’unica figlia femmina di altri otto figli maschi. Bella ragazza, richiesta in sposa già a 12 anni, rifiutò il matrimonio a cui i parenti la volevano costringere, chiedendo a Dio di amare lui solo. A 16 anni, cedendo alle insistenze di alcune amiche, andò con loro a pattinare sul ghiaccio, e, cadendo, si ruppe alcune costole e da lì inizia una serie di problemi di salute fra i quali emergono ben presto da sintomi neurologici che diventano sempre più gravi. Da allora, per 38 lunghi anni, non poté più lasciare il letto, restò paralizzata e trascorse il resto della sua vita a letto, nonostante le cure dei medici, anche perché sopraggiunsero diverse gravi infermità, tra cui il cancro, la peste e la lebbra. I sintomi peggioravano continuamente: perse la vista da un occhio, i dolori e le alterazioni della funzione muscolare la obbligarono presto a letto e le si paralizzò il braccio destro e poteva usare solo la mano sinistra. Per di più si nutre solo di poche briciole di pane spezzato nel latte e di un spicchio di mela. Passa le giornate distesa su un pagliericcio poggiato su una tavola di legno, totalmente immersa negli esercizi spirituali. Morta la mamma, è assistita da una vicina alla quale racconta le sue visioni, le sue visite in spirito agli infermi, i suoi viaggi in paradiso e all’inferno, i suoi pellegrinaggi ai santuari del tempo. Nelle ultime fasi della malattia, Lidwina ebbe visioni soprannaturali, estasi e sentì di partecipare alla Passione di Cristo. Quando, stanca ormai di soffrire, pensava di essere stata abbandonata da Dio, un miracolo le riaccese la speranza: un uomo, che stava per essere ucciso da un suo nemico, si rifugiò nella camera di Lidwina ma l’altro non lo vide, pur avendolo di fronte e nonostante che la santa gli dicesse: «Quello che cerchi è davvero qui». Il mancato assassino se ne andò e l’uomo fu salvo. All’inferma fu poi di grande aiuto un sacerdote, padre Giovanni de Pot, che parlandole del dolore innocente di Cristo, le fece capire che con la sua sofferenza avrebbe potuto contribuire alla salvezza di tante anime. Da quel momento lei accettò la missione affidatale, venendo gratificata da favori divini come apparizioni di angeli in forma umana, della Vergine e di Gesù, dal quale ebbe impresse le stigmate, dolorosissime ma, dietro sua preghiera, rese invisibili agli occhi altrui. Un giorno, dopo aver chiesto al Signore un segno dall’alto che ne confermasse la divina volontà, le apparve sulla testa un’ostia eucaristica splendente di luce, che fu vista anche da parenti e vicini, ma che fu ritenuta dal nuovo parroco, che aveva sostituto il precedente, un inganno demoniaco e l’accusò di falsità negandole la Comunione. Quel parroco fu poi destituito dal vescovo, perché si riconobbe la sua buona fede e la schiettezza delle sue sofferenze. Morì il 14 aprile 1433, a 37 anni; patrona dei pattinatori sul ghiaccio, malati cronici.