a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 14 gennaio la chiesa celebra san Felice in Pincis, le poche notizie circa la sua esistenza ci vengono fornite da san Paolino di Nola nei suoi Carmi natalizi. San Paolino di Nola quando arrivò a Nola e a Cimitile, gli dedicò ben 14 dei suoi Carmi, detti “natalizi”, perché scritti, dal 395 al 409, nella ricorrenza del “dies natalis” della festa del santo, raccogliendo per iscritto la tradizione orale appresa nel territorio nolano. Secondo Paolino, Felice nacque a Nola nella seconda metà del III secolo, figlio di un ricco siro trasferitosi in Italia per lavoro; aveva un fratello, di nome Ermia. I due fratelli, pur essendo nati dallo stesso sangue mostrarono indole e tendenze diverse: Ermia si sentì attratto dal mestiere delle armi, Felice sentì nel cuore la voce del Signore che lo chiamava ad una vita diversa. Le caratteristiche dell’apostolato di Felice si possono così sintetizzare: zelo, predicazione, vincolo filiale col proprio vescovo. Tutto sembra procedere nella tranquillità e libertà, quando, la persecuzione, si abbatte insidiosa e feroce sulla chiesa. Divenne fedele collaboratore del vescovo di Nola, Massimo, che, durante l’ultima persecuzione contro i cristiani, lasciò Nola per rifugiarsi in luogo deserto, lasciando in città il prete Felice che voleva come suo successore. Ma Felice fu imprigionato e torturato, poi liberato miracolosamente da un angelo che lo condusse nel luogo deserto, dove il vecchio vescovo Massimo era moribondo, consumato dagli stenti e dalle sofferenze. Lo rifocillò con il succo di uva miracolosa e poi caricatolo sulle spalle, lo riportò a Nola, affidandolo alle cure di una anziana cristiana. Durante la sospensione della persecuzione, Felice poté riprendere il suo ministero sacerdotale, ma, quando ricominciarono le persecuzioni, Felice è fatto ancora oggetto di odio ma il Signore lo salva sempre con interventi divini e straordinari. Ora non facendolo riconoscere, ora nascondendolo dietro un improvviso terrapieno e una tela miracolosamente intessuta da un ragno. Sfuggì alla cattura rifugiandosi in una cisterna disseccata, dove per sei mesi fu alimentato, senza essere conosciuto, da una pia donna. Cessata definitivamente la persecuzione con la pace di Costantino, nel 313, Felice ritorna a Nola, dove, morto il vecchio vescovo Massimo, viene candidato a succedergli, ma egli rifiuta a favore del prete Quinto, rinuncia anche ai beni che gli erano stati confiscati e trascorre il resto dei suoi giorni nella povertà e nel lavoro. Nonostante Felice non sia stato ucciso, è stato riconosciuto come martire per le numerose sofferenze subite durante la sua vita. Il suo corpo è seppellito presso le Basiliche paleocristiane di Cimitile. La sua tomba fu detta “Ara Veritatis”, perché gli si attribuiva particolare efficacia contro la falsa testimonianza. Felice morì il 14 gennaio 313; patrono di Cimitile.
14 gennaio: santa Cristiana di Georgia (Nino), era originaria di Colastra in Cappadocia, era figlia del generale romano Zabulone ed imparentata, da parte di padre con san Giorgio, mentre da parte di madre con Giovenale I, Patriarca di Gerusalemme. Quando aveva 12 anni il padre prese i voti monastici e si recò a vivere presso il fiume Giordano. Appena partito, il Patriarca ordinò la madre diacona. Rimasta senza il sostegno dei genitori, Cristiana fu quindi cresciuta dai propri parenti e da una anziana donna, Sara Niaphor; attraverso i racconti di quest’ultima venne a conoscenza dei primi rudimenti del cristianesimo e dell’esistenza di una terra abitata da pagani, l’Iberia, dove sarebbero state custodite le vesti di Gesù. Lo zio Giovenale la portò con sé ancora giovane a Roma, dove Cristiana prese la decisione di predicare il Vangelo in Georgia; narra infatti la leggenda che nella città le apparve in visione la Vergine Maria che, dopo averle dato una croce composta da tralci di vino intrecciati, proferì queste parole: «Vai in Iberia e annuncia là i Buoni Precetti del Vangelo di Gesù Cristo». Cristiana raggiunse i confini dell’antico Regno georgiano di Iberia intorno al 320 d.C. Qui eresse una croce cristiana nel piccolo abitato di Akhalkalaki e iniziò a predicare la propria fede nelle regioni circostanti. Unitasi a un gruppo di pellegrini in marcia per adorare la statua di un dio pagano a Urbnis, la santa rimase sbalordita dal credo della popolazione locale e, per estirparlo, pregò Dio affinché abbattesse tale statua la quale cadde dopo poco colpita da un forte vento. A Mtskheta (capitale dello Stato), si stabilì nel giardino del palazzo reale convertendo alla fede cristiana i giardinieri. Il re Mirian III e la sua nazione adoravano, in una sorta di sincretismo religioso con il vicino Impero Persiano, gli dei Armazi e Zaden. Subito dopo l’arrivo di Cristiana a Mstkheta, la regina di Iberia Nana chiese di avere un colloquio con lei. La regina, che soffriva di una grave malattia, era a conoscenza dei precetti cristiani, ma non si era voluta convertire a tale credo. Cristiana, dopo averla guarita riuscì a convincere lei, le sue due figlie e l’intera sua corte a convertirsi al cristianesimo ed a essere battezzati. Il re Mirian dopo avere saputo della conversione della moglie si dimostrò tollerante con il nuovo credo, pur rifiutando ogni sorta di contatto con la fede cristiana. Secondo la leggenda, tuttavia, mentre si trovava in una battuta di caccia, fu sorpreso dalle tenebre e si trovò a vagare per la foresta solo e senza alcun punto di riferimento. Disperato il re proferì allora una preghiera al “Dio di Nino”: «Se quel Cristo che la prigioniera ha predicato a mia moglie è veramente Dio, allora mi liberi dalla cecità, così che io possa abbandonare gli altri dei per adorarlo». Appena finita la preghiera la luce apparve e il re tornò in fretta al suo palazzo di Mtskheta. Come promesso il re rinunciò all’idolatria e, battezzato dalla santa stessa, divenne il primo re cristiano di Iberia. Su suo ordine tutta la sua corte e gli abitanti del suo Stato si convertirono alla nuova religione e, nel 327, il Cristianesimo fu proclamato religione di Stato, facendo dell’Iberia il secondo Stato cristiano dopo l’Armenia. Cristiana, dopo essere stata testimone della conversione dell’Iberia alla cristianità si ritirò sul monte Bodbe, dove morì poco dopo; patrona della Georgia.
14 gennaio: santa Macrina l’Anziana, nacque a Cesarea in Cappadocia nel 270 circa, è stata la nonna paterna dei santi Basilio Magno, Gregorio di Nissa, Pietro di Sebaste e Macrina la Giovane; in virtù della grande fede dimostrata, le Chiese cristiane la considerano santa. Poco si conosce di questa santa, tranne quello che succintamente viene raccontato dai nipoti. Durante la persecuzione di Galerio, gli avi di Basilio, discepoli di san Gregorio il Taumaturgo, vescovo di Neocesarea, furono profughi sulle montagne del Ponto Eusino per circa sette anni, sopportando grandi disagi. Il marito venne ucciso; rimasta vedova fu molto influente sui nipoti, con la sua forte fede; patrona delle vedove, invocata contro la povertà.
14 gennaio: beato Odorico da Pordenone (al secolo Odorico Mattiussi o Mattiuzzi), nacque a Villanova di Pordenone tra il 1265-1270. Entrato ancora adolescente nel convento di san Francesco, a Udine, dove fu ordinato, nel 1290, sacerdote dell’ordine francescano, si distinse per zelo, austerità e quel fervore missionario che lo porterà a lasciare il proprio paese per l’Asia Minore prima, ad incontrare poi i Mongoli, successivamente la Cina e l’India per tornare infine in patria e riferire al Papa sulla situazione delle missioni in Oriente. La sua opera di apostolato gli fece meritare il nome di “Apostolo dei Cinesi”. Verso il 1318 Odorico partì missionario per l’Oriente, attraversò durante il suo viaggio le città di Trebisonda, Erzurum, Homs e Baghdad. Giunto a Thane (ora è un sobborgo di Bombay), Odorico classificò la popolazione come idolatra, perché adoravano fuoco, serpenti ed alberi; la città era stata però conquistata di recente dai musulmani, i quali condizionavano la vita religiosa. Odorico giunse coi compagni a Khanbaliq (oggi Pechino), sede imperiale e dell’arcivescovo francescano Giovanni da Montecorvino, che, partito da Rieti nel 1289, era arrivato alla sua sede nel 1294-95; nel 1307 Clemente V lo aveva elevato a metropolita di tutto l’Oriente, prima della creazione (1318) della metropoli di Soltaniyeh, in Persia, affidata ai predicatori. Giovanni tentò di evangelizzare specialmente i cristiani nestoriani, ma non riuscì a formare un clero indigeno. Odorico, dopo soli tre anni fu incaricato di rientrare in Italia. Durante il viaggio di ritorno visitò il Tibet e fu il primo europeo ad entrare nella sua capitale, Lhasa, da dove attraversò poi la Persia e l’Armenia. Giunti a Trebisonda, Odorico e il suo compagno, frate Giacomo d’Irlanda, si imbarcarono su una nave veneziana, giunsero prima a Venezia e successivamente a Padova. Qui, nel maggio del 1330, su richiesta del suo superiore Guidotto, Odorico, ospite del monastero presso la Basilica di Sant’Antonio, dettò il resoconto del suo viaggio al frate Guglielmo da Solagna, per ordine del ministro provinciale dei Minori. Da lì Odorico, per adempiere il compito affidatogli dal vescovo Giovanni da Montecorvino, fu incaricato di tornare in Occidente per sollecitare aiuti, riprese il cammino per raggiungere la curia papale ad Avignone. L’itinerario prescelto prevedeva un viaggio via terra fino a Pisa, poi via mare fino a Marsiglia e quindi ad Avignone. Proprio mentre era diretto ad Avignone si ammalò e fece ritorno ad Udine dove morì il 14 gennaio 1331, nel convento di San Francesco, per complicanze cardiache causate da insufficienze respiratorie.