a cura di don Riccardo Pecchia
17 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni de Matha, nacque nel castello baronale di Faucon-de-Barcelonnette (Francia) il 23 giugno 1154. All’università di Parigi studiò prima diritto, poi frequentò i corsi di Sacra Scrittura e di Teologia e nel 1193 venne ordinato sacerdote. Secondo la tradizione agiografica, durante la celebrazione della prima messa, celebrata il 28 gennaio 1194, al momento della consacrazione, gli apparve il Cristo Redentore che teneva tra le sue mani due schiavi, uno bianco e l’altro di colore, ai quali offriva la libertà redentrice dalla mano dei musulmani e venduti come schiavi in Tunisia, Algeria e Marocco. Da questa divina ispirazione scaturì in lui il desiderio di occuparsi degli schiavi. Per riflettere sulla rivelazione e maturare il suo progetto, Giovanni si ritirò nella solitudine per qualche tempo a Cerfroid, poco distante da Parigi, attratto dalla fama di un eremita che vi dimorava, di nome san Felice di Valois. Con lui trovò altri tre anacoreti disposti a condividere il suo progetto, mettendo a disposizione se stessi e tutto ciò che possedevano per realizzarlo. Ottenuto il permesso di papa Innocenzo III, fondò l’Ordine della Santissima Trinità e posto sotto la protezione della Beata Vergine del Rimedio, di cui Giovanni fu eletto superiore: il nuovo ordine venne approvato dal papa nel 1198. Il fondatore voleva comunità piccole, formate da quattro sacerdoti e da tre fratelli laici, con uguale trattamento per tutti senza distinzioni. Oltre ai tre voti di povertà, castità e obbedienza erano previsti digiuni per circa la metà dell’anno e la quasi perpetua astinenza dalle carni. Inoltre, le entrate di ciascun convento, qualunque ne fosse la provenienza, erano destinate per un terzo al mantenimento dei religiosi, per un terzo all’assistenza dei malati e dei pellegrini, e per un terzo al pagamento del riscatto degli schiavi. Nel 1198 Giovanni, accompagnato da san Felice di Valois, si recò a Roma e alcuni mesi dopo papa Innocenzo III, che era stato suo collega all’Università parigina, approvò la regola della nuova famiglia religiosa e nel marzo 1199 consegnò al santo una lettera per Miramolino, re del Marocco, nella quale lo invitava ad agevolare il riscatto degli schiavi. Giunto in territorio africano e ottenuto il permesso dalle autorità locali, Giovanni con alcuni suoi compagni si recò dai padroni o dai mercanti per individuare i casi più meritevoli da risolvere e contrattare con loro il prezzo del riscatto. Ai prigionieri infondeva speranza, in modo particolare, in quelli che restavano, assicurando che appena possibile sarebbe tornato per liberare anche loro. Lo sbarco a Marsiglia con i primi 200 rimpatriati produsse una enorme impressione non soltanto in città, ma anche nelle regioni confinanti; il santo li accompagnò processionalmente, cantando il salmo In exitu Israel de Aegypto (Salmo 113), fino alla cattedrale dove ringraziarono la Santissima Trinità per l’avvenuta liberazione. Ad essi fu poi consegnata una certa somma di denaro affinché potessero tornare alle loro famiglie. Nel 1209 Giovanni si recò a Roma per l’ultima volta ed ebbe in dono da Innocenzo III la chiesa abbaziale di San Tommaso in Formis sul Celio. E lì egli trascorse gli ultimi quattro anni di vita, dedicandosi ai poveri, alla preghiera, alla predicazione e alla mortificazione. Alcuni biografi dicono che vi avrebbe ospitato san Francesco d’Assisi, venuto dal Papa per chiedere l’approvazione dei suoi Frati Minori. Morì il 17 dicembre 1213.
17 dicembre: santa Olimpia di Nicodemia, nacque Costantinopoli (Turchia) nel 361, da un’agiata e potente famiglia di Costantinopoli, vicina agli ambienti della corte imperiale. Rimase orfana in giovane età e fu affidata dal suo tutore, il prefetto Procopio, a Teodosia, sorella del vescovo Anfilochio di Iconio. Fin da giovanissima Olimpia fu istruita sulla Sacra Scrittura. Imitando santa Melania, si dedicò alla mortificazione, e pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte imperiale, se ne allontanò. A 24 anni sposò il prefetto di Costantinopoli, Nebridio, ma dopo solo venti mesi il marito morì; l’imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò. Per tentare di convincerla, l’imperatore le confiscò tutte le proprietà e Olimpia visse in povertà. Teodosio allora, vedendo la sua determinazione, le restituì i suoi beni nel 391. Fu così che Olimpia ne approfittò per fondare alcune opere caritative. Il vescovo Nettario contrariamente all’usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni. Olimpia fondò in città un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città. Al suo arrivo in città come arcivescovo, san Giovanni Crisostomo trovò in Olimpia una valida collaboratrice in molte opere caritative, ma, quando si scatenò la persecuzione contro i seguaci di Giovanni, dovette andare in esilio a Nicomedia (oggi İzmit in Turchia) dove morì verso il 408.