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Oggi 17 giugno la chiesa celebra san Ranieri Scàcceri, nacque a Pisa nel 1118, da una famiglia benestante. I genitori gli affiancarono negli studi don Enrico di San Martino in Kinzica, ma il giovane trascurò gli insegnamenti cristiani e preferì coltivare la musica, imparò a suonare la lira, e il canto. Malgrado gli sforzi dei genitori desiderosi di impartirgli un’educazione rigorosa, visse la giovinezza all’insegna della dissolutezza, dello svago e del divertimento. Viaggiò moltissimo proprio grazie alla sua maestria nella musica e pare che fosse conosciuto anche come abile ladro! Si racconta che la mano di Ranieri era mancante di un dito, che ce lo rimise per un colpo di coltello abbrivatogli da un pizzicagnolo mentre stendeva la mano per rubare una forma di cacio. Ma a 19 anni la sua vita cambiò. Fu decisivo l’incontro con il beato Alberto Leccapecore, un eremita originario della Corsica che si era stabilito nel monastero pisano di San Vito. Ranieri lo incontrò la prima volta mentre si trovava a casa di una parente
in un luogo detto Arsiccio (attuale Cisanello). Appena vide Alberto, Ranieri gli corse dietro per parlargli, ma non riuscì a raggiungerlo che in San Vito. E qui avvenne il colloquio che cambiò la sua vita. Alberto invitò Ranieri a recarsi dal priore di San Jacopo “in Orticaria”, un sacerdote di provata esperienza, per una completa confessione dei suoi peccati, in seguito alla quale visse un periodo di profondo travaglio interiore, tanto che i genitori pensarono fosse caduto in una infermità mentale. Scelse quindi di abbracciare in pienezza la fede, seguendo il suo esempio Ranieri, preferì la vita da eremita a Pisa, abbandonare tutte le sue ricchezze per vivere in completa povertà, tanto da partire, per ben due volte in pellegrinaggio, per la Terra Santa. Appena arrivò nella Città Santa, andò nella cappella del Golgotha, all’interno della Basilica del Santo Sepolcro, dove si spogliò delle ricche vesti e indossò la pilurca, la veste del penitente consegnata a tutti i pellegrini che si recavano al monte Calvario, e trascorse un lungo periodo presso gli eremiti in Palestina, dove si dice che compì numerosi miracoli. Qui soggiornò diversi anni dandosi alla mortificazione del corpo e alla penitenza e visse esclusivamente di elemosine. Mangiava due volte alla settimana sottoponendo il suo corpo a grandi sacrifici. Ritornò a Pisa, nel 1154, dopo 13 anni trascorsi in Terra Santa, condotto in patria dall’amico ammiraglio pisano Ranieri Bottacci, per raccontare ai suoi concittadini la sua esperienza spirituale, per comunicare loro ciò che aveva udito dalla voce di dio e per assumere, in loro favore, il ruolo di intercessore, di predicatore e di pacificatore. A Pisa si ritirò, da laico, nello stesso monastero di San Vito dove anni prima aveva incontrato l’eremita Alberto, circondato dalla fama di santità. La leggenda narra che alla sua morte le campane di Pisa suonarono da sole, tutte assieme, senza che nessuno le toccasse. Morì il 17 giugno 1161; patrono di Pisa e della dinastia monegasca dei Grimaldi.
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