a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 2 agosto su festeggia san Stefano I, 23° vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; romano di nascita, fu successore di papa Lucio I al tempo di Valeriano, che per qualche tempo lascia in pace i cristiani, pur non essendoci persecuzioni esterne, la Chiesa era, però, lacerata da dispute interne. Le Chiese d’Africa e d’Asia Minore si ponevano un problema molto concreto: è da considerarsi valido il battesimo praticato dagli eretici? Essi, in maniera rigorista, ritenevano che il sacramento sarebbe dovuto essere conferito nuovamente. Stefano, invece, sostenne che l’efficacia del sacramento non dipendeva dallo stato di grazia di chi lo amministrava, ma dall’intenzione di compierlo in nome della Trinità, quindi, per introdurre l’ex-eretico nella comunità cristiana sarebbe stato sufficiente l’imposizione delle mani con l’invocazione dello Spirito Santo, san Cipriano di Cartagine rifiutò questa posizione. La Chiesa, all’epoca, non aveva ancora una teologia dei sacramenti, sarà solo sant’Agostino a chiarire definitivamente tali controversie. Un secondo problema, connesso con il precedente, riguardava la riammissione nella Chiesa degli eretici “ravveduti”. Nel periodo delle persecuzione molti cristiani avevano ceduto, per paura delle persecuzioni, aderendo al culto pagano; essi venivano chiamati lapsi (caduti). Nella Chiesa d’Africa, d’Asia Minore e di Siria si chiedeva, per i lapsi, la ripetizione del battesimo. Tale teoria rigorista era condivisa sia da Novaziano che da san Cipriano. Stefano, più indulgente, sosteneva che bisognasse riaccogliere i peccatori, certo applicando loro una penitenza, ma senza riproporre il battesimo. Cipriano nel Concilio indetto per l’anno successivo ignorò la posizione di Stefano sull’argomento, pur riconoscendo la sua autorità. Stefano, secondo il Liber Pontificalis, dispose, anche, che i paramenti che venivano usati per fini liturgici non fossero impiegati nel lavoro quotidiano. Nel 257 l’imperatore Valeriano emanò un editto contro le gerarchie ecclesiastiche imponendo, nello stesso tempo al popolo, di sacrificare alle divinità pagane, Stefano fu condotto nel tempio di Marte perché sacrificasse agli dei, ma il pontefice chiese a Dio la distruzione del tempio, che subito crollò e il santo poté liberarsi e recarsi nel cimitero di Santa Lucia, ma quando Valeriano seppe ciò ordinò ai suoi pretoriani di inseguirlo: lo trovarono che celebrava messa e, quando l’ebbe terminata, lo decapitarono.
2 agosto: san Pier Giuliano Eymard, nacque a La Mure d’Isère (Francia) il 4 febbraio 1811, dopo una travagliata vicenda familiare e vocazionale e contro il parere del padre, seguì la propria vocazione religiosa e venne ordinato sacerdote il 20 luglio del 1834: passò qualche anno come prete diocesano poi nel 1839, a 28 anni, entrò nella Congregazione dei Padri Maristi, da poco fondata dal padre Jean Claude Colin, a Lione, e ne venne eletto padre provinciale nel 1845. Fin dall’infanzia la vita di fede di Pier Giuliano fu segnata dall’Eucaristia; erano, infatti, frequenti le sue visite al Sacramento. La decisione di diventare prete la prese proprio il giorno della sua prima Comunione, ci volle tempo, però, prima che l’Eucaristia diventasse veramente il centro della sua spiritualità e dei suoi progetti apostolici; il suo cammino di ricerca della volontà di Dio, però, continua ancora e lo porta ad orientarsi sempre più verso l’Eucaristia, fino all’idea definitiva di fondare una Congregazione votata interamente ad essa. Non potendo realizzare quest’opera all’interno dei Maristi, Pietro Giuliano lascia l’Istituto, si reca a Parigi e qui, con l’approvazione dell’arcivescovo, il 13 maggio 1856 fonda la Congregazione del Santissimo Sacramento (sacramentini), ad essa seguirà, nel 1859, la Congregazione femminile delle Ancelle del Santissimo Sacramento, fondata con l’aiuto di Margherita Guillot. Nel gennaio del 1851, dopo un pellegrinaggio a Fourvière, ebbe l’idea di fondare una congregazione di sacerdoti dedita principalmente alla promozione della devozione all’Eucaristia: i primi religiosi iniziarono la loro attività a Parigi il 6 gennaio del 1857. Sfinito dalle responsabilità e segnato da prove di ogni genere, soprattutto negli ultimi anni di vita, Pier Giuliano muore nel suo paese natale, La Mure, a soli 57 anni, il 1 agosto 1868.
2 agosto: sant’Eusebio di Vercelli, nacque in Sardegna, all’inizio del IV secolo, ancora in tenera età si trasferì a Roma con la madre e la sorella minore, subito dopo il martirio di suo padre, in quel periodo la Chiesa era gravemente provata dall’eresia ariana ed egli fu prima istituito lettore, ordinato sacerdote da papa Marco e consacrato vescovo della città di Vercelli da Giulio I, nel 340; il nuovo vescovo iniziò subito un’intensa opera di evangelizzazione in un territorio ancora in gran parte pagano, ispirato da sant’Atanasio, che aveva scritto la Vita di sant’Antonio, iniziatore del monachesimo in Oriente, fondò a Vercelli una comunità sacerdotale (vita communis), simile a una comunità monastica; Eusebio divenne uno strenuo oppositore dell’arianesimo, nonché sostenitore del simbolo niceno (Credo) e per questo motivo fu condannato all’esilio a Scitopoli in Palestina, qui fondò un cenobio con un piccolo gruppo di discepoli e da qui curò la corrispondenza con i suoi fedeli del Piemonte; successivamente fu esiliato in Cappadocia e nella Tebaide, dove subì gravi maltrattamenti fisici. Nel 361, morto Costanzo II, gli succedette l’imperatore Giuliano detto l’Apostata, che non si interessava al cristianesimo come religione dell’Impero, ma voleva semplicemente restaurare il paganesimo. Egli mise fine all’esilio di questi vescovi esiliati e consentì così anche ad Eusebio di riprendere possesso della sua sede; Eusebio fu un vescovo molto stimato, tanto che diventerà noto non solo come santo, ma addirittura come patrono della stessa regione Piemonte, l’ultima sua comparsa documentata fu al concilio episcopale di Alessandria, dove decise di perdonare i vescovi ariani che lo attaccarono, purché ritornassero allo stato laicale. Eusebio morì a Vercelli; patrono di Vercelli e patrono del Piemonte.
2 agosto: san Pellegrino delle Alpi, secondo una leggenda dal re irlandese Romano di Scozia e della regina Plantula, ai quali era stato profetizzato in sogno, nasce un bambino che compie prodigi dal giorno in cui è stato battezzato ricevendo il nome di Pellegrino; ancora quindicenne perse il padre e spettava quindi a lui la corona, tuttavia, asceta per natura e disdegnando i beni terreni, dopo essersi reso protagonista di prodigi fin dall’infanzia, lasciò le sue ricchezze e s’incamminò, vestito di soli panni da pellegrino, verso la Palestina per onorare il sepolcro di Cristo, qui visse 42 anni nel deserto, dove superò le dure prove messegli dinnanzi inutilmente dal demonio; fece ritorno poi verso l’Italia, sbarcando ad Ancona; poi visita le tombe degli Apostoli e i luoghi sacri di Roma, le reliquie di San Nicola a Bari, la chiesa di San Michele sul Gargano. La leggenda vuole, ancora, che su invito celeste, guidato da una stella, si sia recato nella Selva Romanesca presso l’abbazia di Frassinoro sull’Appenino tosco-emiliano, dove decise di rimanere in questa zona per vivervi da eremita; sopraggiunto all’età di 97 anni, 9 mesi e 23 giorni scrive su una corteccia d’albero la sua vita e poi muore. Una donna chiamata Adelgrada, avvertita in sogno da un angelo, si dirige col marito Pietro per luoghi deserti, fino a trovare l’albero concavo dove riposa il santo, custodito da una moltitudine di animali (lupi, orsi e uccelli rapaci).
2 agosto: beato Ceferino (Zeffirino) Giménez Malla, primo beato di origini rom, morì martire durante la guerra civile spagnola, fucilato dalle truppe repubblicane; nacque a Benavent de Segrià (Spagna) da una famiglia rom. Suo padre era un mercante di bestiame e, inizialmente, Ceferino praticò il commercio; per quaranta anni, visse come nomade. Si è sposò molto giovane con Teresa Jiménez Castro, con una cerimonia zingara, sposerà poi sua moglie con rito cattolico nel 1912 quando si trasferirà a Barbastro, in Spagna, dove comprerà una casa, un matrimonio felice, anche se privo di figli, che durerà più di 40 anni, ma adottarono una nipote di Teresa che era orfana; Ceferino non era colto, ma frequentava la chiesa ed aveva appreso molto in materia di fede e sulla Bibbia. Ha insegnato molto sia ai bambini rom che a quelli spagnoli, dopo che sua moglie morì, infatti iniziò una carriera come catechista, su consiglio di un sacerdote, don Nicholas Santos de Otto, e andava aiutando i rom più poveri; divenne membro del terzo ordine francescano. Durante la guerra civile spagnola, Ceferino provò a difendere un prete cattolico dai soldati repubblicani, ma entrambi furono arrestati e venne fucilato insieme ad altri sacerdoti e fedeli cattolici. Secondo una leggenda rom, quando i soldati chiesero se avesse armi, ma egli mostrò il suo rosario; si dice che l’ultimo gesto fu quello della mano che tiene alta la coroncina del rosario come una bandiera, morì gridando: «Viva Cristo Re». L’indomani si ordina agli zingari di scavare una fossa comune per tutti i fucilati, tra cui c’è Ceferino, poi sui corpi si butta calce viva, per questo non c’è la sua tomba e il suo corpo non fu mai ritrovato.