a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 21 giugno la chiesa ricorda san Lazzaro mendicante, nome di origine ebraica e significa “colui che è assistito da Dio”. Lazzaro è il mendicante lebbroso protagonista della parabola di Gesù: Lazzaro e il ricco Epulone, riportata solo dal Vangelo di Luca (16,19-31). Non va confuso con san Lazzaro di Betania, fratello di Maria e Marta e amico, resuscitato da Gesù. Nonostante sia un personaggio di fantasia, la tradizione della Chiesa Cattolica lo venera come santo; anche perché, essendo l’unico personaggio delle parabole di Gesù ad essere indicato con un nome proprio, molti ritengono che il racconto si riferisca a una persona realmente esistita. I lazzaretti devono a lui il proprio nome, e molti paesi sorti attorno a questi antichi ospedali hanno Lazzaro come patrono. È chiaro che la parabola di Gesù, contiene in sé un insegnamento universale e molto sentito, specie in quei tempi; essa è raccontata per mostrare ai farisei ed a tutti gli avari, dove portano le ricchezze usate per soddisfare il proprio egoismo. «Vi era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno faceva splendidi banchetti. Un mendicante di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco e nessuno gliene dava; perfino i cani venivano a leccargli le piaghe. Ora avvenne che il povero Lazzaro morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco epulone e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del suo dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura”. Ma Abramo rispose: “Figlio ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato, mentre tu sei tormentato e per di più fra noi e voi è stato fissato per sempre un grande abisso, di modo che quelli che volessero di qui passare e venire a voi non possono, né da lì si può attraversare fino a noi». La parabola, riportata solo da Luca del ricco epulone e del misero Lazzaro, è un’antitesi che da sociale diventa anche religiosa, esaltando la povertà come modello di protezione divina. In essa si considera riguardo la figura di Lazzaro, che egli nel suo umiliante e penoso stato di mendicante ed ammalato, ha pazienza, anche davanti allo sprezzante trattamento che riceve dal ricco gaudente, pensando al Paradiso (seno di Abramo), che Gesù ha promesso ai poveri di spirito. Perciò il Signore, che vede l’animo, lo fa trasportare appena morto, in trionfo dagli angeli, nella beatitudine eterna. Ora questo rivela come egli sopportava il suo stato, con rassegnazione unita alla speranza del Paradiso, fiducioso in Dio, Padre di tutti, che premia i buoni, anche se poveri e mendicanti; patrono dei malati di lebbra.
21 giugno: san Luigi Gonzaga, nacque a Castiglione delle Stiviere (Mantova) il 9 marzo 1568, da una nobile famiglia. Fin dalla prima infanzia fu educato dal padre alla vita militare, mentre la madre lo educò alla pietà e al timor di Dio, ma all’età di 7 anni sentì un richiamo più forte di qualsiasi altra cosa ed avvenne ciò che lui stesso definì “la conversione al mondo di Dio”: sentendosi chiamato a consacrare la propria vita al Signore intensificò la preghiera, recitando ogni giorno in ginocchio i sette Salmi penitenziali e l’Ufficio della Madonna. Nel 1576 si verificò un’epidemia di peste, il padre per salvaguardare i figli e, allo stesso tempo, per avviarli alla vita di corte, inviò Luigi e il fratello Rodolfo a Firenze presso il granduca Francesco I de Medici. Egli sperava che la brillante vita della corte medicea distogliesse Luigi dalle inclinazioni religiose che stava manifestando. A Firenze Luigi frequentò la chiesa di San Giovanni Evangelista, tenuta dai padri gesuiti. Contrariamente alle attese del padre, lesse l’Instruttione per meditare il rosario della Madonna, e fece voto di castità. Il soggiorno fiorentino dei due fratelli ebbe termine nel 1579, quando il padre fu nominato governatore del Monferrato. I ragazzi furono richiamati da Firenze e inviati alla corte di Mantova, dove rimasero fino al maggio 1580. Durante l’estate del 1580 i fratelli tornarono a Castiglione, dove Luigi, all’età di 12 anni, in assenza del padre, ricevette san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, in visita alla diocesi di Brescia. Il prelato si intrattenne con il ragazzo e il 22 luglio gli diede la prima comunione. Nel 1583 Luigi decise di entrare nella Compagnia di Gesù. Il padre cercò di dissuaderlo. Solo alla fine del settembre 1585 concesse il benestare. Si mise in moto la procedura per la rinuncia di Luigi ai diritti di primogenitura e ai diritti di successione sul marchesato. Il 2 novembre 1585 si stipulò l’atto con cui Luigi rinunciava in favore del fratello Rodolfo al diritto di succedere nel Marchesato di Castiglione delle Stiviere. Il 4 novembre si mise in viaggio per Roma, dove giunse verso la fine del mese. Luigi fu accolto nel noviziato, il 25 novembre 1585, a 17 anni. Alla fine d’ottobre 1586 fu mandato a Napoli, insieme a due altri novizi affetti come lui da problemi di salute. Tuttavia l’aria napoletana non gli giovò; fu richiamato a Roma nel maggio 1587. Nel settembre 1589, su richiesta della madre, Luigi fu chiamato a Castiglione per rappacificare lo zio Alfonso Gonzaga e il fratello Rodolfo, con Guglielmo, duca di Mantova, e Vincenzo, suo figlio, a proposito del feudo di Solferino, appartenuto a Orazio Gonzaga, morto il 13 gennaio 1587. Nel testamento il defunto aveva indicato Guglielmo come erede, per soddisfare i debiti con lui contratti, ma Rodolfo occupò il feudo. Luigi, propose che Vincenzo rinunciasse alle pretese su Solferino, mentre Rodolfo gli avrebbe dato soddisfazione dei torti usati nei suoi confronti. Il compromesso fu accettato. Luigi ripartì per Milano il 12 marzo 1590 per riprendere gli studi. Nel mese di maggio tornò a Roma, dove frequentò i corsi di teologia in vista dell’ordinazione sacerdotale. Nei primi mesi del 1591 a Roma scoppiò un’epidemia di tifo petecchiale. Luigi si offrì di curare i malati. Il 3 marzo, avendo trasportato un infermo all’ospedale della Consolazione, dietro il Campidoglio, fu contagiato. Il debole fisico non fu in grado di reagire alla malattia, che si andò aggravando. Morì il 21 giugno 1591, a 23 anni; patrono della gioventù studiosa.