a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 28 giugno la chiesa festeggia sant’Ireneo di Lione, nacque a Smirne (oggi Izmir, Turchia) nel 130 circa, da una famiglia cristiana. Ricevette alla scuola di san Policarpo di Smirne, di san Papia di Gerapoli, di san Melitone di Sardi e di altri, un’eccellente educazione e ciò gli garantiva una perfetta conoscenza della Sacra Scrittura e buone basi di filosofia e letteratura greca; a Roma aveva avuto come maestro il martire san Giustino, soprattutto nel campo della teologia. Non sappiamo quando si trasferì dall’Asia Minore in Gallia, ma lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: qui, nel 177, troviamo Ireneo annoverato nel collegio dei presbiteri. Proprio in quell’anno egli fu mandato a Roma, latore di una lettera della comunità di Lione a papa Eleuterio per dirimere questioni di ordine dottrinale. La lettera non riguardava però la situazione del clero della sua città, anche se una parte di esso fosse già in carcere al momento della sua partenza, ma una richiesta di clemenza pontificia per i fratelli della Frigia, allora influenzati dall’eresia montanista. La missione romana scampò Ireneo dalla persecuzione di Marco Aurelio, nella quale caddero almeno 48 martiri, tra cui lo stesso vescovo di Lugdunum (attuale Lione, Francia), san Potino, morto di maltrattamenti in carcere. Così, al suo ritorno, Ireneo fu eletto vescovo della città. Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un pastore. Dotato di una buona cultura teologica e scritturistica, si diede alla predicazione e alla evangelizzazione, inviò anche missionari in altre parti della Gallia. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Ireneo deve molta della sua fama alle sue opere in difesa della fede contro lo gnosticismo: una dottrina insidiosa che combinava elementi pagani e cristiani, che svalutava tutta la creazione materiale e in generale la rivelazione di Dio nell’Antico Testamento. Le teorie gnostiche erano molto diffuse in Gallia, tanto da spingere Ireneo a scrivere un trattato in cinque libri, Contro le eresie (Adversus haereses), dove espose le dottrine delle varie sette gnostiche confutandole con l’insegnamento apostolico. Ireneo era convinto che gran parte dell’attrazione suscitata dallo gnosticismo era dovuta al senso di mistero che circondava i suoi membri e alla loro orgogliosa convinzione di appartenere a una cerchia ristretta di iniziati. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede. Con il suo “Contro le eresie”, Ireneo ha scritto la più importante opera apologetica cristiana: redatta originariamente in greco, subito fu tradotta in latino e si diffuse largamente nel mondo cristiano; da allora in poi lo gnosticismo ha smesso di essere un pericolo serio per la fede cristiana. Verso il 190 fu richiesta la sua mediazione nella disputa riguardante la data della celebrazione della Pasqua tra Roma e i quartodecimani dell’Asia Minore, che la celebravano il 14 di nisan. Ireneo fece notare al papa che i quartodecimani seguivano le loro tradizioni antiche e che 40 anni prima la differenza di opinioni sullo stesso punto non aveva intaccato la comunione tra san Policarpo, che sosteneva le tesi degli asiatici, e papa Aniceto. I quartodecimani mantennero così la propria data conformandosi all’uso romano al tempo del concilio di Nicea del 325, senza subire altre pressioni dalla sede pontificia. Morì il 28 giugno 202.
28 giugno: santa Vincenza Gerosa (al secolo Maria Caterina Gerosa), nacque a Lovere (Bergamo) il 29 ottobre 1784, in una famiglia facoltosa. Cresciuta in un contesto profondamente cristiano, coltiva con entusiasmo la sua vita di fede, rivelando una grande passione per il Crocifisso da cui attinge forza e serenità per affrontare le contraddizioni e le prove familiari. Ben presto infatti perde il padre e in seguito la madre viene allontanata da casa, perché poco gradita ai cognati. Come al solito fu il Crocifisso a consolare tanto dolore. Intanto maturava nel parroco don Rusticiano Barboglio l’idea di aprire a Lovere un oratorio femminile per le esigenze e la formazione della gioventù e affidò questo incarico a Caterina, che già si occupava delle ragazze. Questa non esitò ad aprire la sua casa. Nel 1824 Caterina fa amicizia con santa Bartolomea Capitanio, una maestrina di Lovere, appena uscita dall’educandato delle Clarisse, fresca di studi e con audaci programmi di carità cristiana. Bartolomea ha una idea, fondare un ospedale; presenta il progetto all’amica e la coinvolge in questa avventura. Dopo due anni, con l’apporto dei beni di Caterina ereditati dalla famiglia riescono nel loro intento. Bartolomea riesce a convincere Caterina a fondare un Istituto, con l’obiettivo di assistere i malati, istruire gratuitamente le giovani, costruire orfanotrofi e assistere la gioventù. Nell’autunno 1832 le due donne danno vita all’Istituto e il 2 novembre, dopo la celebrazione della Messa offerta per loro, si recano a casa De Gaia, chiamato il Conventino, accompagnate dal parroco don Rusticiano e don Angelo Bosio; qui, davanti all’altare della Madonna, promettono a Dio di dedicarsi interamente al servizio dei poveri. Vivono insieme solo otto mesi perché Bartolomea si ammalò e morì il 26 luglio 1833, a 26 anni. Sul letto di morte, Bartolomea e Caterina hanno il coraggio e la fede di firmare l’atto di fondazione dell’Istituto delle Suore di Maria Bambina da consegnare alle autorità ecclesiastiche. Il 14 settembre 1841, Caterina, prende il nome di suor Vincenza, e gli rimane il compito di compiere l’opera appena avviata, valendosi del consiglio e del sostegno di don Angelo Bosio. Al “Conventino” arrivano presto altre giovani desiderose di porsi sulle orme di Bartolomea e insieme arrivano insistenti richieste della loro presenza anche da fuori Lovere. Vincenza si sente vecchia e vorrebbe lasciare tutto, ma rimane, incoraggiata dai sacerdoti e da tante giovani che non si rassegnano a vedere chiuso il Conventino. Vincenza muore mentre stringeva sul cuore il Crocifisso e diceva «lasciatemi andare». Morì il 20 giugno 1847.
28 giugno: beato Paolo Giustiniani (al secolo Tommaso Giustiniani), nacque a Venezia il 15 giugno 1476, da una nobile famiglia. Rimasto orfano di padre in giovane età, Tommaso fu educato a Venezia sotto la guida della madre. Nel 1493 si trasferì a Padova, per frequentare i corsi universitari di filosofia e teologia, e vi rimase fino al 1504-05. A Padova approfondì la conoscenza dei testi greci e latini e maturò un desiderio di vita ritirata e un forte interesse per la dimensione religiosa, che lo condusse ad approfondire i testi scritturali e patristici, esplicitamente contrapposti alla teologia scolastica. In questo passaggio dalla filosofia alla riflessione religiosa sarebbe stata determinante una lunga malattia di cui soffrì nel 1504. Alla fine del 1505 tornò a Venezia, dopo aver bruciato molte carte in cui era contenuta la sua vita mondana e sensuale di un tempo. Desideroso di solitudine, si ritirò in una casetta che possedeva sull’isola di Murano, e intensificò le sue riflessioni religiose. Il ritiro a Murano non fu però sufficiente a offrire a Tommaso la serenità di spirito cui aspirava. Deciso a dedicarsi esclusivamente allo studio delle lettere sacre, nel 1507 fece voto di castità e partì per la Terrasanta, con il progetto di ritirarsi nel convento francescano di Betlemme, ma senza prendere gli ordini. Il soggiorno a Betlemme fu molto più breve del previsto, all’’inizio del 1508 era di nuovo a Venezia, ancora incerto sulla via da seguire. Nel 1508-1509 Tommaso era ormai deciso a ritirarsi in qualche luogo solitario, ma era poco propenso a prendere gli ordini sacri, che considerava carichi di obblighi eccessivi. Nel 1509 Tommaso avviò trattative per essere accettato come oblato nell’’abbazia benedettina di Praglia, ma senza successo. L’anno successivo presero allora contatto con i camaldolesi di San Michele di Murano. Il generale dei camaldolesi, si dimostrò subito ben disposto e fu stabilito che Tommaso si sarebbe recato nell’eremo di Camaldoli, dove entrò seguendo la sua vocazione, il Natale del 1510, Tommaso riceve la tonsura e indossa il candido abito dei camaldolesi e diviene fra Paolo eremita. Ordinato sacerdote, nel 1515, era riconosciuto dai confratelli come un’autorevole guida spirituale; assunse diverse cariche istituzionali: presiedette i capitoli, fu eletto maggiore, portò a termine, nel 1516, la ricompilazione delle Regulae Camaldulenses. Le nuove Regulae si fondavano sulle antiche tradizioni dell’Ordine, ma erano fortemente segnate dall’impronta di Paolo, soprattutto nell’accentuazione del ruolo dell’eremitismo rispetto alla vita cenobitica. Paolo cominciò a meditare la possibilità di abbandonare l’eremo, cosa che fece e divenne il fondatore di una nuova realtà eremitica, gli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona. Tuttavia, anche negli anni successivi, Paolo mantenne i contatti con Camaldoli e vi si recò più volte per difendere le posizioni degli eremiti contro i cenobiti. Tutto preso nell’organizzare questa nuova forma di vita di cui scriverà la Regola. Nel 1528 Paolo si recò sul Monte Soratte, vicino Roma, dove si era recato per una nuova fondazione eremitica. Quando vi giunse, Paolo era già molto ammalato e lì spirò tra le braccia di un confratello. Morì il 28 giugno 1528.