Oggi 29 ottobre la chiesa ricorda san Gaetano Errico, nacque a Secondigliano (Napoli) il 19 ottobre 1791. Negli anni della sua infanzia, aiuta il padre nella sua fabbrica di maccheroni, frequenta la parrocchia dei Santi Cosma e Damiano e fin da quell’età, cerca di aiutare i poveri come può. A 7 anni è ammesso alla prima comunione e ad 11 al sacramento della confermazione. A 14 anni chiede di entrare prima tra i Cappuccini e, poi, tra i Redentoristi, ma la domanda è respinta a causa dell’età. A 16 anni chiede di essere ammesso al seminario arcivescovile di Napoli. Nel gennaio del 1808 indossa l’abito talare e poiché la famiglia non è in grado di sostenere i costi per il suo mantenimento da interno, segue gli studi da esterno, raggiungendo a piedi il seminario. Nel tempo della sua formazione seminaristica segue con grande profitto la scuola, partecipa tutte le mattine alla Messa, riceve la comunione, aiuta in famiglia, visita ogni giovedì gli ammalati dell’ospedale «Incurabili» di Napoli, portando loro qualche regalo, frutto dei suoi risparmi settimanali, e la domenica va in giro per le strade con il crocefisso per raccogliere i fanciulli per il catechismo. È ordinato sacerdote il 23 settembre del 1815 nella Cappella di Santa Restituta, nella Cattedrale di Napoli. Nel 1816 diviene parroco della Chiesa dei Santi Cosa e Damiano a Secondigliano. Inizia a insegnare nella scuola comunale di Secondigliano, per quasi vent’anni, con diligenza, vigilanza e zelo, preoccupandosi di insegnare, soprattutto, i principi cristiani. Ogni anno, da sacerdote, si ritira a Pagani (Salerno), nella casa dei padri Redentoristi, per gli esercizi spirituali. Nel 1818, mentre prega nel coro, avviene un fatto destinato a segnare ed a cambiare il corso della sua vita: gli appare sant’Alfonso Maria de’ Liguori per comunicargli che Dio lo vuole fondatore di una Congregazione religiosa, dandogli come «segno» la costruzione in Secondigliano di una chiesa in onore della Vergine Addolorata. L’annuncio che è Dio a volere la costruzione di una chiesa in onore dell’Addolorata, in Secondigliano è accolto con entusiasmo dalla maggior parte del popolo, ma c’è anche chi si dimostra diffidente ed ostile. Gli avversari, pochi, ma molto agguerriti e combattivi, giurano che impediranno la costruzione della chiesa. Terminata la costruzione, don Gaetano commissiona a Francesco Verzella, scultore napoletano, una statua in legno della Madonna Addolorata. La tradizione vuole che egli abbia fatto rifare più volte il volto, esclamando alla fine: «Così era». Terminata la chiesa, don Gaetano comincia a costruire in un luogo adiacente la casa che dovrà ospitare la nuova Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, fondata nel 1833, sarà approvata, nel 1864, dalla Santa Sede solo dopo l’elezione di papa Pio IX. Costruisce dapprima una piccola casa, dove nel 1833 si ritira ad abitare insieme ad un laico, che cura il servizio della chiesa. Don Gaetano, dopo l’approvazione, è unanimemente eletto Superiore Generale. Fino alla morte lavora per lo sviluppo della Congregazione, curando l’attività missionaria, la predicazione al popolo e gli esercizi spirituali in numerosi conventi di suore, nella direzione spirituale e, specialmente, nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione. Muore a Secondigliano, per le conseguenze di una febbre viscerale. Morì il 29 ottobre 1860, a 69 anni.
29 ottobre: sant’Onorato di Vercelli, terzo vescovo di Vercelli dopo Eusebio, il fondatore della diocesi, e dopo il suo primo successore Limenio. Alla morte di questi, nel 396, la comunità vercellese fu agitata e sconvolta da gravi discordie, che impedirono la designazione del nuovo candidato, protraendo a lungo la vacanza della sede. Accresceva il turbamento l’azione disgregatrice di due monaci infedeli milanesi, arrivati a Vercelli a diffondere i loro errori circa la disciplina ascetica e la continenza; soffiando sul fuoco delle divisioni interne, essi alimentavano con false dicerie il risentimento verso sant’Ambrogio, presentandolo come responsabile delle agitazioni e della ritardata elezione del nuovo vescovo. Ambrogio intervenne dapprima con una lunga e severa lettera ammonitrice Ad ecclesiam vercellensem, che fu l’ultimo suo scritto, e poi di persona per risolvere la situazione. La scelta del candidato cadde su Onorato, membro del cenobio episcopale, il centro di vita comune fondato da Eusebio per la preparazione dei sacerdoti. Tale designazione, data la stima che Onorato godeva da parte di tutto il clero, pacificò gli animi. Dal canto suo, il nuovo vescovo nutrì per Ambrogio gratitudine e devozione filiale, e quanto questi cadde ammalato, nella primavera del 397, accorse a Milano per assisterlo; gli amministrò il santo Viatico, dopo di che Ambrogio spirò serenamente. Delle virtù e delle qualità pastorali di Onorato è testimone il carme, pressoché contemporaneo, che fu inciso sul marmo del suo sepolcro situato presso quello dei suoi due predecessori, Eusebio e Limenio. Esso afferma tra l’altro che il santo insegnò la dottrina sicura, cioè non contaminata dall’arianesimo ancora serpeggiante, né dalle idee che i due monaci apostati avevano propagato a Vercelli. Inoltre, lo presenta come esempio di vita santa e di zelo pastorale. Onorato morì il 29 ottobre dopo circa vent’anni di episcopato.
29 ottobre: santa Ermelinda di Meldert, nacque a Lovenjoul (attuale Belgio) nel 510 d.C., da genitori spagnoli molto ricchi, i quali, desideravano che la figlia contraesse matrimonio. La giovane ragazza, non solo rifiutò qualsiasi proposta matrimonio, ma rinunciò a tutte le ricchezze che la sua famiglia le offriva. La vocazione verso la fede cristiana, che germogliò nella giovane Ermelinda, portò questa a cercare una dimensione in cui poter dedicarsi nell’animo alla preghiera. Ermelinda scelse la vita eremitica presso il villaggio di Beauvechain, dove, si mise alla ricerca di solitudine e silenzio. In questo luogo si dedicò totalmente alla preghiera in qualsiasi momento del giorno, infatti, era sua abitudine recarsi a piedi nudi, di notte, presso la chiesa lì presente, dove pregare. Tale fanciulla, che esercitava la preghiera anche di notte, venne notata da due fratelli, che nell’intento di sedurla, architettarono un rapimento della fanciulla proprio durante le sue preghiere fatte di notte nella chiesa. La giovane, venne avvisata da un angelo, dell’intenzione dei due fratelli e fuggì verso Meldert. Morì verso la fine del VI secolo, a 48 anni.
29 ottobre: beato Michele Rua, nacque a Torino il 9 giugno 1837. Michele quando frequentava la scuola elementare presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, entrò in contatto con il cappellano, don Giovanni Bosco, per poi entrare all’oratorio di Valdocco a Torino, come convittore. Nel 1854, Michele fu uno dei primi ad operare con don Bosco per la fondazione della congregazione salesiana, dedicata alla “carità pratica verso il nostro prossimo” e ispirata alla dolce cordialità del suo protettore, san Francesco di Sales. L’anno seguente pronunciò i voti religiosi. Durante l’epidemia di colera del 1855, si prese cura dei malati nelle zone più degradate della città, lavorò per un certo periodo come catechista e accompagnò san Giovanni Bosco nel suo primo viaggio a Roma. Nonostante fosse ancora solo suddiacono, fu nominato primo direttore spirituale dei salesiani; il 28 luglio 1860 fu ordinato sacerdote e da allora in poi fu sempre a fianco di don Bosco, diventando nel 1865 suo vicario ufficiale nell’opera di diffondere e guidare la nuova fondazione. Nel 1865 è nell’oratorio di Valdocco a Torino, ci sono settecento ragazzi, ma il lavoro di Rua è devastante e nel luglio 1868 sfiora la morte a causa di una peritonite, i medici gli danno poche ore di vita, ma invece arriva la guarigione. Il peso della congregazione è per metà di nuovo sulle sue spalle, ma la salute di don Bosco peggiora e nel 1884 è il papa stesso a suggerire di pensare al suo successore, non ci sono esitazione deve essere Michele. Il 31 gennaio 1888 muore don Bosco e Michele diventa il superiore generale dei Salesiani. I figli dei poveri rappresentavano la priorità nella sua missione e semplice era secondo lui il modo di aiutarli. La sua rigorosa fedeltà alla costituzione dell’istituto e ai voleri del suo fondatore gli guadagnò il soprannome di “regola vivente”. Trascorse gran parte della sua vita sacerdotale nell’amministrazione e talora sembrava che non riuscisse ad avere una visione ampia delle cose a causa della sua esitazione, della scrupolosità ansiosa, dell’atteggiamento perfezionista verso ogni cosa, che lo portavano a essere severo con i suoi sacerdoti; nonostante ciò era un uomo portato alla progettazione e all’innovazione educativa. Aprì dei gymnasia (scuole superiori) e organizzò circoli sociali negli oratori, sviluppò piani di studi specifici per le scuole professionali, introdusse corsi tecnici e commerciali e fondò ostelli. Don Bosco aveva detto a Michele: «Avrai molto lavoro da fare e molto da soffrire» e infatti durante gli anni trascorsi come superiore dovette affrontare varie prove. Nel 1896 i suoi membri furono cacciati dall’Ecuador da un governo anticlericale, così come accadde in Francia nel 1902; nel 1907, a Varazze in Liguria, viene inventato di sana pianta uno scandalo in un collegio, ai quali furono mosse gravi accuse diffuse nell’opinione pubblica a cui si dovette rispondere per vie legali, l’Italia si scatena contro i salesiani. Ma Rua è in prima fila a lottare e tutto finisce in semplici calunnie. Si ritiene che tale affare abbia gravemente compromesso la salute di Michele e inoltre una nuova disgrazia lo afflisse nel 1908, quando un terremoto in Sicilia uccise nove sacerdoti salesiani e trenta loro alunni. Non venne mai meno la sua devozione a Maria Ausiliatrice, alla quale fu legato per tutta la vita. Nel febbraio 1910 Michele si ammalò gravemente e morì dopo aver molto sofferto a causa di una embolia puntiforme. Morì il 6 aprile 1910, a 73 anni.
29 ottobre: beata Chiara Badano, nacque a Sassello (Savona) il 29 ottobre 1971, dopo che i genitori l’hanno attesa per 11 anni. Il suo arrivo viene ritenuto una grazia della Madonna delle Rocche, alla quale il papà è ricorso in preghiera. Chiara di nome e di fatto, dal sorriso dolce e comunicativo, vivace, allegra e sportiva, viene educata dalla mamma, attraverso le parabole del Vangelo, a parlare con Gesù e a digli «sempre di sì». È sana, ama la natura e il gioco, ma si distingue fin da piccola l’amore verso gli «ultimi», che copre di attenzioni e di servizi, rinunciando spesso a momenti di svago. Fin dall’asilo versa i suoi risparmi in una piccola scatola per i suoi «negretti»; sognerà, poi, di partire per l’Africa come medico per curare quei bambini. Chiara è una ragazzina normale, ma con un qualcosa in più: ama appassionatamente; è docile alla grazia e al disegno di Dio su di lei, che le si svelerà a poco a poco. Dai suoi quaderni dei primi anni delle elementari traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita: è una bambina felice. Nel giorno della prima Comunione riceve in dono il libro dei Vangeli, sarà per lei un «magnifico libro». A 9 anni entra nel Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, e a poco a poco vi coinvolge i genitori. Da allora la sua vita sarà tutta in ascesa, nella ricerca di «mettere Dio al primo posto». Prosegue gli studi fino al Liceo classico, quando a 17 anni, durante una partita a tennis, all’improvviso un lancinante spasimo alla spalla sinistra, che svela tra esami e interventi un osteosarcoma con metastasi, dando inizio a un calvario che durerà circa tre anni. Appresa la diagnosi, Chiara non piange, non si ribella: subito rimane assorta in silenzio, ma dopo soli pochi minuti dalle sue labbra esce il sì alla volontà di Dio. Non perde il suo luminoso sorriso; mano nella mano con i genitori, affronta cure dolorosissime. Rifiutata la morfina perché le toglie lucidità, dona tutto per la Chiesa, i giovani, i non credenti, il Movimento, le missioni, rimanendo serena e forte. Operata una prima volta alle Molinette di Torino fu sottoposta a chemio e radioterapia. Nonostante la chirurgia, perse l’uso delle gambe, fu operata nuovamente, di laminectomia dorsale. Durante il ricovero continuò a seguire le attività dei focolarini: donò i suoi risparmi a un amico in partenza per una missione nel Benin e realizzò lavori a mano da vendere per beneficenza. Oramai malata terminale nonostante gli interventi, Chiara trascorse gli ultimi mesi di vita a casa a Sassello fino alla morte sopraggiunta il 7 ottobre 1990. Già da due mesi aveva dato disposizioni per le sue esequie, chiedendo di essere deposta nel feretro indossando un abito bianco da sposa, considerando il momento del suo trapasso il matrimonio con Gesù. Chiara lasciò disposizione che fossero donate le sue cornee, unico organo non toccato dalla malattia né dalla chemioterapia. Morì il 7 ottobre 1990