a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 6 agosto la chiesa celebra la Trasfigurazione del Signore, è un episodio della vita di Gesù narrato nei vangeli sinottici (Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8 e Luca 9,28-36), secondo questi testi Gesù dopo essersi appartato con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, cambiò aspetto mostrandosi ai tre discepoli con uno straordinario splendore della persona e uno stupefacente candore delle vesti: «il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9, 29). In questo contesto si verifica l’apparizione di Mosè ed Elia che conversano con Gesù e si ode una voce, proveniente da una nube, che dichiara la figliolanza divina di Gesù: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo». Lo splendore di Cristo richiama la sua trascendenza, la presenza di Mosè ed Elia simboleggia la legge e i profeti che hanno annunciato sia la venuta del Messia che la sua passione e glorificazione; la nube si riferisce a teofanie (manifestazione della divinità in forma sensibile) già documentate nell’Antico Testamento. La festa della Trasfigurazione secondo alcuni storici della liturgia ricorda la dedicazione delle basiliche del Monte Tabor (in arabo Gebel et-Tur). Era celebrata dalla Chiesa nestoriana già alla fine del V secolo ed è documentata nel VII secolo nella Siria occidentale. La fissazione della data della festa al 6 agosto dipende dal fatto che secondo una tradizione l’episodio della Trasfigurazione narrato dai Vangeli sarebbe avvenuto quaranta giorni prima della crocifissione di Gesù. In Oriente si celebrava già la festa dell’Esaltazione della Santa Croce il 14 settembre, quindi di conseguenza fu stabilita la data della Trasfigurazione. In Occidente le prime testimonianze della festa risalgono alla metà del IX secolo (Napoli, paesi germanici, Spagna). Successivamente nel X secolo in Francia e nei secoli XI e XII anche a Roma nella Basilica Vaticana. Alla diffusione capillare della festa contribuì Pietro il Venerabile e i monaci dell’Abbazia di Cluny. Papa Callisto III nel 1457 la inserì nel Calendario liturgico Romano come ringraziamento per la vittoria ottenuta sui Turchi a Belgrado il 6 agosto 1456 dal condottiero János Hunyadi e san Giovanni da Capestrano. Alla diffusione capillare della festa contribuì san Pietro il Venerabile e i monaci dell’abbazia di Cluny.
6 agosto: sant’Ormisda, 52º Papa della Chiesa cattolica; nacque a Frosinone da una benestante ed onorata famiglia, prima di ricevere gli ordini era stato sposato e aveva un figlio san Silverio, che più tardi divenne anch’egli papa. Ormisda ricoprì il ruolo di diacono al tempo di papa Simmaco, rimanendo fedele a quest’ultimo nello scontro che lo vide contrapposto all’antipapa Laurenzio. Mentre nel 502 ebbe l’incarico di “notaro”, nel corso del sinodo che si svolse a San Pietro: proprio durante quest’evento, Ormisda ricevette da Ennodio di Pavia una profezia riguardante il suo futuro da papa. Infatti, Ormisda venne eletto il 20 luglio 514 e una delle prime cose a cui pensò fu la rimozione delle ultime tracce di quello che era stato lo scisma laurenziano. Quindi riammise all’interno della Chiesa coloro che non avevano ancora avuto modo di godere di una riconciliazione. È ricordato principalmente per il ruolo che ebbe nella fine del lungo scisma acaciano, della frattura tra Roma e Costantinopoli. Dopo la morte dell’imperatore Anastasio I, con l’avvento del suo successore, Giustino, la Chiesa romana riuscì a instaurare un nuovo corso con la realtà orientale. Le basi per giungere ad un comune intento, nell’ambito dell’ortodossia teologica, furono gettate durante un importante sinodo tenutosi a Costantinopoli che, riaffermando i canoni dettati nei precedenti Concili ecumenici di Nicea (325) e di Calcedonia (451), si propose di eliminare definitivamente tutte le eresie imperversanti, quali quelle ariane, monofisite, eutichiane e manichee. Ormisda cercò anche di mediare nella controversia pelagiana, e nella controversia trinitaria. Tra le altre cose incaricò Dionigi il Piccolo, fu il monaco che aveva calcolato la data della nascita di Gesù, di tradurre in lingua latina i canoni della Chiesa orientale, per poi pubblicare una nuova edizione del Decretum de recipiendis Libris di papa Gelasio I. saggio e accorto amministratore della Chiesa, mandò lettere a vari vescovi della Gallia e della Spagna, allora sotto il dominio dei Visigoti ariani, sulle più disparate questioni ecclesiastiche. I suoi rapporti con Teodorico furono amichevoli e il Liber Pontificalis ne è buon testimone, enumerando gli importanti doni a lui elargiti da qusto sovrano. Nei suoi ultimi giorni di vita, Ormisda ricevette la notizia che Trasamondo, il re vandalo dell’Africa del Nord, era morto e che le persecuzioni dei cattolici in quella regione potevano definirsi cessate. Morì il 6 agosto 523; patrono dei palafrenieri e stallieri.
6 agosto: Servo di Dio Guglielmo Massaja (al secolo Lorenzo Antonio Massaja), nacque a La Braja di Piovà (Asti) l’8 giugno 1809, da una modesta e religiosa famiglia. Trascorse la fanciullezza in famiglia, per passare poi sotto la guida del fratello Guglielmo, parroco del duomo d’Asti. Compiuti gli studi superiori nel Collegio Reale di questa città come seminarista, per attuare l’ideale missionario entrò nell’Ordine dei Frati Cappuccini, dei quali vestì il saio il 6 settembre 1826, assumendo il nome del fratello, Guglielmo. Dopo gli sudi filosofici e teologici, fu ordinato sacerdote a Vercelli il 16 giugno 1832. Dapprima cappellano ospedaliere, dove ebbe modo di apprendere nozioni elementari di medicina di cui farà tesoro in Africa; insegnò poi filosofia e teologia dal 1836 al 1846. Nel 1844 fu chiamato a collaborare in qualità di consigliere del ministro provinciale del Piemonte. Questi incarichi lo misero in contatto con la corte di Savoia, con diplomatici, medici, letterati e membri del clero piemontese. Il 1846 fu determinante per l’evangelizzazione dell’Etiopia. Dopo il fallimento delle missioni gesuitiche, francescane e cappuccine dei secoli XVI e XVII, nonostante l’erezione della prefettura dell’Abissinia al nord, capeggiata da san Giustino De Jacobis, l’Etiopia mancava di una gerarchia cattolica. Gregorio XVI riuscì a concretizzare il progetto missionario, affidò il ventesimo territorio dei Galla, nel sud dell’Etiopia, all’Ordine dei Cappuccini. Con il breve del 4 maggio 1846 lo eresse in vicariato apostolico e nominò Guglielmo, vescovo titolare di Cassia in partibus infidelium e primo vicario apostolico dei Galla. Il 24 maggio successivo, il prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, gli conferiva a Roma la pienezza del sacerdozio. Lasciò l’Italia il 4 giugno 1846, riuscendo a raggiungere la sua missione solo cinque anni dopo, il 21 novembre 1852, a prezzo di sofferenze e peripezie inaudite, procurategli in particolare dal metropolita copto dell’Etiopia, l’Abuna Salama III che scomunicandolo lo chiamò con nome profetico Abuna Messias. 8 traversate del Mare Mediterraneo, 12 del Mare Rosso, 4 pellegrinaggi in Terra Santa, 4 assalti all’acròcoro (altipiano etiopico), dal Mare Rosso, dal Golfo Arabico e dal Sudan; 4 esili, altrettante prigionie e ben 18 rischi di morte costituiscono il bilancio della sua epopea missionaria. L’attività di Guglielmo si articolò in periodi ben definiti: la Missione dei Galla propriamente (1852-1863); la permanenza in Europa (1864-1867) per riorganizzare i quadri missionari, comporre i catechismi galla e caffino, pubblicare la prima grammatica della lingua galla e fondare, il 15 aprile 1866, il Collegio Galla San Michele a Marsiglia per i giovani aspiranti al sacerdozio; la Missione dello Scioa, dove il re Menelik II lo trattenne come suo consigliere e vi fondò, nel 1868, le importanti stazioni missionarie di Fekerié-Ghemb e di Finfìnrù poi elevata a capitale dell’Etiopia moderna nel 1889 con il nome di Addis Abeba. L’esilio, decretato, il 3 ottobre 1879, dal Negus (imperatore) Joannes IV, vincitore di Menelik, troncò definitivamente l’attività benefica di Guglielmo, costringendolo alle dimissioni da vicario apostolico dei Galla. Dopo aver trascorso gran parte del 1880 in Egitto, in Medio Oriente e in Francia, Guglielmo decise di recarsi nel convento di Bastia in Corsica. Lasciò Bastia il 14 novembre 1881 e da lì si stabilì a Roma per volere di Leone XIII, promuovendolo arcivescovo e elevandolo nel 1884 cardinale. All’inizio dell’agosto 1889 si recò a Villa Amirante a San Giorgio a Cremano (Napoli) per riposo, venne stroncato da una crisi cardiaca. Morì il 6 agosto 1889.