a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 9 aprile la chiesa celebra la Domenica delle Palme, solennità liturgica che commemora l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, sede del potere civile e religioso della Palestina, acclamato come si faceva solo con i re però a cavalcioni di un’asina, in segno di umiltà e mitezza, per andare incontro alla morte. Così inizia la Settimana Santa durante la quale si rievocano gli ultimi giorni della vita terrena di Cristo e vengono celebrate la sua Passione, Morte e Risurrezione. Il racconto dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme è presente in tutti e quattro i Vangeli, ma con alcune varianti: quelli di Matteo (Mt 21,1-9) e Marco (Mc 11,1-10) raccontano che la gente sventolava rami di alberi, o fronde prese dai campi, Luca (Lc 19,30-38) non ne fa menzione mentre solo Giovanni (Gv 12,12-16) parla di palme. I Vangeli narrano che Gesù arrivato con i discepoli a Bètfage, vicino Gerusalemme (era la sera del sabato), mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina legata con un puledro e condurli da lui; se qualcuno avesse obiettato, avrebbero dovuto dire che il Signore ne aveva bisogno, ma sarebbero stati rimandati subito. I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme. Qui la folla numerosissima, radunata dalle voci dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù esclamando: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!». L’episodio rimanda alla celebrazione della festività ebraica di Sukkot (סוכות), la “festa delle Capanne”, in occasione della quale i fedeli arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi, la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’erba (Lv 23,40). Spesso attaccato al centro c’era anche una specie di cedro, l’etrog (il buon frutto che Israele unito rappresentava per il mondo). La liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo adatto al di fuori della chiesa; i fedeli si radunano e il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma, che dopo la lettura di un brano evangelico, vengono distribuiti ai fedeli, quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa. Qui giunti continua la celebrazione della Messa, che si distingue per la lunga lettura della Passione di Gesù, tratta dai Vangeli di Marco, Luca, Matteo, secondo il ciclico calendario liturgico; il testo della Passione non è lo stesso che si legge nella celebrazione del Venerdì Santo, che è il testo del Vangelo di san Giovanni. Il racconto della Passione viene letto alternativamente da tre lettori rappresentanti: il cronista, i personaggi delle varie vicende e Cristo. Esso è articolato in quattro parti: l’arresto di Gesù; il processo giudaico; il processo romano; la condanna, l’esecuzione, morte e sepoltura. Al termine della Messa, i fedeli portano a casa i rametti di ulivo benedetti, conservati quali simbolo di pace, scambiandone parte con parenti ed amici.
9 aprile: san Demetrio di Tessalonica, la passio prima racconta che a Tessalonica, durante le persecuzioni di Massimiano, tra i cristiani arrestati si trovava il predicatore Demetrio. Costui viene mostrato in catene all’imperatore diretto allo stadio per assistere a un combattimento gladiatorio, e rinchiuso per suo ordine nelle vicine terme. Nello stadio un lottatore di gran fama, un vandalo di nome Lyaeus, favorito imperiale, è affrontato dal giovane Nestore, che rifiuta il denaro offertogli da Massimiano perché rinunci a uno scontro che gli sarebbe fatale: Nestore colpisce a morte il gladiatore, e l’imperatore si allontana incollerito; ma, quando gli viene detto che erano state le preghiere di Demetrio a guidare la mano del vincitore, ordina che egli venga ucciso a colpi di lancia nel luogo stesso dove si trovava prigioniero. Qui il suo corpo viene seppellito sotto uno strato sottile di terra da alcuni compagni di fede e a lungo dimenticato. Successivamente i miracoli di guarigione che avvengono sul luogo rivelano la potenza del martire, sicché l’eparca dell’Illirico Leone fa ripulire l’area e vi fa edificare una chiesa. La passio altera, pervenuta in un gran numero di manoscritti, aggiunge al primo racconto particolari e circostanze diverse: Demetrio proviene da una famiglia di rango senatorio e percorre una brillante carriera nell’amministrazione imperiale; predica il vangelo nel portico occidentale del Foro di Tessalonica e raduna i discepoli in una sala sotterranea delle vicine terme. Uno di costoro, Nestore, chiede a Demetrio di benedirlo in vista della lotta, prega il suo Dio e uccide l’avversario nello stadio; interrogato da Massimiano, attribuisce al Dio di Demetrio la vittoria: e l’imperatore fa allora mettere a morte prima Nestore e poi Demetrio, il cui servo ne raccoglie il sangue che opera ogni sorta di guarigioni. In seguito l’eparca per l’Illirico Leone, miracolosamente risanato da una grave malattia sul luogo stesso del martirio, vi fa costruire una chiesa; dovendo far ritorno in Illirico, vuole portare con sé una reliquia del santo, ma Demetrio gli appare in sogno e glielo proibisce: Leonzio allora chiude in un cofanetto la clamide imbevuta del sangue del martire e la depone a Sirmio nella chiesa che fa edificare in suo onore. La caratterizzazione di Demetrio come santo militare va dunque probabilmente attribuita alla fama dei suoi miracolosi interventi in armi a difesa della città di Tessalonica contro gli attacchi di Avari e Slavi. Il santo è spesso raffigurato in armatura da soldato romano, sebbene soprattutto le sue prime rappresentazioni lo vedono vestito della semplice clamide diaconale.
aprile: san Liborio di Le Mans, nacque a Le Mans (Francia) nel 320 circa, ma si sa poco della sua vita, si sa che è stato il quarto vescovo di Le Mans dal 348 e pare che abbia guarito qualche fedele dal doloroso male facendo espellere le piccole pietre dai reni. Perciò in genere viene rappresentato con l’aspetto di vecchio barbuto vestito da vescovo mentre regge un libro su cui sono appoggiate piccole pietre. Sempre secondo la tradizione il suo episcopato durò ben 49 anni densi di opere di carità e ti attenzione versi gli ultimi, proprio per questa sua attenzione probabilmente è stato poi associato alle guarigioni e alla salute del corpo oltre quella dello spirito. Fece costruire alcune chiese nei dintorni di Le Mans, per cui la sua attività evangelizzatrice fu presumibilmente limitata alla Gallia del suo tempo, fu un instancabile camminatore della fede. Si dice che abbia ordinato 217 sacerdoti e 186 diaconi, questa nota della tradizione vuole soprattutto mettere in luce la sua propensione alla evangelizzazione nella sollecitudine pastorale di rafforzare quanto più possibile la chiesa. San Martino di Tours lo assistette quando morì il 23 luglio 397 d.C.; protettore dei malati della nefrolitiasi o calcolosi renale, malattie della prostata, coliche renali.