Oggi 1 marzo la chiesa celebra Le Ceneri: con l’espressione Mercoledì delle Ceneri (o semplicemente le Ceneri), si intende il mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima che, nella Chiesa cattolica, coincide con l’inizio stesso della Quaresima, cioè il primo giorno del periodo liturgico “forte”. In tale giornata, pertanto, tutti i cattolici dei vari riti latini sono tenuti a far penitenza e ad osservare il digiuno e l’astinenza dalle carni. Proprio in riferimento a queste disposizioni ecclesiastiche sono diffuse alcune espressioni fraseologiche come carnevale (dal latino carnem levare, cioè “eliminare la carne”) o martedì grasso (l’ultimo giorno di carnevale, appunto, vigilia delle Ceneri, in cui si può mangiare “di grasso”). Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre il tempo della Quaresima. Lo spirito comunitario di preghiera e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche purificatrici dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo. Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno chiaro della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore. L’origine del Mercoledì delle ceneri è da ricercare nell’antica prassi penitenziale. Originariamente il sacramento della penitenza non era celebrato secondo le modalità attuali. La celebrazione delle ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, costituiva infatti il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo. Nel tempo il gesto dell’imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e la riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l’importanza di questo segno. La teologia biblica rivela un duplice significato dell’uso delle ceneri: prima di tutto sono segno della debole e fragile condizione dell’uomo, ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. La semplice ma coinvolgente liturgia del mercoledì delle ceneri conserva questo duplice significato che è esplicitato nelle formule di imposizione: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» o «Convertiti e credi al Vangelo».
1 marzo: san Felice III, 48º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma nella prima metà del sec. V, da una famiglia senatoriale romana, la gens Anicia. Felice III fu il primo papa appartenente all’alta aristocrazia romana salito sul soglio di Pietro all’indomani della caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Fu anche il primo pontefice che ritenne necessario comunicare la notizia della propria elezione all’imperatore bizantino. Con la sua politica ferma e decisa nei confronti sia del patriarca sia del sovrano di Costantinopoli Felice III fu pure, tra i pontefici romani, uno dei maggiori assertori del primato papale in campo ecclesiastico e religioso. Felice III fu pontefice di grande energia e di severi principi. Felice prima di accedere agli ordini sacri, sembra sia stato sposato, con Petronia, ed abbia avuto un figlio, Gordiano. Morta la moglie abbracciò la vita ecclesiastica, Felice ne percorse gli ordini all’interno del clero romano; era diacono quando scomparve il papa Simplicio, il 10 marzo 483, in un periodo particolarmente difficile per l’Italia. Erano infatti gli anni successivi al colpo di Stato, che aveva portato alla deposizione di Romolo Augustolo ed alla presa di potere, in Ravenna, di Odoacre. In tale clima di tensione tra una fazione filobizantina ed una favorevole al governo di Ravenna cominciarono a Roma, non appena peggiorò lo stato di salute di Simplicio, i maneggi in vista dell’elezione del nuovo pontefice. Dopo la scomparsa del papa giunse a Roma, Cecina Mavorzio Basilio Decio, prefetto del pretorio ed esponente dell’aristocratica famiglia romana dei Decii. Questi, nel 483, riuscì a far eleggere al soglio di San Pietro il diacono Felice, la persona che il papa Simplicio aveva auspicato come proprio successore. Il nuovo pontefice, appena ordinato, si inserì nel gioco dei rapporti, già tesi, fra il rex gentium e Bisanzio, perseguendo nei confronti di quest’ultima una politica di ferma intransigenza a proposito della questione monofisita. L’imperatore Zenone aveva promulgato nel 482, su consiglio del patriarca di Costantinopoli Acacio, il cosiddetto Henotikon o Atto di Unione: una formula di fede, che era un compromesso tra le tesi cattoliche e quelle monofisite. Nel momento in cui i cattolici rifiutarono l’editto, l’imperatore sostituì i patriarchi di Antiochia di Siria con Pietro Fullo, un noto monofisita e quello di Alessandria d’Egitto con Pietro Mongo. Nel suo primo sinodo, Felice III scomunicò Pietro Fullo, che fu condannato anche da Acacio in un sinodo di Costantinopoli. Ma con sommo dispiacere di molti dei vescovi, fu riammesso in comunione da Acacio. Felice III, dopo aver convocato un nuovo sinodo, spedì i vescovi Vitale e Miseno, suoi legati all’imperatore e ad Acacio per ingiungergli di espellere Pietro Mongo da Alessandria e per costringere Acacio a presentarsi a Roma per spiegare la sua condotta. I legati furono catturati e imprigionati; poi spinti da minacce e promesse, entrarono in comunione con gli eretici. Quando il loro tradimento fu reso noto a Roma dal monaco Simeone, Felice convocò un sinodo di 77 vescovi nella Basilica Laterana, che scomunicò Acacio ed i legati pontifici. Sostenuto dall’imperatore, Acacio ignorò la scomunica e rimase nella sua sede fino alla morte, che ebbe luogo nel 489. Lo scisma, noto come Scisma Acaciano terminò solo nel 518, durante il regno di Giustiniano I di Bisanzio. In Africa, i Vandali di Genserico avevano perseguitato la Chiesa per più di 50 anni ed avevano costretto molti cattolici all’esilio. Quando la pace fu ristabilita, molti di quelli che per paura erano caduti nell’eresia ed erano stati ribattezzati ariani, desiderarono ritornare alla Chiesa. Poiché venivano respinti da coloro che erano rimasti fedeli, fecero appello a Felice, che convocò un sinodo nel 487, e spedì una lettera ai vescovi d’Africa in cui esponeva le condizioni alle quali costoro avrebbero potuto essere riammessi in seno alla Chiesa. Felice morì a Roma il 1 marzo 492, dopo 8 anni, 11 mesi e 23 giorni di regno.
1 marzo: sant’Albino di Angers, nacque a Vannes (Francia) nel 470 circa, da una nobile famiglia gallo-romana. Albino fu dapprima monaco, virtù di monaco gli valsero, suo malgrado, l’elezione a superiore del convento. Per 25 anni, dal 504 a Tincillac, fu abate, e come era stato monaco obbediente, fu abate zelante e autorevole. Nel 529, fu eletto per acclamazione popolare, contro la sua volontà, vescovo di Angers, nella regione dei Paesi della Loira, capitale storica degli Angiò. Non desiderava essere vescovo perché non si riteneva degno di portare la mitria, né capace di maneggiare il pastorale. Era un semplice monaco e per il monastero aveva rinunziato al titolo nobiliare e al feudo paterno, nella nativa Bretagna. Come vescovo, si impegnò contro il malcostume, condusse una campagna contro la pratica dei matrimoni incestuosi in voga nelle famiglie nobili del tempo. Mentre era in vita ha avuto pochi applausi e molti avversari per la fermezza con cui governava la sua diocesi e per il rigore con cui pretendeva dal clero e dai nobili l’osservanza dei precetti della Chiesa, compreso l’obbligo di assistere alla messa tutte le domeniche. Dell’osservanza di questo precetto si fece portavoce al Concilio di Orlèans del 538 e del 541 e organizzò la Chiesa di Gallia. La tradizione vuole che una volta egli si scontrasse con re Childeberto (re franco della dinastia merovingia), che aveva imprigionato una donna di nome Etherie di una località vicino Angers; impossibilitato a garantire la sua liberazione, Albino si recò da lei in prigione e il soldato che gli si oppose cadde esanime ai suoi piedi, così da convincere il re a liberare la donna. Un’altra leggenda narra che una notte Albino pregò insistentemente per due uomini rinchiusi nella Torre di Angers: a un tratto un grosso masso si staccò dal muro dell’edificio rendendo possibile la fuga dei due. Morì il 1 marzo 550; patrono e difensore dei poveri e dei prigionieri.
1 marzo: beato Cristoforo da Milano, nacque a Milano verso il 1410, nulla sappiamo della sua famiglia. Questo silenzio ha, probabilmente origine in un profondo contrasto che Cristoforo dovette avere con i genitori quando scelse la vita religiosa, nelle sue opere, ricorre l’accenno al dovere morale dei genitori di lasciare liberi i figli di seguire la vocazione religiosa. Attorno al 1430, probabilmente durante gli studi, Cristoforo chiese ed ottenne di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori presso il convento di Sant’Eustorgio. In quella sede compì gli studi di filosofia e di teologia e divenne sacerdote attorno al 1438. Sensibile agli ideali e ai tentativi di riforma interna all’Ordine, in atto in quegli anni, abbandonò Sant’Eustorgio, convento restio alla introduzione di una rigida osservanza. Il periodo che seguì la sua partenza da Milano fu dedicato soprattutto alla predicazione, condotta sul modello di quella di san Vincenzo Ferreri. I luoghi di apostolato furono i maggiori centri della Lombardia, delle Venezie, della Romagna e delle Marche, lungo la costa adriatica. Ritroviamo Cristoforo nel 1444 a Mantova, dove dal 1446 ottenne l’incarico di maestro dei novizi. Intanto Cristoforo si dedicò allo studio e alla preparazione di materiale che utilizzerà nella successiva predicazione: raccolse infatti molte schede, ordinate per argomento, con ampie citazioni di Padri latini e greci. Nel 1451, a Bergamo, iniziò un secondo periodo di predicazione itinerante, durante il quale si spostò lungo il versante tirrenico, con tappe certe a Bologna, Firenze, Roma, Gaeta, Napoli e Palermo. Cristoforo, resosi sempre più sensibile agli ideali della riforma domenicana, condividendone scopi e metodi, iniziò una paziente opera per il suo accoglimento nei diversi insediamenti dell’Ordine da lui frequentati. La sua predicazione si rivolgeva sempre più, oltre che al popolo delle contrade visitate, anche ai confratelli dei conventi presso i quali soggiornava a lungo. Tornato nell’Italia settentrionale, fu a Genova, nel 1458, e continuò il suo apostolato itinerante lungo la costa ligure, verso la Francia. Nel 1459 su invito degli abitanti di Taggia (Imperia), dove Cristoforo dimorava da qualche mese, le sue parole carismatiche vennero seguite con grande interesse dalla gente del posto che lo pregò di rimanere e di fondare un convento, Santa Maria Madre di Misericordia. Il religioso iniziò quindi ad occuparsi dei lavori relativi alla costruzione, nello stesso tempo scriveva trattati di argomento teologico-morale e curava le sue anime: egli si recava a piedi a predicare nei paesi delle valli circostanti, assentandosi spesso per molti giorni. Sotto il suo governo fiorì lo splendore della disciplina e del culto. A tale nobile fine egli dispose che i religiosi incaricati ogni settimana di dirigere l’Ufficio divino, ad imitazione degli antichi sacerdoti che servivano al Tempio, non dovevano mai uscire dal convento, ne avere altri impegni perché, occupati unicamente del culto, potessero essere i mediatori presso Dio in nome dei loro fratelli trattenuti da altri servizi. Cristoforo promosse con zelo gli studi e attirò all’Ordine numerose vocazioni. Mantenendo Taggia come punto di riferimento, Cristoforo riprese per la terza volta, nel 1462, la predicazione, con un viaggio in Francia, che lo vide certamente a Nizza e a Marsiglia, e poi lungo la costa ligure. Morì il 1 marzo 1484, nel convento di Taggia, subito dopo il suo rientro da alcune predicazioni nella regione.