a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 13 agosto la chiesa festeggia sant’Ippolito di Roma, nacque in Asia Minore nel 170 circa, è stato un teologo e scrittore romano, primo antipapa della storia della Chiesa. Prima della morte si riconciliò con il papa legittimo, san Ponziano, insieme al quale subì il martirio; pertanto è considerato come il primo antipapa della storia ad essere stato canonizzato. Sulla sua persona ci sono pervenute scarse informazioni, spesso in contrasto tra loro. Dalle notizie tramandate da Eusebio di Cesarea, san Girolamo, papa Damaso I e Prudenzio, si desume che nacque probabilmente in Asia Minore, dove dovette studiare teologia, esegetica e retorica; divenuto un esponente importante della Chiesa, giunse come prete a Roma sotto il pontificato di papa Zefirino. Ippolito, sacerdote, colto e austero, poco incline all’indulgenza e timoroso che in ogni riforma si celasse l’errore, era giunto ad accusare di eresia lo stesso pontefice san Zefirino e il diacono Callisto. Il durissimo confronto tra Callisto ed Ippolito raggiunse l’apice trasformandosi in scisma quando il primo divenne papa, nel 217, immediatamente Ippolito lasciò la comunione della Chiesa di Roma e fu eletto antipapa da una ristretta schiera di seguaci da lui chiamati “Chiesa”, in contrasto con la maggioranza dei romani da lui chiamati “Scuola di Callisto”. Ippolito accusava Callisto di essere caduto nell’eresia di Teodato prima e di Sabellio poi, inoltre lo accusava di lassismo morale nei confronti di peccati gravi quali l’adulterio e l’omicidio. Ippolito continuò la sua opposizione alla Chiesa di Roma come antipapa anche durante i pontificati dei due successori di Callisto: sant’Urbano I e san Ponziano. Intanto l’imperatore Alessandro Severo veniva ucciso in Germania dai suoi legionari e gli subentrava Massimino il Trace, che rispolverò gli antichi editti persecutori nei confronti dei cristiani. Trovandosi di fronte a una Chiesa con due capi, senza pensarci su spedì entrambi ai lavori forzati in una miniera della Sardegna. Secondo la tradizione cattolica lo scisma rientrò nel momento in cui Ippolito incontrò Ponziano (secondo successore di Callisto) sull’isola. Ponziano è il primo papa deportato. Era un fatto nuovo che si verificava nella Chiesa e Ponziano seppe risolverlo con saggezza e umiltà: perché i cristiani non fossero privati del loro pastore rinunciò al pontificato, e anche questa spontanea rinuncia è un fatto nuovo. Il gesto generoso di Ponziano deve aver commosso l’intransigente. Essi, riconciliatisi, invitarono i rispettivi seguaci a fare altrettanto. La morte li colse entrambi nell’isola e le salme dei due martiri raggiunsero Roma. Morì in Sardegna nel 235.
13 agosto: san Giovanni Berchmans (Jan Berchmans), nacque a Diest (Belgio) il 12 marzo 1599. Ammalatasi gravemente, nel 1609, la madre quando lui aveva solo 10 anni, voleva diventare prete, ma la situazione economica della famiglia non glielo permetteva, poi con l’aiuto di due zie e poi di don Pietro Van Emmerick, parroco della chiesa di Nostra Signora di Diest e suo primo maestro spirituale, trovò il modo di lavorare e di studiare. Il padre avrebbe voluto che imparasse un mestiere, ma egli disse che volesse studiare e sarebbe vissuto anche a pane e acqua. Ma due anni dopo lo rivogliono in casa: la madre soffre sempre di più, e la famiglia è in povertà, non è possibile permettergli di studiare. Una soluzione comunque arriva: si riesce a ricavargli un posto di servitore presso un canonico di Malines, e lui può frequentare come esterno il seminario minore: Giovanni infatti vuole farsi sacerdote. Con il consenso di suo padre. Nel 1615 i Gesuiti avevano aperto un collegio a Malines e il giovane vi continuò gli studi; dopo aver letto la vita di san Luigi Gonzaga, che nel 1695 era già stato beatificato. Fu allora affidato come domestico presso il sacerdote Froymont, canonico della cattedrale di Malines, dove riuscì a permettersi di studiare, da esterno, presso il collegio gesuita di quella città, nel quale Giovanni, a 16 anni, entra solo per terminare gli studi letterari. E invece non andrà così. La serietà e autorevolezza degli studi e la profondità con cui si pratica la fede della Compagnia di Gesù lo attraggono; e a tutto questo si aggiunge una biografia che gli capita di leggere: quella di san Luigi Gonzaga, deceduto nella Compagnia nel 1591, e beatificato da Paolo V nel 1695. Capì che Dio lo chiamava nella Compagnia di Gesù. È una decisione che scontenta suo padre a causa del voto di povertà. Ma poi il papà accetterà la scelta del primogenito; e non solo, dopo la morte della moglie, abbracciò anch’egli lo stato ecclesiastico diventando sacerdote, il 24 settembre 1618. I progressi spirituali di Giovanni furono così rapidi e sicuri che i superiori gli concessero, dopo un solo anno di noviziato, di emettere i tre voti perpetui detti “di devozione”, e lo nominarono prefetto dei novizi. Mandato a Roma, nel 1619, per completare la sua formazione con gli studi filosofici al Collegio Romano (l’attuale Pontificia Università Gregoriana), creato nel 1551 dal fondatore della Compagnia di Gesù, sant’Ignazio di Loyola. Giovanni ha un obiettivo chiaro: le missioni lontane della Compagnia: in Cina, dove padre Matteo Ricci è arrivato nel 1592. Invece la sua terra di missione si rivela essere lì, tra i novizi che gli vengono affidati nella scuola superiore dell’Ordine. È lì che Giovanni è evangelizzatore, con il suo modo di affrontare lo studio, la preghiera, l’obbedienza e la tanta penitenza che si impone, tutte vissute come fonti di gioia. È sempre sorridente, e per questo motivo lo chiamano “frate Ilario”. Purtroppo, il 7 agosto 1621, il rigido tenore di vita da lui seguito e forse il clima a lui poco confacente gli provocarono violenti febbri, accompagnate da catarro intestinale e da infiammazione polmonare, che lo stroncarono in pochi giorni provocandone la morte, mentre sta tornando da un dibattito tra studiosi di filosofia. Morì il 13 agosto 1621; patrono della gioventù studentesca con i santi Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka.
13 agosto: san Cassiano di Imola, nacque nel 240 circa. Scacciato da Brescia, sua diocesi, a causa della persecuzione scatenata dall’imperatore Giuliano l’Apostata, si rifugiò a Imola. Decise subito di dedicarsi alla educazione dei giovani, perché avrebbe potuto esercitare meglio il suo zelo. Il suo scopo era quello di ispirare loro, assieme alla scienza, i principi della religione e della fede in Gesù Cristo e, per meglio riuscirci, iniziò a impartire loro i primi rudimenti delle lettere, cioè a leggere e a scrivere. Questo insegnamento glielo impartiva per mezzo di segni che servivano a esprimere molte cose con un solo carattere; in modo da riuscire a scrivere con la stessa facilità con cui si impara a parlare, metodo questo molto in uso a quei tempi, ma, purtroppo, venne denunciato al magistrato della città, che simpatizzava molto per l’imperatore apostata, che lo fece arrestare e condurre davanti a sé per costringerlo a rinunziare al culto del vero Dio e ad adorare le false divinità. Cassiano rifiutò di sacrificare agli idoli; il giudice allora irritato dalla sua costanza, lo condannò a morte perché colpevole di sacrilegio verso gli dei e perché aveva violato gli editti imperiali. Il tiranno pensò che il mezzo migliore, per vendicarsi di lui, era di abbandonarlo ai suoi alunni, per la maggior parte pagani. Venne ricondotto quindi alla sua scuola, con le mani legate dietro il dorso e senza abiti. Quella marmaglia di ragazzi si gettò allora su di lui per assecondare il giudice ma anche, forse, per vendicarsi di qualche punizione, certamente giusta e necessaria, che aveva ricevuto. Alcuni gli ruppero le tavolette in testa; altri lo trafissero con mille colpi con uno stilo di ferro, che era come un bulino o un punteruolo e di cui si servivano allora gli alunni per incidere il legno o per scrivere sulla cera. E così lo fecero morire poco a poco con un martirio crudele ed estenuante, perché quei piccoli carnefici non erano capaci di togliergli d’un sol colpo la vita. Languiva tra gli spasimi che venivano continuamente rinnovati e che ebbero termine con l’effusione del suo sangue fino all’ultima goccia. Morì il 13 agosto 303 circa; patrono degli stenografi, segretari, dattilografi, informatici e scrittori.
13 agosto: beato Marco d’Aviano (al secolo Carlo Domenico Cristofori), nacque a Villotta di Aviano (Pordenone) il 17 novembre 1631, da una famiglia originaria di Milano, ma da secoli trapiantata nel pordenonese, di buona condizione. Studiò nel Collegio dei Gesuiti di Gorizia, un giorno, dopo un’uscita dei collegiali, non rientrò. Camminò due giorni finché, esausto, bussò alla porta del convento dei Cappuccini di Capodistria. La Provvidenza risolse la sua crisi giovanile con la vocazione alla vita francescana. Il 21 novembre 1648 vestì l’abito dei cappuccini nel noviziato di Conegliano, cambiando il nome in Marco. Fu ordinato sacerdote il 18 settembre 1655 e nel 1670 venne nominato superiore del convento cappuccino di Belluno e dopo un paio d’anni di quello di Oderzo. La responsabilità della carica, però, ostacolava il suo desiderio di solitudine e preghiera, quindi i superiori, accogliendo la sua richiesta, lo trasferirono a Padova, fu in questa città che si rivelò per quel grande predicatore che era. Così Marco divenne un instancabile viaggiatore e predicatore per il Veneto e per tutta l’Europa, accompagnato da una sempre più crescente fama di taumaturgo. Usava, a favore dei malati e dei bisognosi, una particolare formula di benedizione (fondata su Numeri 6, 24-26 e Marco 9, 22) che rimase famosa, procurandogli però qualche noia da parte delle autorità ecclesiastiche. Nel 1680 viaggiò nel Tirolo, in Baviera e Austria. L’imperatore Leopoldo I d’Asburgo lo volle come suo consigliere a Vienna. Intanto i Turchi erano giunti fino a Vienna, forti di un esercito di 150.000 turchi, comandati da Mustafà il Nero, generale di Maometto IV. Papa Innocenzo XI inviò allora Marco a riunificare i comandanti degli eserciti cristiani, in lotta tra di loro, sotto il comando del coraggioso Giovanni Sobieski. Incitando poi i soldati a credere nell’aiuto divino Marco contribuì senz’altro a che Vienna il 12 settembre 1683 fosse liberata dall’assedio ed i Turchi sconfitti. Il valore politico-religioso di quella vittoria era enorme: se Vienna fosse caduta ai turchi si sarebbe aperta la strada per arrivare fino a Roma. Marco per questo divenne il “Salvatore d’Europa”. Papa Innocenzo XI proclamò la giornata “Festa del Santissimo Nome di Maria” e l’operazione militare, che allontanò definitivamente il “pericolo ottomano” dall’Europa occidentale, continuò con la riconquista di Buda, capitale dell’Ungheria, nel 1685 e successivamente della Serbia. Terminate le guerre Marco riprese instancabile la sua opera pastorale. Nel 1699, a 68 anni, ripartì per Vienna, ma era oramai afflitto da un tumore che lo stava consumando, tanto che dovette interrompere ogni attività. Il 2 agosto ricevette in convento la visita della famiglia imperiale e poi man mano quella dei più illustri personaggi di Vienna. Il 13 agosto fu costretto a letto, assistito dallo stesso imperatore Leopoldo I e da sua moglie Eleonora, spirò stringendo quel crocefisso con il quale, alla stessa ora della morte, soleva benedire le genti d’Europa. Morì il 13 agosto 1699.