SANT’Oggi. Giovedì 19 ottobre la chiesa celebra san Gioele profeta, san Paolo della Croce, santa Laura di Cordova, beato Jerzy Popieluszko e venerabile Placido Baccher

SANT’Oggi. Giovedì 19 ottobre la chiesa celebra san Gioele profeta, san Paolo della Croce, santa Laura di Cordova, beato Jerzy Popieluszko e venerabile Placido Baccher

SANT’Oggi. Giovedì 19 ottobre la chiesa celebra san Gioele profeta, san Paolo della Croce, santa Laura di Cordova, beato Jerzy Popieluszko e venerabile Placido Baccher

a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 19 ottobre la chiesa celebra san Gioele profeta, il suo nome significa “Yah[weh] è Dio”, combinando il nome di Dio, YHWH, e El (divinità), venendo quindi usualmente tradotto “colui per il quale YHWH è Dio”. Egli fu uno dei profeti minori di Israele, le cui profezie sono riportate nell’omonimo libro biblico. Gioele, figlio di Petuel, visse con ogni probabilità a Gerusalemme intorno al V secolo a.C. e predicò nel regno meridionale di Giuda. Viene ricordato per la sua profezia legata a un’invasione di locuste, in cui Gioele vide l’ira di Dio associata alla fine del mondo da lui definita “giorno del Signore”. Nel suo libro nomina il Tempio, però mancano le offerte per i sacrifici¸ quindi tutto fa pensare ad un’epoca di grande povertà e ad un Israele, ridotto di numero di abitanti e di importanza; perciò gli studiosi hanno pensato all’epoca dell’occupazione persiana della Palestina, nel V secolo a.C. Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò nel territorio di Giuda e più particolarmente a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro. Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi; una enorme invasione di cavallette, come solo in Oriente se ne può vedere, aveva devastato i campi della Giudea, portando miseria e fame alla popolazione. Il profeta interpretando questo flagello, come castigo inviato da Dio, ritiene che sia necessario invitare tutto il popolo a fare penitenza ed a chiedere il perdono dei propri peccati. Ma ciò non basta a placare l’ira di Dio e Gioele vede approssimarsi un altro flagello, più terribile del precedente, descritto come un immenso esercito di soldati nemici, più numeroso delle cavallette. È il “giorno del Signore” o il giorno della vendetta che si avvicina, il profeta incita di nuovo alla penitenza (2, 12-17) e finalmente l’ira di Dio si placa. Il flagello viene scongiurato, la terra ritorna fertile ed Israele riconosce in Iahweh il suo Dio; questo riconoscimento è come una conversione gradita a Dio, che ricambia con la promessa di favori straordinari, assicurando che quando verrà il nuovo “giorno dei Signore”, egli farà giustizia di tutti i nemici d’Israele radunati nella valle di Giosafat e riunito il suo popolo disperso, abiterà eternamente in mezzo a loro. La seconda parte del libro è una grandiosa descrizione del “giorno del Signore”, cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito; seguirà il Giudizio divino sulle genti e l’alba di un nuovo mondo. San Pietro apostolo proclamò l’effusione dello Spirito Santo, adempiuta nel giorno di Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo e con i prodigi che l’accompagnarono e la seguirono (At 2, 16-21). La liturgia della Chiesa utilizza buona parte del libro di Gioele nei responsori, lezioni, antifone del Breviario e nelle letture della Messa, specie durante i periodi di penitenza come l’Avvento, la Quaresima, le Ceneri.
19 ottobre: san Paolo della Croce (al secolo Paolo Francesco Danei), nacque a Ovada (Alessandria) il 3 gennaio 1694. La famiglia Danei, numerosa e cristiana, si era trasferita da Castellazzo a Ovada. Per i continui trasferimenti, impiegato già da adolescente nell’impresa di famiglia, e istruito in modo discontinuo e frammentario, Paolo scoprì la sua vocazione nel 1713 a Cremolino, commosso da un sermone in tempo di carnevale. Fin da fanciullo mostrò molto interesse per la religione evidenziando una spiccata spiritualità: trascorreva molto tempo in preghiera, partecipava ogni giorno alla messa e si accostava con frequenza ai sacramenti. Nello stesso tempo attendeva ai suoi doveri di studente, dedicando i suoi ritagli di tempo libero alla lettura e alla visita di chiese; qui trascorreva molto tempo nell’adorazione prima di ricevere l’eucaristia, per la quale aveva un’ardente devozione. La prospettiva di vivere al servizio della Chiesa si fece chiara alla fine del 1717, influenzata dai cappuccini di Tortona e consentita dalla rendita di uno zio sacerdote che gli permise di abbandonare gli affari. Nel 1720 si sentì ispirato a fondare l’Istituto Missionario dei Passionisti: vide se stesso vestito di una tonaca nera con il nome «Jesu» in lettere bianche sottostante una croce bianca. Nel 1721, rivestito di una tunica nera dal vescovo barnabita di Alessandria, Gian Francesco Arborio di Gattinara, suo padre spirituale, portando l’emblema della passione di Gesù si ritirò in un’angusta cella dietro la chiesa dei santi Carlo e Anna in Castellazzo Bormida. In questa cella trascorse tutto l’inverno, vi stese la Regola della nuova congregazione sulla base delle indicazioni che avrebbe ricevute in una visione. Il vescovo respinse la «regola» che, scritta nel romitaggio, Paolo allora decise di proporsi direttamente al pontefice. Il 22 settembre si presentò al Quirinale per essere ricevuto da Innocenzo XIII e fu licenziato sbrigativamente; deluso si ritirò nell’eremo della Santissima Annunziata, sul Monte Argentario, dove fu raggiunto dal fratello Giovanni Battista, che nel frattempo aveva ricevuto l’abito di religioso dal di Gattinara. Su invito del vescovo di Gaeta, il teatino Carlo Pignatelli, Paolo ed il fratello si trasferirono presso il Santuario della Madonna della Catena, ove risiedettero nel 1722 ed 1723, per poi trasferirsi a Troia (Foggia) dove il vescovo Emilio Cavalieri lo aiutò nella correzione della Regola e patrocinò il ricevimento a Roma da parte del papa, Benedetto XIII, che lo autorizzò ad accogliere altri compagni nel nuovo ordine. Lo stesso papa Benedetto XIII, il 7 giugno 1727, lo ordinò sacerdote nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il 15 maggio 1741, la Regola dei «Minimi Chierici Regolari scalzi» fu approvata con rescritto pontificio. Sei religiosi emisero i voti pubblici, presero l’abito nero con «segno» bianco e assunsero il nome di religione, Paolo Danei divenne così Paolo della Croce, fondatore e missionario nel nome della Passione. Dopo l’approvazione della Regola e dell’Istituto, il primo capitolo si tenne sul Monte Argentario il 10 aprile 1747. Durante questo capitolo Paolo, che era accompagnato dal fratello Giovanni Battista, contro la sua volontà fu eletto all’unanimità primo superiore generale e tale carica egli ricoprì fino al giorno della sua morte. Fu instancabile nei suoi doveri apostolici e mai, fino alla sua ultima ora, rigettò qualche aspetto del suo austero modo di vivere. Infine, affetto da una grave malattia, morì per l’austerità praticata e per l’età avanzata a Roma. Morì il 18 ottobre 1775.
19 ottobre: santa Laura di Cordova, nacque in un’importante famiglia spagnola ed entrò nella vita monastica nel convento di Santa Maria di Cuteclara, vicino a Cordova (Spagna), dopo la morte del marito e delle figlie divenne badessa nell’anno 856 d.C., succedendo a sant’Aurea, nel periodo in cui la Spagna era sotto la conquista dei musulmani. Nel «Martyrologium hispanicum» si narra che rifiutò di abiurare la propria fede cristiana, fu condotta davanti ad un giudice musulmano, fu processata e condannata a morire in una caldaia di pece bollente, dove diede la sua anima a Dio dopo tre ore di atroci dolori. Morì il 19 ottobre 864.
19 ottobre: beato Jerzy Popieluszko, nacque a Okopy (Polonia) il 14 settembre 1947, i suoi genitori erano contadini e in questo ambiente semplice maturò la sua vocazione. Nel 1965 entrò nel Seminario Maggiore di Varsavia, ricevette l’anno successivo la chiamata alle armi, dovendo svolgere il servizio triennale di leva in una unità militare speciale, dove le autorità militari comuniste svolgevano opera di indottrinamento anticlericale e antireligioso per distogliere i seminaristi dalla loro vocazione. Fu oggetto di maltrattamenti e persecuzioni, che indebolirono il suo stato di salute. Fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1972 a dal cardinale Stefan Wyszyński. Fino al 1980 fu cappellano nel suo villaggio di origine, occupandosi principalmente dell’educazione di bambini e ragazzi, da quel momento iniziò ad avvicinarsi al movimento operaio polacco e a temi di giustizia sociale. Nell’agosto del 1980 fu inviato dal cardinale Wyszyński tra gli operai in sciopero nei cantieri siderurgici di Varsavia fino a diventare uno dei sacerdoti più legati a Solidarność, avverso al regime comunista. Oltre al lavoro parrocchiale, nella chiesa di San Stanislao Kostka, svolgeva il suo ministero tra gli operai, organizzando conferenze, incontri di preghiera anche per medici e infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati. Jerzy per il suo coraggio, la difesa dei diritti umani, la richiesta di libertà e giustizia, la capacità di amare anche i suoi persecutori, divenne subito una minaccia per il regime dittatoriale. Fu inizialmente minacciato e invitato al silenzio da parte del Ministero dell’Interno polacco. Il 19 ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, fu rapito e selvaggiamente bastonato e seviziato a morte da parte di tre funzionari del Ministero dell’Interno (Dipartimento contro la Chiesa), pur rinchiuso nel bagagliaio di un’automobile, cercò di fuggire. I persecutori lo braccarono, lo colpirono ancora più violentemente, lo sfigurarono, lo legarono tra bocca e gambe, in modo che non possa distendersi senza soffocare. Gli stringono un masso ai piedi e lo gettarono ancora vivo nella Vistola; il cadavere fu ritrovato il 30 ottobre nelle acque del lago artificiale vicino alla diga di Vistola vicino a Włocławek. La notizia dell’assassinio causò disordini in Polonia, e gli autori dell’omicidio, i capitani Grzegorz Piotrowski, Leszek Pękala, Waldemar Chmielewski e il colonnello Adam Petruszka, furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma furono rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo. Morì il 19 ottobre 1984, a 37 anni.
19 ottobre: venerabile Placido Baccher, nacque a Napoli il 5 aprile 1781, ultimo dei sette figli di Vincenzo De Gasaro e di Cherubina Cinque, il cognome con cui è conosciuto, viene dal padre il quale avendo ricevuto per discendenza, una vistosa eredità dal primo marito della madre Girolamo Baccher, la quale in seconde nozze aveva sposato Gerardo De Gasaro, volle per riconoscenza aggiungere al suo cognome anche quello di Baccher; quindi il padre di don Placido si chiamò Vincenzo De Gasaro-Baccher. II piccolo Placido mostrò ben presto predilezione per le cerimonie religiose; rifuggendo dagli scherzi dei bimbi della sua età, si dedicò agli altarini, officiando con i fratellini e gli amici quasi fosse un vecchio sacerdote. Frequentò il Collegio dei Padri Domenicani di San Tommaso d’Aquino ai Fiorentini che frequentò da esterno, qui colse una tenera devozione a san Luigi Gonzaga; quella per la Madonna la ereditò dalla mamma. Durante la rivoluzione napoletana del 1799, che portò all’instaurazione della Repubblica Partenopea, Placido venne coinvolto pesantemente; venivano perseguiti tutti coloro che fossero sospettati di fedeltà al re, suo padre Vincenzo era stato già esi¬liato; i fratelli Gennaro e Gerardo erano caduti sotto i colpi del plotone di esecuzione, giustiziati nel castello angioino; lui, di appena 18 anni, era in attesa di sentirsi leggere la sentenza che lo condannava a morte, ma la notte precedente il giudizio, ebbe in sogno la Madonna, che lo rassicurò sulla sua liberazione, chiedendogli di consacrarsi a Lei; condotto l’indomani davanti al tribunale, nel Palazzo Reale, i giudici nel guardarlo, si meravigliarono dell’arresto di quel giovane così inoffensivo e incapace di far del male e quindi ne ordinarono la scarcerazione. La Madonna lo aveva salvato e lo salvò ancora, quando fu spiccato un altro ordine di cattura, perché il Presidente del Tribunale riscontrò che erano stati giustiziati 16 realisti invece dei 17 della lista; per sfuggire alla cattura, Placido fu calato con una corda in un pozzo, ma per errata manovra finì sul parapetto di una loggia, spaccandosi la testa. Il 20 febbraio 1802 Placido vestì l’abito talare frequentando e studiando come chierico esterno, il convento di San Tommaso d’Aquino e fu assegnato alla parrocchia di San Giovanni Maggiore. Completati gli studi venne ordinato sacerdote, nella Basilica di Santa Restituta, il 30 maggio del 1806. Fece apostolato in alcune chiese napoletane, instaurando con i fedeli già allora, i raduni del sabato per recarsi alla chiesa dell’Immacolata, ai piedi del castello, finché i superiori lo nominarono, nel 1811, rettore della Chiesa del Santissimo Salvatore, detta del Gesù Vecchio, fondata nel 1557 dai gesuiti. Devotissimo alla Madonna trasformò la sua chiesa in un fervido centro di devozione mariana, fedele al suo motto “A Gesù per Maria”; fu ardente zelatore del Rosario, da lui considerato arma validissima di apostolato; malgrado tutto però a don Placido, la chiesa sembrava una reggia senza regina, allora si fece costruire una statua dell’Immacolata, così come l’aveva sognata la notte della sua prigionia in Castel Capuano. Il culto che si instaurò nel Gesù Vecchio per la Madonna, si diffuse per tutta Napoli e folle di fedeli vi si recavano per le cerimonie del sabato e in particolare nella Novena e festa dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre, che a Napoli è stata sempre particolarmente celebrata. Morì il 19 ottobre 1851, a 70 anni