Oggi 20 gennaio la chiesa celebra san Fabiano, 20° vescovo di Roma e papa; romano d’origine, venne eletto il 10 gennaio 236 d.C. subito dopo la morte di papa Antero. Narra Eusebio di Cesarea, nella Historia Ecclesiastica (VI, 29), di come i cristiani, che si erano riuniti a Roma per eleggere il nuovo vescovo, mentre esaminavano i nomi di molti personaggi nobili ed illustri, videro una colomba posarsi sulla testa di Fabiano, un contadino che si trovava per caso in città. Il popolo ne rimase commosso; giudicandolo degno del papato, lo sollevò sulle braccia e lo collocò sulla cattedra vescovile, nonostante la sua resistenza. Fabiano fu il primo laico eletto sommo Pontefic, fu un pastore santo e operoso. Durante i suoi 15 anni di governo consolidò la costituzione della comunità romana approfittando della relativa pace goduta dalla Chiesa sotto gli imperatori Gordiano III e Filippo l’Arabo. Secondo il Liber Pontificalis divise Roma in sette distretti (diaconie), ognuno supervisionato da un diacono e nominò sette sottodiaconi, per raccogliere, insieme ad altri notai, gli Atti dei martiri, cioè gli atti delle corti che li giudicarono nei loro processi; inoltre, portò avanti molti lavori nei cimiteri. Racconti successivi, più o meno veritieri, gli attribuiscono anche altri meriti quali il battesimo dell’imperatore Filippo l’Arabo e suo figlio; il miglioramento dell’organizzazione della chiesa a Roma con l’istituzione di ministri incaricati della trattazione di particolari problematiche scelti tra i sacerdoti del clero che ne avessero più titolo e merito, i cardinali, dal latino incardinatus (nella diaconia), colui che ha titolo per essere tale, e venendo dunque a formare una sorta di consiglio pontificio; l’istituzione dei quattro Ordini minori. L’imperatore Filippo l’Arabo venne ucciso nei pressi di Verona dagli eserciti del suo rivale Decio. Questi salì al potere con l’idea di un rafforzamento interno dell’Impero contro i pericoli esterni derivanti dalle invasione dei barbari, che premevano sui confini. Secondo Decio rafforzamento interno significava anche ritorno all’antica religione romana, anche se per sole ragioni politiche. Per questo motivo l’imperatore proclamò l’editto del libellus, in base al quale ogni famiglia avrebbe dovuto proclamare solennemente e pubblicamente, attraverso un sacrificio, la sua devozione alle divinità pagane ricevendone quindi il “libellus”, una sorta di certificato che attestava la sua qualità di seguace degli antichi culti dello Stato e quindi la sua appartenenza a Roma. Coloro che non si attenevano a questa prassi venivano dichiarati fuorilegge e nemici dello Stato. In tutta Roma tre commissioni di cinque membri chiamarono i cittadini a compiere il rito. I cristiani insorsero, ma non tutti adottarono lo stesso comportamento: alcuni cedettero abiurando la loro religione e rendendosi così lapsi (dal latino lapsus, errore), ovvero ricaddero nel paganesimo, altri scelsero la via del martirio ed altri ancora cercarono ogni tipo di scappatoia per ricevere il “libellus” senza compiere il sacrificio. In particolare i benestanti riuscirono ad acquistarlo dalle autorità, e vennero definiti “libellatici”. Naturalmente tra i primi a rifiutare questa imposizione ci fu Fabiano, che l’imperatore vedeva come un nemico personale ed un rivale. Il papa fu imprigionato nel carcere Tulliano, dove il 20 gennaio del 250 si spense per la fame e gli stenti.
20 gennaio: san Sebastiano, nacque a Narbona (Francia) ed educato a Milano, fu istruito nei principi della fede cristiana. Si recò poi a Roma dove entrò a contatto con la cerchia militare alla diretta dipendenza degli imperatori. Divenuto alto ufficiale dell’esercito imperiale, fece presto carriera e fu il comandante della prestigiosa prima coorte della prima legione, di stanza a Roma per la difesa dell’Imperatore. In questo contesto, forte del suo ruolo, poté sostenere i cristiani incarcerati, provvedere alla sepoltura dei martiri e diffondere il cristianesimo tra i funzionari e i militari di corte, approfittando della propria carica imperiale. La Passio racconta che un giorno due giovani cristiani, Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino, furono arrestati su ordine del prefetto Cromazio. Il padre fece appello a una dilazione di trenta giorni per il processo, per convincere i figli a desistere e sottrarsi alla condanna sacrificando agli dei. I fratelli erano ormai sul punto di cedere quando Sebastiano fece loro visita persuadendoli a perseverare nella loro fede e a superare eroicamente la morte. Mentre dialogava con loro, il viso del tribuno fu irradiato da una luce miracolosa che lasciò esterrefatti i presenti, tra cui Zoe, la moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, muta da sei anni. La donna si prostrò ai piedi di Sebastiano il quale, invocando la grazia divina, le pose le proprie mani sulle labbra e fece un segno di croce, ridonandole la voce. Il prodigio di Sebastiano portò alla conversione un nutrito numero di presenti: Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio. Cromazio rinunciò alla propria carica di prefetto e si ritirò con altri cristiani convertiti in una sua villa in Campania. Il figlio invece rimase a Roma dove patì il martirio, poi, uno a uno, anche gli altri cristiani morirono per aver abbracciato la nuova religione: Marco e Marcelliano finirono trafitti da lance, il loro padre Tranquillino lapidato, Zoe sospesa per i capelli a un albero e arrostita. Quando Diocleziano ne venne a conoscenza, si fede venire innanzi Sebastiano e, dopo averlo severamente ammonito, si sforzò con ogni espediente di distoglierlo dalla fede di Cristo. Ma non ci riuscì né con le promesse, né tantomeno con le minacce, allora lo fece legare a un palo, in un sito del colle Palatino, denudato, e trafitto con le frecce, dai suoi stessi commilitoni, da così tante frecce in ogni parte del corpo da sembrare un istrice. Quando fu ritenuto morto, una donna, sant’Irene, di notte andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, si accorse che il soldato era ancora vivo, per cui lo trasportò nella sua dimora sul Palatino e prese a curarlo dalle molte ferite con pia dedizione. Sebastiano, prodigiosamente sanato, nonostante i suoi amici gli consigliassero di abbandonare la città, decise di proclamare la sua fede al cospetto dell’imperatore che gli aveva inflitto il supplizio. Il santo raggiunse coraggiosamente Diocleziano e il suo associato Massimiano, che presiedevano alle funzioni nel tempio eretto da Eliogabalo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato a Ercole, e li rimproverò per le persecuzioni contro i cristiani. Sorpreso alla vista del soldato ancora vivo, Diocleziano, acceso d’ira, diede ordine che Sebastiano fosse flagellato a morte, castigo che fu eseguito nel 304 nell’ippodromo del Palatino, per poi gettarne il corpo nella Cloaca Maxima, ma Lucina, avvertita in sogno da Sebastiano, ne fece ripescare il corpo e seppellito sulla via Appia, in una località detta ad catacumbas; patrono dei vigili urbani.
20 gennaio: beato Basilio Antonio Maria Moreau, nacque a Laigné-en-Belin di Le Mans (Francia) l’11 febbraio 1799, il suo parroco, padre Julian Le Provost, gli ha insegnato i rudimenti del latino. Ha continuato i suoi studi presso il Collegio di Château-Gontier, e completato nel seminario maggiore di Le Mans. Il 12 agosto 1821 è stato ordinato sacerdote. Il suo cuore ardeva di zelo per le missioni, ma il suo vescovo, monsignor Myre, lo voleva professore al seminario diocesano, così lo mandò a studiare all’università di San Sulpice a Parigi. Tornò a Le Mans, dove insegnò filosofia, teologia dogmatica e Sacra Scrittura dal 1823 al 1836. Allo stesso tempo, ha sviluppato un’intensa attività pastorale. Nel 1833 ha partecipato alla fondazione del Buon Pastore di Le Mans, istituto per la riabilitazione dei giovani delinquenti. Nel 1835 il suo vescovo, monsignor Bouvier, lo pone come guida spirituale della Congregazione dei Fratelli di San Giuseppe, composto da laici che avevano la missione di educare le popolazioni rurali di Le Mans. Nello stesso anno fondò la Società Sacerdotale, al fine di aiutare i parroci attraverso ritiri spirituali, predicando le missioni popolari. Il 1 marzo 1837 Basilio unì la Società Sacerdotale con i Fratelli di San Giuseppe in un’unica comunità, che prese il nome di Congregazione della Santa Croce. Nel 1841, fondò il ramo femminile delle Suore della Santa Croce. Lo scopo della Congregazione era: l’educazione, la predicazione, soprattutto nelle zone rurali e nelle missioni estere, la diffusione della buona stampa, nonché la gestione di case per la sistemazione di giovani delinquenti o persone abbandonate. Tra il 1840 e il 1847 la Congregazione, rispondendo alla zelo missionario del suo fondatore, ha inviato alcuni membri in Algeria, negli Stati Uniti e Canada per aprire nuove case. Morì a Le Mans il 20 gennaio 1873.
20 gennaio: beato Angelo Paoli (al secolo Francesco Paoli), nacque ad Argigliano di Casola in Lunigiana (Massa Carrara) il 1 settembre 1642. A 18 anni non ancora compiuti si presentò a monsignor Prospero Spinola, vescovo della diocesi di Luni e Sarzana, il quale gli conferisce gli Ordini Minori. Il 27 novembre 1660, Francesco e il fratello Tommaso bussarono alla porta del convento dei Padri Carmelitani di Cerignano, per essere accolti come religiosi. Date le ottime referenze furono ammessi senza difficoltà e dopo pochi giorni inviati a Siena per la vestizione e per l’anno di noviziato. A Francesco, secondo l’usanza del tempo, fu cambiato il nome in Angelo. Nel dicembre 1661, terminato il noviziato, partì per il Carmine di Pisa per iniziare gli studi filosofici della durata di cinque anni. Suddiacono il 20 dicembre 1665 e diacono il 19 dicembre 1666, fu trasferito al Carmine di Firenze per il corso teologico. Il 7 gennaio 1667 ordinato sacerdote. Angelo rimase a Firenze per circa sette anni distinguendosi per la profonda pietà, lo zelo e l’amore verso i più deboli e anche per le penitenze e le volontarie privazioni. Nell’agosto del 1674 fu mandato dai Superiori, per motivi di salute, in famiglia ad Argigliano, ma Angelo, invece, si ritirò sulle montagne che sovrastano il paese natale, conducendo vita eremitica e praticando penitenza in mezzo ai pastori. Ogni mattina, all’alba, saliva al Santuario di San Pellegrino in Alpe per celebrare la Santa Messa. Nel settembre 1674 partì per Pistoia per proseguire nelle cure e nel periodo di riposo. Ma anche qui nonostante lo stato di salute precario si adoperò a favore dei poveri e degli ammalati del locale ospedale. Fu richiamato a Firenze per ricoprire il delicato incarico di Maestro dei novizi. Poi parroco a Corniola di Empoli, di nuovo a Siena, a Montecatini, dove insegnò Grammatica, di nuovo a Pisa per un breve periodo ed infine il ritorno alla Casa madre, il Convento di Cerignano, nell’agosto 1683, con il compito di lettore, organista e sacrista. A Cerignano lasciò il suo giaciglio ad un povero legnaiolo, il falegname del convento, mentre lui si ritirò in una grotta a pregare e meditare. Il 12 maggio 1687 fu chiamato a Roma con l’incarico di Maestro dei novizi presso il Convento dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, anche se il vero motivo sembra sia stato quello di riportare i confratelli all’osservanza della Regola. Tutto il suo tempo lo dedicò alla cura dei poveri e degli ammalati del vicino ospedale di San Giovanni in Laterano e all’ammaestramento dei novizi. Riuscì a sfamare trecento poveri al giorno che si assiepavano ogni mattina davanti al convento. Fra gli ammiratori di Padre Angelo c’erano cardinali, alti prelati, nobildonne ed egli utilizzò queste amicizie altolocate a fin di bene, per realizzare un suo progetto. Fondò un convalescenziario che aveva una forte connotazione sociale: lì i malati in attesa di guarire completamente, imparavano un mestiere per potersi inserire nella società e non essere di peso a nessuno. Inoltre visitò e porto conforto sovente ai carcerati. Morì a Roma all’età di 78 anni il 20 gennaio 1720.