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a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 20 giugno la chiesa festeggia san Giovanni da Matera (al secolo Giovanni Scalcione ) nacque a Matera nel 1070 circa, da una ricca e nobile famiglia profondamente cristiana. Abbandonò da ragazzo la casa paterna in cerca di un contatto più stretto con Dio e secondo la tradizione scambiò i suoi abiti lussuosi con quelli di un mendicante, e a dorso di un asinello, lasciò Matera e partì per Taranto. Desiderava vivere una vita semplice e quindi accettò di badare alle pecore dei monaci basiliani dell’Isola di San Pietro. Bisognoso di una maggiore solitudine perché la sua spiritualità si esprimesse in pienezza, Giovanni, mentre i ricchi genitori lo cercavano disperatamente, si recò in Calabria e poi in Sicilia, dove abitò un vasto ed inaccessibile eremo. Poi
fece una lunga sosta a Ginosa, vicino Taranto, dove arrivò ridotto pelle e ossa, dove pure i suoi genitori si erano trasferiti, ma senza farsi da loro riconoscere, cominciò il suo apostolato. Fece restaurare una vecchia chiesa e ne fece il primo nucleo di un convento, aiutato dal contributo degli abitanti del centro ionico. Sospettato, da un signorotto del luogo Roberto di Chiaromonte, di illeciti traffici, dove prendeva i soldi? si chiedevano infatti i “nemici” della chiesa e gli oppositori dei Normanni vincitori, fu arrestato e poi liberato. Per sfuggire alle persecuzioni fuggì a Capua. Lasciò presto anche la città campana e si diresse sul Monte Laceno in Irpinia, dove incontrò san Guglielmo da Vercelli, fondatore del Santuario di Montevergine. Guglielmo, anche lui benedettino, come Giovanni, avrebbe voluto rendere più severa la regola: anche lui, come Giovanni, avrebbe voluto andare in Terra Santa: anche Guglielmo, come Giovanni, decise di rimanere in Puglia, per rendere più santa quella terra, ma i due però si separarono presto. Giovanni arrivò allora a Bari, qui, entrato in contrasto con il vescovo ed accusato di eresia, fu salvato dal principe normanno Grimoaldo Alfaranita, che ordinò venisse lasciato libero di andare dove volesse. Tornò quindi a Ginosa e di lì nel 1129 arrivò a San Michele Arcangelo, sul Gargano. Nel 1130 fondò la sua Congregazione nella solitaria Valle di Pulsano, nell’Abbazia di Pulsano. La Congregazione degli Eremiti Pulsanesi detta anche degli Scalzi, ordine monastico autonomo che si rifaceva alla regola di San Benedetto rendendola, che era però resa più severa, più simile alla norma di vita dei monaci basiliani delle grotte della Murgia. I monaci dovevano camminare scalzi, non mangiavano né carne né latticini, non toccavano vino, non svolgevano attività di studio, ma solo manuali: praticavano l’agricoltura e l’elemosina, uniche loro fonti di sostentamento. Il loro abito era grossolano, di colore bigio, con uno scapolare bianco: accanto ai conventi, poi, sorgevano luoghi appartati, spesso grotte, dove i monaci si isolavano per le meditazioni più profonde. Sempre in Puglia, a Foggia, fondò un nuovo monastero nei pressi della vecchia chiesa di San Giacomo per diffondere la comunità, dopo 10 anni di conduzione e dopo aver guadagnato la stima del re Ruggero II e di papa Innocenzo II morì nel monastero di Foggia e lì sepolto. Morì il 20 giugno 1139-
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