Oggi 23 aprile si celebra san Giorgio di Lydda, nacque in Cappadocia (odierna Turchia) nel 280 circa, la Passio sancti Georgii ci narra che era figlio di Geronzio, un persiano, e Policromia, una cappadoce. Fin da bambino la sua famiglia, che era profondamente cristiana, lo educò seguendo gli insegnamenti di Gesù. Trasferitosi in Palestina, da adulto, si arruolò nell’esercito romano dell’imperatore Diocleziano (altre fonti parlano dell’esercito di Daciano imperatore dei persiani), comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie. L’imperatore Diocleziano, pagano, si adoperò all’intensificazione della persecuzione dei cristiani emanando un editto nel 303 che si estendeva in tutto l’impero. Alla notizia Giorgio donò tutte le sue ricchezze ai poveri e si presentò davanti all’imperatore protestando contro l’editto. Confessò di essere un seguace di Cristo e fu invitato a rinnegare la sua fede, ma lui rifiutò; per questo fu battuto con verghe, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove gli apparve Gesù predicendogli sette anni di atroci sofferenze, tre volte la morte e tre la resurrezione. Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vennero uccisi a fil di spada; si racconta che un giorno entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l’imperatrice Alessandra, che venne martirizzata. La venerazione di Giorgio è legata in particolare all’episodio dell’uccisione del dragone, che Jacopo da Varagine inserì nella sua Legenda Aurea. L’episodio ci racconta che nella città libica di Selem, presso il Monte Libano, c’era un grande lago abitato da un grosso drago che uscendo dall’acqua divorava chiunque si trovasse sul suo cammino. Il sovrano del posto decise che ogni giorno dovevano sorteggiare un figlio del villaggio da dare in pasto al drago e che quando sarebbe arrivato il suo turno promise che avrebbe sacrificato la sua unica figlia Silene. Arrivò il giorno che toccò alla figlia del sovrano. Nonostante le suppliche della ragazza, la vestì dei sui abiti più belli e la mandò verso il lago. All’improvviso, la ragazza vide arrivare Giorgio armato di lancia in groppa al suo cavallo. Lo supplicò di salvarla da morte certa. Giorgio si fece il segno della croce e trafisse la gola del drago con la sua lancia dicendo: «Nel nome del Padre, Figlio e Spirito Santo». Poi disse alla ragazza di legare al collo del drago la sua cintura per trascinarlo verso la città. Alla vista del drago fuggirono terrorizzati, ma il santo disse loro di avere fede nel Signore perché lo aveva mandato a salvarli. Finì il drago con la spada. In quel giorno si convertì al cristianesimo un grande numero di persone che furono battezzate e dopo qualche tempo eressero una chiesa dedicata al culto del santo. Altro aneddoto è che a richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da 460 anni, le battezzò e le fece sparire. L’imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e Giorgio, prima di essere decapitato, implorò Dio che l’imperatore e i 72 re, che aderirono all’editto, fossero inceneriti, esaudita la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana a Lydda (odierna Lod, in Israele). Morì a Nicomedia (oggi Ismid, in Turchia) il 23 aprile 303; patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts.
23 aprile: sant’Adalberto di Praga (Vojtěch), nacque a Libice (Repubblica Ceca) intorno al 956, da una nobile e potente famiglia. Terminati i primi studi, Vojtěch, quando aveva15 anni, venne inviato a Magdeburgo a studiare e a ricevere l’educazione necessaria alla programmata carriera ecclesiastica alla scuola del vescovo sant’Adalberto. A Magdeburgo il giovane ricevette il sacramento della Cresima, dalle mani del vescovo Adalberto: all’atto della somministrazione del sacramento il vescovo impose a Vojtěch il proprio nome, Adalberto. Al termine degli studi, Adalberto lasciò Magdeburgo e ritornò in patria, era l’anno 981 a 25 anni, pronto a percorrere la carriera ecclesiastica per la quale era stato formato ed educato. Ordinato diacono da Titmaro, primo vescovo di Praga, Adalberto venne assegnato al clero della Chiesa principale di Praga ed inserito nel Capitolo della diocesi. In questo periodo Adalberto era dedito alla vita mondana, alla spensieratezza e ai piaceri della vita, amante della pompa esteriore con cui di solito amavano circondarsi i potenti e gli ecclesiastici di rango. All’interno del Capitolo seguiva il vescovo Titmaro e tale vicinanza sarà per Adalberto motivo offerto dalla Provvidenza di totale cambiamento della sua vita. Dopo la morte del primo vescovo di Praga, il 2 gennaio 982, la scelta cadde su Adalberto che quando venne eletto vescovo aveva appena 27 anni e non aveva ancora raggiunta l’età richiesta dalla legge ecclesiastica. Secondo il diritto di allora, la semplice elezione non era sufficiente ad immettere l’eletto nella pienezza della carica, occorrevano l’investitura e la consacrazione. Adalberto partì per l’Italia dove, a Verona, ricevette l’investitura il 3 giugno del 983 direttamente dalle mani dell’imperatore Ottone II. In quello stesso anno, il 29 giugno, nella medesima città fu consacratolo vescovo. Adalberto ritornò a Praga e vi entrò come vescovo attento alle necessità del popolo, contrario dalle pompe ufficiali. Adalberto governò la sua diocesi per 7 anni, ma trovò sul suo cammino molti ostacoli sia da parte dei potenti che da parte del clero. La lotta con il clero costrinse, nel 990, Adalberto a lasciare Praga per recarsi a Roma. Il vescovo raggiunse Roma, in compagnia del fratello Gaudenzio, con lo scopo di informare il Papa dell’accaduto, chiedergli di accettare le sue dimissioni da vescovo e autorizzarlo a compiere un pellegrinaggio in Terra Santa. Il Papa non accettò le dimissioni, ma gli permise di compiere il viaggio e di dedicarsi alla vita ascetica. Adalberto si recò al Monastero di San Bonifacio ed Alessio, sul colle dell’Avventino, dove abbracciò la regola di san Benedetto. Nel monastero Adalberto fece ingresso come semplice monaco, rinunciando a qualsiasi particolare dignità. Ma nel 995 giunse a Roma una ambasceria dalla Boemia con l’intento di reclamare al Papa il ritorno a Praga del vescovo. Ritornò a Praga, sempre come vescovo della città, dedicandosi con intensità alla fondazione di monasteri e all’evangelizzazione delle popolazioni locali e di Ungheria in gran parte ancora pagane. Sorti nuovi contrasti con i governanti boemi, il vescovo è costretto a fuggire da Praga per la seconda volta e di nuovo si rifugia nel Monastero sull’Aventino, dedicandosi alla contemplazione ed alla preghiera. Ma fu sollecitato a ritornare a Praga per riprendere possesso della cattedra vescovile. Qui maturò il progetto di evangelizzare le terre ancora pagane della Prussia e, nel dicembre 996, assieme al fratello Gaudenzio e ad un giovane monaco, andò verso la Vistola in terra pagana. Qui Adalberto e i suoi due compagni vennero arrestati il 17 aprile 997 ed espulsi, con la minaccia di morte se fossero ritornati. Pochi giorni dopo Adalberto e compagni furono nuovamente sorpresi nel territorio pagano. Adalberto fu trascinato su una collina, dove fu trafitto da numerose lance ed ucciso sotto gli occhi terrorizzati dei compagni. I carnefici troncano poi la sua testa, infliggendola sulla punta di un’asta. Morì a Tenkitten (Prussia) il 23 aprile 997; patrono di Boemia, Polonia, Ungheria e Prussia.