Oggi 25 aprile si celebra san Marco evangelista, nacque in Palestina o a Cipro intorno all’anno 20 a.C., poco o nulla si sa della sua giovinezza e della sua famiglia benestante. Dal Nuovo Testamento è noto che era cugino di Barnaba (Lettera ai Colossesi 4,10) e che quindi era ebreo di stirpe levitica. Negli Atti degli Apostoli vi è un primo riferimento preciso su di lui nell’episodio in cui si descrive la liberazione “miracolosa” di san Pietro dalla prigione: «Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera» (At 12,12). Secondo il brano sua madre si chiamava Maria, era di Gerusalemme e che era una seguace di Gesù. Si noti anche che Marco aveva due nomi, uno gentile e uno ebreo; quello ebreo era Giovanni. A quel tempo era un’usanza abbastanza comune tra gli israeliti: basti ricordare Paolo, che viene indicato anche con il nome di Saulo. In altri passi degli Atti viene chiamato o con il nome di Giovanni o con quello di Marco o con entrambi. Non è noto da alcuna fonte se conobbe direttamente Gesù, ma se abitava a quel tempo a Gerusalemme deve aver perlomeno sentito parlare di lui. Di sicuro è noto che, pochi anni dopo la morte di Gesù, gli apostoli e i discepoli si riunivano a casa di sua madre. Il fatto che sia l’unico evangelista a menzionare la fuga di un giovinetto che seguiva da lontano gli avvenimenti della cattura di Cristo nell’orto degli ulivi: «Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo» (Mc 14,1.51.52), fa supporre che sia egli stesso questo giovinetto. Divenuto seguace dell’apostolo Pietro, lo seguì sino a Roma e da lui apprese quanto Gesù aveva detto e fatto. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sé nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l’apostolo Paolo, che incontrò la prima volta nel 44 d.C. A Roma Marco scrisse il “suo” Vangelo. Successivamente si recò ad Alessandria d’Egitto, dove fondò la prima chiesa cristiana. Il Vangelo di Marco è il più breve dei quattro, è formato di soli sedici capitoli in lingua greca, ed è diviso in due parti. La prima è data dai primi otto capitoli, nei quali riporta le azioni di Gesù, insistendo sul racconto di numerosi miracoli al fine di dimostrare che Gesù è davvero il Figlio di Dio. Sembra che per questo motivo, fin dall’antichità cristiana, sia stato scelto il leone quale suo simbolo perché come il leone con il suo ruggito domina le voci degli altri animali, così Marco proclama forte che Gesù è Figlio di Dio. Nella seconda parte sono presentate le parole di Gesù, che spiegano le condizioni necessarie per seguire il Redentore sino alla morte in croce. Non vi sono notizie certe su dove, come e quando Marco morì. Gli Atti di Marco, uno scritto apocrifo della metà del quarto secolo, riferiscono che S. Marco il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli; patrono dei segretari, scrivani, vetrai e fabbricanti di ceste.
25 aprile: san Giovanni Battista Piamarta, nacque a Brescia il 26 novembre 1841, da una famiglia povera. Orfano di madre a 9 anni, cresce vivacissimo nei vicoli dei rioni popolari della città, trovando un sostegno educativo nel nonno materno e nell’oratorio che affinano la sua sensibilità e la sua straordinaria generosità; la sua adolescenza fu difficile e grazie al parroco di Vallio Terme (Brescia) poté entrare nel seminario diocesano. Ordinato sacerdote il 24 dicembre 1865, inizia il suo ministero sacerdotale a Carzago Riviera, Bedizzole; è nominato, poi, direttore della parrocchia di Sant’Alessandro in città ed in seguito parroco di Pavone del Mella. Le prime esperienze oratoriane sono per lui una preziosa possibilità di conoscere da vicino la gioventù alle prese con il duro mondo delle fabbriche della nascente industria bresciana. Nei 13 anni di apostolato coglie risultati ammirabili ed il rispetto dei suoi ragazzi. Lascia la parrocchia di Pavone del Mella per tornare nella sua Brescia per dedicarsi a realizzare un’opera da tempo pensata e sognata. Per dare ai giovani una sicura preparazione professionale e cristiana e riflettendo sull’abbandono spirituale e la perdita della fede di tanti giovani che confluivano in città per motivi di lavoro, egli, poverissimo, ma fiducioso nella provvidenza, avvia l’Istituto Artigianelli il 3 dicembre 1886 con l’aiuto del sacerdote Pietro Capretti, conosciuto durante l’esperienza nell’oratorio di sant’Alessandro. Seppur con enormi difficoltà, dal 1888 la crescita degli “artigianelli” non si ferma più, si moltiplicano i fabbricati ed i laboratori e i giovani ricevono una buona preparazione tecnica. Pochi anni dopo, rivolge la sua sollecitudine anche al mondo dell’agricoltura, dando origine con padre Giovanni Bonsignori alla Colonia Agricola di Remedello (Brescia), con lo scopo di ridare vitalità e dignità all’agricoltura. Attorno a Giovanni Battista si radunano presto alcuni religiosi, per condividere con lui gli ideali e le fatiche della sua missione. Nel marzo del 1900 Giovanni Battista realizza un proprio progetto, fondò la Congregazione “Sacra Famiglia di Nazareth”, composta da sacerdoti e laici che guidassero l’educazione dei giovani. Nel 1884, aveva dato vita alla Tipografia Queriniana, intitolata al cardinal Angelo Maria Querini, arcivescovo di Brescia, oggi è una casa editrice specializzata negli studi biblici e teologici. Giovanni Battista aveva 69 anni quando, l’11 gennaio 1910, subì un primo attacco, che lo lasciò paralizzato per tre giorni. Si riprese, ma cominciò ad avvertire l’ansia di sistemare tutte le situazioni, preparandosi progressivamente a distaccarsi dalle cose del mondo. Un secondo attacco lo colpì l’8 aprile 1913, mentre si trovava nella colonia agricola di Remedello per esaminare un progetto per l’ampliamento. Morì il 25 aprile 1913, a 71 anni.
25 aprile: beato Mario Borzaga, nacque a Trento il 27 agosto 1932, terzo di quattro figli. Nel 1943 entra in seminario diocesano della sua città ad 11 anni. Prosegue i suoi studi fino alla prima teologia. Il 16 giugno 1951 a Rovereto sostiene gli esami e ottiene la maturità classica. Negli anni del liceo cresce in lui il desiderio di essere missionario «per far conoscere Gesù a chi ancora non lo conosce». All’età di 20 anni, nel 1952, si unisce alla Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, fondata da sant’Eugène de Mazenod. L’11 novembre del 1952 Mario inizia il noviziato a Ripalimosani (Campobasso). Viene ordinato sacerdote il 24 febbraio 1957. In quell’anno Mario chiede al Padre Generale di poter partire per la missione in Laos. Riceve la croce per le Missioni nella Parrocchia di Santa Lucia a Mare in Napoli. A fine ottobre dello stesso anno parte da Napoli con altri cinque compagni. L’1 dicembre 1957 arriva alla sua prima destinazione in Laos: Paksane. Subito si immerge nello studio della lingua e nella conoscenza della cultura e inizia un primo lavoro di apostolato in un paese che era appena uscito dalla Guerra d’Indocina ma era ancora percorso dalla guerra civile. Mario amava stare con la gente per imparare tutto di loro il più presto possibile e così essere in grado di annunciare il Vangelo della salvezza. Dopo più di un anno Mario viene mandato nel villaggio di Kiu Kacham (Laos), in zona montagnosa abitata da diverse etnie e particolarmente dai Meo. Inizia subito a studiare questa seconda lingua. L’8 dicembre 959 è ufficialmente nominato parroco della piccola comunità di cristiani. Si impegna con ardore nella parrocchia affidatagli e visita le piccole comunità dei catecumeni disseminate sulle montagne. Inizia l’insegnamento del catechismo, le visite nelle famiglie del luogo e l’accoglienza degli ammalati nella casa missionaria. Il 25 aprile 1960, dopo la richiesta di alcuni abitanti del villaggio di Pha Xoua, parte con il catechista Paolo Thoj Xyooj, di 19 anni, per uno dei suoi viaggi missionari, per portare agli ultimi il Vangelo di Gesù, programmando il ritorno entro una quindicina di giorni. Da quel momento non si hanno più notizie, infatti da quel viaggio non fa più ritorno. Mario era partito vestito completamente di nero, come facevano i lao hmong, il berretto in testa, lo zaino sulle spalle. Di Mario e del suo catechista si perdono le tracce. La gente dice di non sapere con precisione cosa accadde in quel giorno di maggio. Era arrivato ai villaggi, aveva incontrato la gente e gli ammalati. Poi più nulla. Nessuna traccia. Inghiottiti dal silenzio. Solo 40 anni più tardi, nel 2000, si è avuto notizia della loro uccisione per mano di guerriglieri del Pathet Lao. Morì il 25 aprile 1960, a 28 anni.