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Oggi 27 luglio la chiesa festeggia san Celestino I, 43º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma nel 380 circa, nulla conosciamo della sua giovinezza, tranne che era romano e il Liber pontificalis lo dice figlio di un certo Prisco e originario della Campania. Alla morte di papa Bonifacio I, il 10 settembre 422, Celestino fu elevato al soglio papale il 10 settembre 422, dove regnò per 9 anni, 10 mesi, e 16 giorni. Nonostante i tempi turbolenti che correvano a Roma, fu eletto senza alcuna opposizione, come si evince da una lettera di sant’Agostino d’Ippona (Epistola CCLXI), scrittagli poco dopo la sua elevazione. Con zelo Celestino I difese la purezza della fede contro gli errori pelagiani e semipelagiani e contro quelli di Nestorio. La sua azione vigorosa riuscì a cacciare i capi pelagiani dall’Occidente, combattendoli fin nella lontana Britannia dove, nel 429, mandò in missione Germano, vescovo di Auxerre. A proposito di Giuliano d’Eclano e di altri vescovi
pelagiani rifugiatisi a Costantinopoli l’11 agosto 430, Costantino, alle sollecitazioni insistenti del patriarca Nestorio, rispose ricordandogli che quell’eresia era stata già condannata. Alludeva all’accettazione delle condanne papali del pelagianesimo da parte di Attico, penultimo predecessore di Nestorio nella sede costantinopolitana. Prospero d’Aquitania ed Ilario, laici ma profondi conoscitori del pensiero di sant’Agostino, lo informarono che la dottrina intorno alla grazia e alla predestinazione trovava opposizione nella Gallia in Cassiano e nei suoi monaci, fautori di quella corrente che prenderà in seguito il nome di semipelagianesimo. Allora Celestino I, il 15 maggio 431, prese le difese di sant’Agostino, morto l’anno precedente, con parole che consacrarono l’autorità del santo. Energico comportamento tenne anche nei confronti di Nestorio. Questi, chiamato nel 428 a succedere a Sisinnio nella sede di Costantinopoli, era discepolo della scuola antiochena e accentuava la distinzione dell’umano e del divino in Cristo; sì da ammettere in lui non solo due nature, ma addirittura due persone, unite soltanto moralmente, e pretendeva, inoltre, che Maria fosse chiamata “madre di Cristo (Christotókos), non già “madre di Dio” (Theotókos). Nel concilio romano, tenuto nell’agosto 430, Celestino I condannò gli errori di Nestorio e gli impose di sconfessarli entro 10 giorni dall’intimazione della sentenza: della sua esecuzione fu incaricato san Cirillo. L’imperatore però volle che la questione fosse decisa da un concilio, che si raccolse ad Efeso dal 22 giugno al 31 luglio 431. Celestino I mandò i vescovi Proietto e Arcadio e il prete Filippo in qualità di legati che avevano soltanto il compito di salvaguardare i diritti della Sede Apostolica, mentre per il resto, dovevano attenersi alle decisioni di san Cirillo. I legati papali giunsero ad Efeso quando il concilio aveva già condannato e deposto Nestorio, ma vollero che la decisione del concilio romano fosse considerata definitiva, «ben sapendo che Pietro è alla testa della fede comune e di tutti gli apostoli» (Epistola ad Constantinopolitanos). Il papa, nelle lettere in data 15 marzo 432 dirette ai padri conciliari, all’imperatore, al nuovo patriarca Massimiliano, al clero e al popolo di Costantinopoli espresse tutta la sua esultanza per trionfo della verità sull’errore e indicò come dovevano essere trattati Nestorio e i suoi seguaci. Sono queste le ultime opere del suo operoso pontificato. Al pontificato di Celestino I si attribuisce l’introduzione della salmodia nella liturgia romana della messa, prima della “missa fidelium”, in aggiunta alle letture tratte dalle epistole di Paolo e dal vangelo: il canto dei salmi era eseguito a cori alternati da tutto il popolo. Veniva così recepito un uso che in Oriente e a Milano, dal tempo di sant’Ambrogio, era ormai una consuetudine. Morì il 27 luglio 432; protettore contro le malattie degli organi genitali.
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27 luglio: beata Maria Maddalena Martinengo (al secolo Margherita Martinengo), nacque a Brescia il 5 ottobre 1687, dalla nobile famiglia dei conti da Barco di Brescia. Rimasta orfana della madre dopo pochi mesi dalla nascita, Margherita fu affidata alle cure e all’educazione delle Suore Orsoline di Santa Maria degli Angeli. Nel 1698 entrò come educanda nel monastero agostiniano di Santa Maria degli Angeli, che raccoglieva il fiore dell’aristocrazia femminile bresciana, dove dette prova della sua precoce vocazione, in nome di una fedele imitatio Christi. Superata la contrarietà del genitore abbracciò la vita monastica tra le suore cappuccine di Nostra Signora della Neve di Brescia, l’8 settembre 1706, prendendo il nome religioso della più illustre penitente, Maria Maddalena. Nel monastero scelse di dedicarsi alle faccende più umili e faticosi (cucina, portineria). Dopo un periodo, tra il 1711 e il 1722, in cui le furono assegnati gli incarichi più umili del convento, Maria Maddalena fu eletta nel 1723 maestra delle novizie, carica che rivestì anche nel 1727 e nel 1731. Nonostante le sue ripetute resistenze verso obblighi terreni che la distogliessero dalla vita contemplativa, Maria Maddalena seppe amministrare il ruolo di abbadessa con singolare equilibrio, coniugando l’azione apostolica, con l’affinata e personalissima esperienza di una mistica affettiva e di immolazione che, al culmine della immedesimazione con le sofferenze di Cristo. Nel 1729, dando credito alle maldicenze di alcune suore, il confessore don Antonio Sandri, dette alle fiamme il manoscritto delle Massime spirituali quale frutto pericoloso di una mente «superba ed eretica». La conseguenza fu una sospensione punitiva da ogni incarico comunitario, che poco dopo, però, fu revocata dall’autorità vescovile. Dal 1732 fino alla Pasqua del 1737, quando l’acutizzarsi della malattia che l’avrebbe condotta alla morte la indusse alla rinuncia, assurse agli onori di vicaria e abbadessa. Soggetta a prolungati svenimenti le consorelle poterono constatare, nel suo corpo martirizzato, i segni delle sue tremende penitenze e delle stimmate di diversi tormenti della passione del Signore. Il tramonto fu rapido e sereno, gioì quando seppe che la fine era imminente ed alle consorelle che piangevano, con tenerezza materna, donava le more che aveva in un piccolo canestro. Pregava con versetti biblici, poi la si udì sussurrare: «Vengo, vengo, Signore!»; serenamente spirò, malata di tubercolosi. Morì il 27 luglio 1737, a 50 anni.