Oggi 5 marzo la chiesa ricorda sant’Adriano di Cesarea, il nome Adriano significa “nativo di Adria” presso Rovigo, subì il martirio con Eubulo il 5 marzo del 309 d.C. a Cesarea, sesto anno della persecuzione, ad opera dell’imperatore Diocleziano, secondo la testimonianza dello storico e vescovo Eusebio di Cesarea. Essendo venuti entrambi a Cesarea in Palestina per aiutare i martiri di quella città, i due giovani furono scoperti e, per aver confessato la loro fede, furono condannati alle belve, per ordine del governatore Firmiliano, nel giorno della festa della Fortuna. Adriano, professò la propria fede cristiana, ricevendo in cambio il martirio “damnatio ad bestias”, una definizione latina che stava ad indicare l’essere esposto all’attacco di diverse belve feroci, per poi venire sgozzato da una spada; patrono dei corrieri.
5 marzo, san Giovan Giuseppe della Croce (al secolo Carlo Gaetano Calosirto), nacque ad Ischia il 15 agosto 1654, figlio del nobile Giuseppe e di donna Laura Gargiulo, in famiglia si prega molto, si digiuna le vigilie delle feste e si ha grande devozione alla Vergine Maria per la cui intercessione all’età di 2 anni il piccolo Carlo guarisce miracolosamente dalla peste: si racconta che i genitori, mentre lo stavano portando ai piedi della Madonna della Libera, venerata nel Castello Aragonese, si accorsero che i bubboni erano completamente scomparsi. Frequentò nell’isola i padri agostiniani, da cui ricevette la prima formazione umanistica e religiosa; a 15 anni scelse la vita religiosa per la grande attrazione che esercitava sul suo animo, aderendo nella congregazione dei francescani scalzi, detti anche alcantarini, perché osservanti la Regola dei Frati Minori secondo la severa riforma attuata dal fondatore san Pietro d’Alcantara. A 16 anni entra nel loro convento napoletano di Santa Lucia al Monte e assume il nome di Giovan Giuseppe della Croce. Scelta dovuta alla sua grande devozione allo sposo della Vergine e all’affetto al padre di nome Giuseppe, morto quando lui aveva appena 10 anni; inoltre all’ammirazione dello spirito di penitenza di Giovanni Battista e in onore dell’Evangelista a cui dalla croce Gesù consegna Maria come madre. Dopo la solenne professione religiosa, avvenuta il 24 giugno 1671, è inviato assieme ad altri 11 frati, di cui egli era il più giovane, a Piedimonte d’Alife dove presso il santuario di Santa Maria Occorrevole, dove grazie alla sua fattiva opera fu costruito un convento. Qui, durante la sua permanenza a Piedimonte, innamoratosi della preghiera lunga e fervorosa nel silenzio abitato da Dio, costruì quasi da solo un altro piccolo conventino detto “La Solitudine” in una zona più nascosta del bosco. Consacrato sacerdote il 18 settembre 1677, per parecchi anni è contemporaneamente maestro dei novizi a Napoli e padre guardiano del convento a Piedimonte, mentre si adoperava, tra l’altro in forma molto attiva, anche per la costruzione del convento del Granatello in Portici (Napoli). Il desiderio di silenzio e di unione con Dio non lo separano dal mondo, anzi gli donano una sensibilità maggiore per le tante miserie morali e materiali che incontra nei vicoli di Napoli, in cui si aggira, perennemente scalzo malgrado ogni intemperie, per alleviare le sofferenze dei poveri, specialmente durante le varie epidemie che periodicamente colpiscono la popolazione. Ammalatosi gravemente, i superiori lo mandano nella natia Ischia. Appena guarito, eccolo nuovamente per le strade di Napoli, povero tra i poveri con sempre indosso il suo unico saio così tanto rattoppato che affettuosamente i napoletani cominciarono a chiamarlo “padre centopezze”. Sui suoi passi fioriscono miracoli: si parla di apparizioni della Madonna e di Gesù Bambino, bilocazioni, levitazioni, profezie, guarigioni, moltiplicazioni, addirittura della risurrezione del marchesino Gennaro Spada, ma innanzi tutto è ricercato per la confessione e la direzione spirituale anche da santi autentici come sant’Alfonso Maria de’ Liguori e il gesuita san Francesco de Geronimo. Agli inizi del 1700 sorgono dissensi tra gli alcantarini provenienti dalla Spagna e quelli italiani che portano alla decisione pontificia di separare i due gruppi. Giovan Giuseppe venne messo a capo dei circa 200 alcantarini italiani che egli guidò al rispetto più conforme della Regola, avendo particolare cura per la formazione dei novizi e dei chierici; cercò sempre di tessere rapporti di vera carità con i confratelli spagnoli finché il 22 giugno 1722, con decreto pontificio, i due rami alcantarini furono nuovamente uniti. Giovan Giuseppe ritornò nel convento di Santa Lucia al Monte dove morì il 5 marzo 1734.