a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 7 marzo la chiesa celebra le sante Perpetua e Felicita, la matrona Perpetua nacque a Cartagine sulla fine del II secolo, da una nobile famiglia pagana, aveva 22 anni ed era madre di un bimbo ancora in fasce; Felicita, la sua giovane schiava, quando fu arrestata era all’ottavo mese di gravidanza, era persuasa che non l’avrebbero sottoposta al martirio insieme agli altri, dal momento che la legge vietava l’esecuzione di donne incinte. Invece due giorni prima dell’inizio dei giochi diede alla luce una bambina, che venne adottata da una donna cristiana. Nel 202, un decreto dell’imperatore Settimio Severo aveva proibito a tutti i cittadini dell’impero di diventare cristiani, e chiunque avesse disobbedito sarebbe stato condannato a pene severe. Furono incarcerate, perché cristiane, con altri quattro compagni dal proconsole Minucio Firminiano, Saturnino, Revocato e Secondulo e poiché erano tutti catecumeni furono battezzati in prigione. Ad essi si unì il loro catechista, Saturo. Eccetto Secondulo, che morì in prigione, tutti furono sottoposti a percosse, esposti alle belve e poi decapitati per la fede. Conosciamo alcuni fatti accaduti durante la prigionia perché Perpetua li annotò su un diario che ci fu tramandato come Atti di Perpetua e Felicita e che fu arricchito e ordinato addirittura da Tertulliano, il grande scrittore dell’epoca. Pochi giorni dopo il padre di Perpetua, avendo saputo che il processo stava per avere luogo, si recò in visita alla prigione, supplicando la figlia di non infangare il suo nome, ma Perpetua restò salda nella fede. Il giorno seguente i sei catecumeni furono processati dinanzi al procuratore Ilariano. Tutti e sei professarono con forza la loro fede cristiana; il padre di Perpetua, portandole il figlio, tentò nuovamente di indurla all’apostasia e perfino il procuratore fece delle rimostranze verso di lei, ma invano. Perpetua rifiutò di fare sacrifici agli dei per la salute dell’imperatore. Suo padre fu allontanato con la forza dal procuratore e fustigato, e i sei catecumeni furono condannati a essere sbranati da belve feroci. Il 7 marzo, durante uno spettacolo nell’arena di Cartagine per celebrare il compleanno del cesare Geta, i sei catecumeni furono condotti nell’anfiteatro. In seguito alla richiesta della folla, per primi furono uccisi gli uomini, legati a un palo ed esposti ai morsi di un leopardo e di un orso; poi toccò alle donne le quali, dopo essere state prese a cornate da un toro infuriato, mentre si tenevano per mano furono portate al centro dell’arena per essere sottoposte al taglio della gola. I martiri vollero porre fine alla loro vita scambiandosi il bacio di pace e al popolo parlarono con la solita franchezza, dicendosi felici di morire per la loro fede. Di fronte a tanta fortezza d’animo, numerose persone si convertirono. Morirono il 7 marzo 203 d.C.
7 marzo: santa Teresa Margarita Redi (al secolo Anna Maria Redi), nacque ad Arezzo il 15 luglio 1747, dalla nobile famiglia toscana dei Redi e fin dalla prima infanzia viene educata alla vita di pietà dal giovane e religiosissimo padre. La sua inclinazione al raccoglimento e alla preghiera si accentuò durante gli anni dell’educandato, trascorsi nel monastero benedettino di Sant’Apollonia in Firenze, dove ricevette una discreta istruzione liturgica, mentre la sua vita spirituale si approfondiva nella pietà eucaristica e mariana e nella devozione al Sacro Cuore. Dopo aver avvertito una misteriosa parola di santa Teresa d’Avila, entra a 17 anni, il 1 settembre 1764 nel monastero carmelitano di Firenze, e prende il nome di suor Teresa Margherita del Cuore di Gesù, in onore della principessa Caterina Farnese, che un secolo prima era entrata al Carmelo di Parma assumendo lo stesso nome religioso e morendovi in concetto di santità. Teresa Margherita visse il suo noviziato da un lato assorbita dal normale ritmo della vita monastica e dall’altro imparava a conoscere Dio. La seconda grande ispirazione della sua vita fu il passo della prima lettera di san Giovanni: «Dio è amore» (1Gv 4,16) e cercò di vivere improntata a questo concetto. Comprese che la vera grandezza sta nell’accettare generosamente l’amore del Cuore di Gesù, unita al quale anche una povera creatura è in grado di amare. Teresa Margherita nella comunità fu una infermiera, era entrata al Carmelo per cercare Dio solo e Dio decise di manifestarsi a lei nelle sorelle anziane che si ammalavano una dopo l’altra, e di cui ella chiedeva spontaneamente di prendersi cura. Un monastero carmelitano è un piccolo mondo in cui le responsabilità e gli uffici sono accuratamente distribuiti in modo che tutto proceda in maniera armonica ed efficiente. Se qualcuna si ammala le altre devono assumersi non solo il peso della assistenza richiesta, ma anche i compiti che la malata deve intanto abbandonare. Non è perciò difficile immaginare che cosa accadde, nel monastero di Teresa Margherita, quell’anno in cui più di dieci monache si ammalarono contemporaneamente in forma grave: ella si assunse il peso della assistenza a tutte le inferme, con una tale naturalezza che le altre finirono per considerarla una cosa normale. Di fatto ciò significava per lei la rinuncia ad ogni istante di tempo libero. Il poco tempo che le restava consisteva in prendere in tutta fretta un boccone (quando era possibile) e dedicarsi alla preghiera e al rapporto personale con Dio. Teresa Margherita aveva tratto dalla sua devozione al Sacro Cuore una norma di comportamento cristiano che ella esprimeva così: «bisogna restituire amore per amore» e poiché Gesù ci ha amato soffrendo per noi, noi dobbiamo voler soffrire per Lui. Non si trattava di inventare niente; le malate della sua comunità concretizzavano per lei ambedue questi movimenti d’amore e di croce: esse erano per lei l’immagine di Cristo che soffriva, e lei, per amarlo, doveva assumersi con gioia il durissimo peso del servizio. Si dedicò quindi alla preghiera e all’assistenza delle consorelle anziane fino alla morte. Aveva soltanto 22 anni. Anche se conducesse una vita di fatiche e di sacrifici, sembrava che la salute non ne soffrisse, anzi pareva che le sue forze crescessero di giorno in giorno. Ma una sera, mentre fa il solito giro delle malate, un violento attacco di dolori colici la piega fino a terra. Accorrono le consorelle che l’aiutano a stendersi sul suo pagliericcio. Mentre attendono il medico, Teresa Margherita chiede che tutte recitino con lei cinque Gloria Patri in onore del Sacro Cuore. Il medico non dà troppo peso all’accaduto. In realtà è in atto una peritonite, e la cancrena è già cominciata. Tiene tra le mani un Crocifisso e lo bacia a lungo con indicibile tenerezza. Morì il 7 marzo 1770, a 22 anni.