Oggi 1 aprile la chiesa festeggia santa Maria Egiziaca, nacque ad Alessandria d’Egitto nel 344, fuggì da casa all’età di 12 anni abbandonandosi ad una vita dissoluta, per 17 anni, guadagnandosi da vivere elemosinando e facendo la prostituta, anche se nella sua Vita si racconta di come spesso rifiutasse i soldi offerti per i propri favori sessuali. Un giorno vide una nave prossima a far rotta, con a bordo un inconsueto equipaggio. Chiese chi fossero e dove andassero. Le fu risposto che erano pellegrini diretti a Gerusalemme per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, spinta dal desiderio di lasciare l’Egitto per visitare nuove terre, s’imbarcò con loro, seducendoli uno dopo l’altro. Accordatasi con alcuni marinai depravati, si imbarcò anch’ella, offrendo il proprio corpo come pagamento per il viaggio. Giunta a Gerusalemme si recò con i pellegrini alla Basilica della Resurrezione, ma, entrata nel nartece si accorse che una forza misteriosa le impediva di oltrepassare la soglia del tempio, perché indegna di ossequiare la croce di quel Cristo che con i suoi comportamenti lussuriosi tanto disprezzava. Resasi conto del motivo di quell’impedimento, si mise a pregare davanti all’icona della Madre di Dio e solo dopo riuscì ad entrare e ad adorare la Croce di Gesù. Uscendo, pregò nuovamente davanti alla stessa icona della Madre di Dio e sentì una voce che le disse «se attraverserai il fiume Giordano, troverai la pace». Uscì dalla chiesa e con l’elemosina offertale da un fedele comprò tre pani. Si incamminò in direzione del fiume Giordano, e verso sera giunse alla chiesa di San Giovanni Battista. Si lavò nelle acque del Giordano, si confessò e comunicò, e dopo aver mangiato la metà di uno dei tre pani, si addormentò sulla sponda del fiume. Il mattino successivo, risvegliatasi, passò il fiume e da allora visse, per 47 anni, nel deserto in assoluta solitudine, senza incontrare uomo o animale, si nutrì solo con l’erba che trovava sul suo cammino. Un giorno il monaco Zosimo, la incontrò durante un analogo pellegrinaggio da lui intrapreso per il periodo quaresimale. Si trovò innanzi a sé una donna molto magra, nuda e con lunghi capelli bianchi come la lana. Maria le chiese il suo mantello per coprirsi. Maria raccontò a Zosimo le circostanze che l’avevano portata a quel lungo pellegrinaggio e, per la seconda volta dall’arrivo in Palestina, ricevette l’Eucaristia. Terminato il racconto, Maria lo pregò di ritornare l’anno successivo, per portarle l’Eucarestia, dandogli appuntamento sulle rive del Giordano. Il monaco tornò, come aveva promesso, trovando la santa morta, con addosso lo stesso mantello che le aveva donato l’anno precedente. Leggenda vuole che un leone lo aiutò con i suoi artigli a scavare la fossa per seppellire il corpo di Maria; patrona delle prostitute pentite.
1 aprile: sant’Ugo di Grenoble (o Ugo di Chateauneuf), nacque a Châteauneuf-sur-Isère (Francia) nel 1053, da una famiglia di conti appartenenti alla nobiltà francese. Ugo cominciò i suoi studi a Valence, e poi a Reims dove ebbe come maestro di filosofia e teologia san Bruno di Colonia. Divenne poi canonico della cattedrale di Valence, mettendo in mostra le sue virtù tanto da essere notato dal Legato Pontificio in Francia che lo volle come suo consigliere nella lotta contro la simonia. Nel 1080, Ugo, a soli 27 anni, fu eletto vescovo della diocesi di Grenoble, egli reagì inizialmente con stupore, ma poi fu consacrato a Roma da papa Gregorio VII, e Matilde di Canossa provvide al necessario per la cerimonia, donandogli il pastorale e dei libri. Ugo resse la diocesi di Grenoble afflitta da enormi problemi con grande impegno, ma dopo soli due anni visibilmente avvilito, decide di ritirarsi come semplice monaco in una comunità benedettina di Chaise-Dieu, abbazia cluniacense, nella diocesi di Clermont, dove per un anno professò la regola benedettina, ma papa Gregorio VII, intenzionato a realizzare una riforma che liberi la Chiesa da ignoranza, avidità e corruzione sempre più sfacciate, lo conferma della carica e Ugo, in perfetta obbedienza, si dedica anima e corpo a ripulire e correggere, allontanando gente indegna dal clero e per 50 anni rimase al suo posto difendendo gli oppressi, con preghiere, esortazioni e sinodi, trasformando radicalmente le condizioni della diocesi assegnatagli. Nel 1084, capita a Grenoble san Bruno di Colonia, che era stato suo insegnante. Ebbene quando Bruno ed i suoi amici si recarono da Ugo, egli collegò quella visita improvvisa con un sogno fatto la notte precedente l’incontro, nel quale sette stelle indirizzavano sette pellegrini in un luogo dove Dio fabbricava un tempio. Questo sogno Ugo lo collegò con la visita dei sette viandanti che gli chiedevano un luogo idoneo dove poter esercitare la loro missione. Ugo decide di aiutarlo e gli assegna per questo un territorio nella zona montuosa detta “Chartreuse” (Certosa in italiano), sul quale sorgerà poi la Grande Chartreuse, consacrata il 2 settembre 1085, e si formerà l’ordine dei Certosini. Si narra che fu molto caritatevole rifiutando le rendite della sua diocesi, e in un anno di carestia Ugo vendette addirittura l’anello e il calice d’oro per soccorrere i mendicanti, ed avrebbe venduto persino i suoi cavalli se l’amico san Bruno non l’avesse dissuaso ricordandogli che gli equini erano l’unico mezzo per raggiungere le aree remote della sua diocesi. La nostalgia del chiostro non lo abbandonò mai, fu sempre prodigo verso le comunità monastiche, tanto che nel 1108 fa insediare un gruppo di eremiti, sopra Voreppe nel Isere, ai piedi del massiccio della Grande Chartreuse. Desiderosi di vivere separati dal mondo, per essere uniti nella preghiera, vogliono tornare alla regola di San Benedetto, senza integrarsi nella vita delle parrocchie. Nasce così l’Ordine di Chalais, nato seguendo la regola di San Benedetto da Norcia, i monaci costruirono l’Abbazia di Nôtre-Dame de Boscodon che diverrà casa principale dell’Ordine. Nel 1116 Ugo già generoso con i certosini, donò loro un ulteriore possedimento per avviare la realizzazione del convento di Ecouges. La sua vita la trascorse conducendo digiuni, penitenze, e veglie notturne ricalcando il rigore monastico certosino, ciò gli comportò dolorose sofferenze allo stomaco ed alla testa che lo accompagnarono fino al giorno della sua morte. Morì a Grenoble il 1 aprile 1132.
1 aprile: san Lodovico Pavoni, nacque a Brescia l’11 settembre 1784, da genitori nobili e benestanti, che lo educano cristianamente. Si rivela subito un ragazzo vivace e geniale, dotato di buona intelligenza, aperto a molti interessi (pittura, caccia, equitazione, meccanica), sensibile ai problemi sociali. Visse in un’epoca caratterizzata da profondi rivolgimenti politici e sociali: la Rivoluzione francese (1789), quella giacobina (1797), il dominio napoleonico con le sue diverse denominazioni e infine, dal 1814, quello austriaco. Ordinato sacerdote nel 1807, si dedica subito a un’intensa attività catechetica, fondando, nel 1812, un suo oratorio per l’educazione cristiana dei ragazzi più poveri. Nel 1812 il vescovo Gabrio Maria Nava lo nomina suo segretario, consentendogli tuttavia di continuare a dirigere l’oratorio, sempre più frequentato. Il 16 marzo 1818 è nominato Canonico della cattedrale e gli viene affidata la rettoria della basilica di San Barnaba, qui Lodovico decise di fondare un privato Istituto di beneficenza, o Collegio d’Arti, dove gli orfani, o i trascurati da propri genitori venissero raccolti, gratuitamente mantenuti, cristianamente educati, e di formarli a qualche arte. Nasce così, nel 1821 il Pio Istituto di San Barnaba. Fra le arti, la più importante fu la «Scuola Tipografica», che si può considerare la prima Scuola grafica d’Italia e che ben presto divenne una vera Casa Editrice. Con il passare degli anni si moltiplicarono i mestieri insegnati a San Barnaba: nel 1831, il Pavoni elenca otto officine esistenti: Tipografia e Calcografia, Legatoria di libri, Cartoleria, Argentieri, Fabbriferrai, Falegnami, Tornitori, Calzolai. L’Istituto di San Barnaba riuniva per la prima volta l’aspetto educativo, quello assistenziale e il professionale. Lodovico pensò anche ai contadini e progettò una Scuola Agricola; nel 1841, poi, accolse nell’Istituto i sordomuti. Lodovico andava coltivando da tempo il pensiero di formare, con i suoi giovani più fervorosi, una Congregazione, basata sul fondamento delle virtù evangeliche. L’11 agosto 1847 fondò la Congregazione dei Figli di Maria. Dopo aver dato formalmente il 29 novembre le dimissioni dal Capitolo della Cattedrale, l’8 dicembre 1847, solennità dell’Immacolata, Lodovico emette la sua professione perpetua. La fisionomia della nuova famiglia religiosa doveva comporsi di Religiosi Sacerdoti per la direzione spirituale, disciplinare e amministrativa dell’opera e di Religiosi Laici per la conduzione delle officine e l’educazione dei giovani. Appare così la nuova figura del religioso lavoratore ed educatore: il fratello coadiutore pavoniano, inserito nella missione della Congregazione, con parità di diritti e di doveri dei sacerdoti. Il giorno dopo lo scoppio delle Dieci Giornate, il sabato 24 marzo 1849, Lodovico accompagnò i suoi ragazzi al colle di Saiano, poco distante da Brescia, per metterli in salvo dal saccheggio e dagli incendi causati dalla rivolta, che proprio alla piazzetta di San Barnaba aveva eretto una delle barricate. Morì il 1 aprile 1849 a Saiano (Brescia).
1 aprile: beato Giuseppe Girotti, nacque ad Alba (Cuneo) il 19 luglio 1905, da un’umile, ma stimata famiglia. Il 5 gennaio 1919 Giuseppe entrò nel Collegio domenicano di Chieri per iniziare gli studi. Il 3 agosto 1930 fu ordinato sacerdote a Chieri. L’anno successivo si laurea in teologia a Torino e si specializza nell’interpretazione delle Sacre Scritture presso l’Angelicum a Roma e all’École biblique di Gerusalemme. Fu poi docente di Sacra Scrittura nello Seminario teologico domenicano di santa Maria delle Rose in Torino. Furono anni che segnarono la sua vocazione e alimentarono la sua fedeltà alla Chiesa e a Dio, spesa anche tra i poveri e gli anziani dell’ospizio cittadino che stava proprio di fronte al suo convento. Sospeso nel 1939 dall’insegnamento al seminario domenicano e il suo allontanamento fisico con il trasferimento nel convento di San Domenico. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, Giuseppe, all’insaputa dei suoi superiori, diventa il centro di una vasta rete di sostegno a favore dei partigiani e soprattutto degli ebrei, verso i quali nutre un’affinità culturale maturata negli anni del suo soggiorno a Gerusalemme e successivamente sviluppata con gli studi biblici. Per questa sua attività contraria alle leggi fasciste e naziste viene arrestato, tradito dall’inganno di una spia repubblichina che, fingendosi un partigiano ferito, si fece accompagnare da Giuseppe da un medico, l’ebreo Giuseppe Diena, in una villa di Cavoretto dov’era nascosto e cadde nella trappola tesa contro di lui. Il 29 agosto 1944 è imprigionato a Torino nel carcere Le Nuove, poi trasferito a Milano nel carcere di San Vittore, quindi nel lager di Gries a Bolzano e infine, il 9 ottobre 1944, nel campo di concentramento di Dachau (Germania). Qui Giuseppe vi si distingue per la sua generosità nei confronti degli altri internati, per il suo atteggiamento di apertura e come “portatore della Parola di Dio”. Nel campo fu messo a raccogliere le patate assieme ad altri prigionieri con le mani nude immerse nella terra gelida d’acqua e neve. Sul petto, teneva cucito un triangolo rosso, quello dei detenuti politici. Rinchiuso nella baracca 26, in cui sono ammassati un migliaio di ecclesiastici contro i 180 previsti. A fine marzo del 1945 era ormai ridotto a pelle e ossa, fu trasportato in infermeria in fin di vita. Morì a Dachau il 1 aprile 1945, a 39 anni, ucciso da un’iniezione di benzina pratica usata dai nazisti.