Oggi 10 gennaio la chiesa ricorda beato Gregorio X (Tedaldo Visconti), 184º papa della Chiesa cattolica, nacque a Piacenza intorno al 1210, da famiglia della nobiltà cittadina. Quasi nulla conosciamo dell’infanzia e della giovinezza di Tedaldo di cui le fonti evidenziano l’atteggiamento mite e sereno che, unito alla grande fede, costituì la peculiarità della sua indole. Era arcidiacono della chiesa di Liegi (Belgio), città dove risiedette per vent’anni. Nel 1270 era insieme a Edoardo I e l’esercito d’Inghilterra in Terrasanta, a San Giovanni d’Acri, quando in Italia, a Viterbo, si svolse il concistoro dei vescovi per eleggere il nuovo papa, a causa della morte di Clemente IV il 29 novembre 1268. È così che 19 cardinali si riunirono nel palazzo papale di Viterbo per procedere all’elezione del nuovo pontefice. Questi erano divisi in due grossi partiti: quelli a favore di un papa francese e quelli a favore di un papa italiano; anche per questo motivo i vescovi non riuscivano a raggiungere il numero canonico per l’elezione. Passarono mesi, anni, tanto da far infuriare il popolo viterbese che, istigato da san Bonaventura, chiuse i cardinali in una stanza scoperchiandone il tetto e segregandoli (clausi cum clave); solo dopo 3 anni e 5 mesi arrivarono alla decisione di nominare 3 cardinali di un partito e 3 dell’altro con l’obbligo di scegliere un nome. La scelta, alla fine, cadde su Tedaldo Visconti il 1 settembre 1271. Tedaldo venne a sapere della sua elezione nell’autunno del 1271 e alla notizia si recò subito a Gerusalemme per pregare nei luoghi santi. A novembre di quell’anno tornò in Italia e nel febbraio del 1272 si recò a Viterbo dove venne ordinato sacerdote, consacrato vescovo prendendo infine il nome di Gregorio X. L’11 marzo arrivò a Roma e il 27 marzo 1272 fu incoronato papa in San Pietro. Gregorio X era un uomo di grande statura e grande fama, grande moralità. La sua prima intenzione una volta eletto papa fu quella di convocare un concilio ecumenico per riunire tutti i prìncipi cristiani per ricomporre l’unione tra la chiesa latina e la chiesa greca, aprire il mondo cristiano al grande impero cinese. Questo si tenne a Lione il 7 maggio del 1274. In questo storico appuntamento Gregorio X tentò la riconciliazione tra guelfi e ghibellini, ottenne la dichiarazione della ricomposta unità tra le due chiese (latina e greca) e promulgò il decreto Ubi periculum, il 16 luglio 1274, che stabiliva le modalità per le elezioni del papa, da allora detto conclave (cum clave: chiusi a chiave): questo prevedeva che entro dieci giorni dalla morte del papa i cardinali elettori si riunissero nel palazzo dove risiedeva il pontefice defunto e li dovevano essere segregati senza contatti con l’esterno; trascorsi tre giorni senza che fosse avvenuta l’elezione, ai porporati doveva essere ridotto il vitto ad una sola pietanza per pasto; dopo altri cinque giorni il cibo doveva essere limitato a pane, vino e acqua. Durante il viaggio di andata verso il concilio di Lione, che partì da Roma nel 1272, Gregorio X si fermò a Firenze il 18 giugno 1273 dove sul greto dell’Arno, in un grande padiglione, assistette al bacio di pace tra i capi dei guelfi e dei ghibellini. Dietro a questo padiglione, però, l’esercito guelfo era pronto ad attaccare quello ghibellino una volta partito il papa; questi lo seppe e per punizione diede l’interdetto (scomunica) alla città e proseguì per Lione. Gregorio X lasciò Lione nell’aprile del 1275. Nel viaggio di ritorno, poiché l’Arno era in piena, dovette passare per forza da Firenze: dato che non poteva transitare in una città scomunicata, lo tolse, lo passò e lo rimise. Arrivò nella città di Arezzo per celebrare le feste di Natale tra il 19 e il 20 dicembre 1275, anche se in verità fu una sosta forzata a causa della malattia che lo colpì durante il viaggio. In città ebbe un miglioramento, ma poi aggravatosi morì il 10 gennaio 1276 nel palazzo vescovile.
10 gennaio: san Gregorio di Nissa, nacque a Cesarea in Cappadocia (odierna Turchia) nel 335, fratello minore di san Basilio Magno e di santa Macrina. Da giovane, era un tiepido cristiano. Tuttavia, all’età di 20 anni, alcune delle reliquie dei Quaranta Martiri di Sebaste vennero trasferite in una cappella vicino a casa sua, e la loro presenza fece una profonda impressione su di lui, tanto che Gregorio divenne un attivo e fervente cristiano. Prese in considerazione dapprima il sacerdozio, ma decise che non faceva per lui. Divenne quindi un oratore professionista come suo padre, si sposò e visse una vita da laico cristiano. Tuttavia, suo fratello Basilio e il suo amico san Gregorio di Nazianzo, lo convinsero a riconsiderare l’idea del sacerdozio, e divenne prete nel 362 circa. Suo fratello Basilio, che era diventato arcivescovo di Cesarea nel 370, era impegnato in una lotta contro l’imperatore ariano Valente, che stava cercando di eliminare la fede nella divinità di Cristo. Basilio aveva un disperato bisogno dei voti e del sostegno dei vescovi e assegnò il suo amico Gregorio al vescovado di Nazianzo, e suo fratello Gregorio al vescovado di Nissa, una piccola cittadina a circa dieci miglia da Cesarea. Nessuno dei due voleva essere un vescovo, non erano adatti al ruolo, ed entrambi entrarono in conflitto con Basilio per questo. Ma ben presto il carattere poco pragmatico e ingenuo di Gregorio venne fuori. L’opposizione politico-ecclesiale, per nulla impaurita dalla sua cultura, lo accusò di aver amministrato male i beni della Chiesa. L’accusa era grave quanto infondata. Il povero Gregorio venne accusato, ma non solo, fu arrestato e imprigionato senza tanti scrupoli. Ed il freddo della prigione gli procurò un’infiammazione ai polmoni. Tirato fuori dal carcere, era intervenuto Basilio, dovette andare in esilio, nel 376. E quando ritornò nel 379, a parziale risarcimento dell’ingiustizia subita, la gente lo accolse trionfalmente. Nel 379, Basilio morì, dopo aver vissuto abbastanza per vedere la morte di Valente e la fine della persecuzione. Poco dopo, Macrina morì. Ma fu proprio la morte di Basilio nel 379 che diede la svolta decisiva alla vita di Gregorio. Si sentì solo ma non si scoraggiò, anzi tirò fuori il meglio di se stesso. Divenne infatti consapevole delle proprie responsabilità verso la Chiesa che guidava, diventò un vero combattente dell’ortodossia, coraggioso e profondo, e si impegnò con forza maggiore e decisa nelle dispute teologiche del tempo. Fu nel Concilio ecumenico di Costantinopoli del 381 che Gregorio toccò il vertice della sua fama e: contribuì a far trionfare le idee teologiche che furono di Basilio e del loro comune amico Gregorio Nazianzeno. Era ormai un uomo ed un vescovo stimato da tutti. Anche l’imperatore Teodosio I lo apprezzava molto, tanto da proclamarlo «difensore della fede». Gregorio morì presumibilmente nel 395.
10 gennaio: sant’Aldo eremita, abbiamo solo scarse notizie che lo riguardano. Vissuto intorno al VIII secolo, si conosce il suo luogo di sepoltura, prima nella cappella di San Colombano e ora nella basilica di San Michele a Pavia. Il suo nome non è riportato nel Calendario della Chiesa Cattolica e nemmeno nel Martirologio Romano, lo si trova nell’agiografia redatta dai gesuiti belgi detti Bollandisti, redatta nel XVII secolo e nel Martirologio dell’Ordine benedettino. Secondo la tradizione cattolica Aldo è stato un carbonaio ed eremita nel pressi di Pavia, a Carbonaria. La presenza del suo nome nel Martirologio benedettino ne fa presupporre il suo legame con il monastero benedettino di Bobbio fondato da san Colombano nel 614, a mezza strada tra il cenobio degli orientali e la comunità monastica creata un secolo prima da san Benedetto. Il punto d’incontro di queste due forme di ascesi sembra indicato dall’esperienza religiosa del santo eremita che commemoriamo, un orante dalle mani incallite e il volto annerito dalla fuliggine delle carbonaie. I monaci irlandesi di san Colombano non conducevano una vita eremitica in senso stretto. Ognuno si costruiva la propria capanna di legno e di pietre tirate su a secco, entro una cinta rudimentale, per isolarvici in solitaria contemplazione nelle ore dedicate alla preghiera. Poi ne usciva con gli attrezzi da lavoro per recarsi alle consuete occupazioni giornaliere e guadagnarsi da vivere tra gli uomini col sudore della fronte. Insomma, l’eremita si allontanava provvisoriamente dagli uomini per dare più spazio alla preghiera e riempire la solitudine esteriore con la gioiosa presenza di Dio. Ma non si estraniava dalla comunità, alla cui spirituale edificazione contribuiva con l’esempio della sua vita devota e anche con carità fattiva. Possiamo quindi ritenere Aldo un felice innesto dello spirito benedettino con quello apportato dai fervidi missionari provenienti dall’isola di san Patrizio, l’Irlanda, l’“isola barbara” trasformata in “isola dei santi” per la straordinaria fioritura del cristianesimo. San Colombano ne aveva portato sul continente una primaverile ventata di nuova spiritualità. Si era cioè prodotto un movimento inverso a quello che aveva recato la buona novella nell’isola degli Scoti. Decine di monaci e di eremiti irlandesi, fattisi “pellegrini per Cristo”, in un esaltante scambio evangelico, da evangelizzati diventavano evangelizzatori. Alla sua morte i monaci e il popolo della “Silva Carbonaria” innalzarono una piccola Chiesa e lì lo seppellirono tra i suoi e la sua gente. Nel 1565 il corpo del santo venne trasferito nel Duomo dove rimase per solo otto anni. Finalmente ebbe dimora stabile nella Chiese di San Michele: l’umiltà della sua vita veniva premiata anche in terra.