a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 12 febbraio la chiesa celebra san Benedetto Revelli, nacque a Taggia (Imperia) il 9 marzo 829, da Giacomo e Benedetta, i quali ebbero in dono questo figlio dopo molti anni del loro matrimonio. Si racconta che a soli 4 mesi articolò la prima parola per esortare la madre a fare un’offerta ad un poverello che chiedeva l’elemosina. Cresciuto in età e virtù fu inviato di genitori a proseguire gli studi in una colta città (si pensa fosse Torino), dove fu di modello a quanti lo conobbero per il suo progresso nelle scienze e per l’edificazione per gli atti di vita cristiana. Dopo questi sviluppi ritornò dai genitori, che lo spingevano verso onorevoli cariche, ma i suoi desideri, superiori alla sua età, gli facevano prendere visione che volendo correre alle grandezze terrene si esponeva a grandi pericoli. Così deciderà di ritirarsi nel silenzio del monastero: rifugio in quei tempi non infrequente anche ad elevati personaggi. Questo suo desiderio fu appagato nell’abbazia di San Martino al Monte presso Albenga, e qui fra le claustrali osservanze trovò le sue delizie. Se nonché per maggiore raccoglimento, domandò ed ottenne di ritirarsi a vita eremitica sull’isola Gallinara, che sorge di fronte ad Albenga, dove esistevano due monasteri dedicati a Santa Maria e San Martino. Viveva qui fra la più rigida austerità, tanta era la calma del suo cuore, finché rimasta vacante la sede episcopale di Albenga, giunsero i messaggeri del clero e del popolo gli portarono l’annunzio che lo avevano eletto loro vescovo, Benedetto piegò il capo alla volontà di Dio. La vocazione monastica, la vita eremitica, avevano forgiato un carattere dolce e fermo totalmente votato alla causa della Chiesa, vigile a tutto il suo gregge, prudenza nel governo, forte nel ministero e dolce con tutti. Del suo episcopato sappiamo solo che fu lungo e ricco di guarigioni miracolose. Morì lontano dalla sua sede, durante un viaggio a Genova o, più probabilmente, in un luogo ancora più a levante. Il suo corpo fu condotto con una nave (indarno inseguita con una bireme dai Genovesi che avrebbero voluto tenerlo nella loro città) al porto di Albenga, accolto trionfalmente dalle autorità e dal popolo. Caricato sopra un carro, tirato da due giovenche, il corteo si mosse alla volta della cattedrale, dove era stato deciso di inumarlo. Ma gli animali, giunti davanti alla chiesa di Santa Maria in Fontibus, appartenente ai monaci di san Benedetto, si fermarono, né fu più possibile farli avanzare di un passo. Nel fatto si vide un segno della volontà del presule di essere sepolto in quella chiesa. E così avvenne. Morì il 12 febbraio 900.
12 febbraio: san Giuliano l’ospitaliere, nacque ad Ath (Belgio) il 13 o il 29 gennaio 631 d.C., da una nobile famiglia delle Fiandre. Il giovane era un tipo violento e facile all’ira e si narra che durante una battuta di caccia un cervo che stava per morire gli predisse che avrebbe ucciso i suoi genitori. La funesta profezia si avverò, alcuni anni dopo, quando i genitori giunsero al suo castello mentre lui era assente per una battuta di caccia e la moglie, una nobile vedova conosciuta in Spagna, offrì loro il letto nuziale per la notte. Al mattino Giuliano rientrò in casa e credendo che la moglie fosse con un amante estrasse la spada e uccise i due sventurati, che in realtà erano i suoi genitori. Preso dallo sconforto, il giovane decise di abbandonare casa e ricchezze, e di vagare come penitente. Venne in Italia insieme alla consorte e iniziò una lunga peregrinazione, dalla Sicilia ad Aquileia, fino alle rive del fiume Potenza, nelle Marche, che in quel tempo era navigabile, dove per tutta la vita traghettò viandanti e pellegrini offrendo loro assistenza. Durante una traversata la sua barca rischiò di capovolgersi e lui tenne la mano ad un lebbroso pur di non farlo cadere nelle acque. Tale lebbroso, che passò poi la notte nel suo letto, si rivelò essere un Angelo mandato da Dio a dirgli che la sua penitenza era stata accettata e presto avrebbe avuto il premio eterno insieme alla sua amata sposa; patrono di Macerata e dei barcaioli.
12 febbraio: sant’Eulalia di Barcellona, nacque a Barcellona (Spagna) nel 290, apparteneva ad una nobile famiglia del villaggio di Sarrià, a pochi chilometri da Barcellona. L’Editto di Milano (313) che concesse libertà di culto ai cristiani romani, doveva ancora tardare 23 anni e l’Imperatore romano dell’epoca, Diocleziano, era piuttosto spietato. Così ordinò al prefetto locale, un tale Deciano, di andarci giù duro, e a Barcellona cominciarono persecuzioni spietate contro i seguaci di Cristo. Eulalia era una bambina molto religiosa, educata secondi i principi cristiani ed era molto turbata di fronte a tali accadimenti. Al punto che i suoi genitori, temendo che potesse consegnarsi spontaneamente alle autorità per affermare la forza della sua fede ed il coraggio dei cristiani, la fecero tenere sotto controllo da alcune serve. Ma Eulalia riuscì a scappare e ad arrivare in città dove si consegnò alle guardie di Deciano. Eulalia, che aveva solo 13 anni, così i magistrati romani provarono a dissuaderla dal volersi sacrificare in nome di Cristo, ma ella si dimostrò molto determinata: «Se siete assetati di sangue cristiano, eccomi! Le vostre divinità pagane non valgono nulla; potrete torturarmi, bruciarmi e farmi a pezzi, neanche il dolore più atroce è capace di penetrare il santuario dell’anima». I magistrati romani non insistettero oltre e la povera Eulalia fu sottoposta a torture e sevizie. In particolare, la leggenda narra che le furono tagliati i seni, le fu rovesciato addosso piombo fuso, fu fatta rotolare dentro ad un barile pieno di chiodi e fu infine condotta alla morte su di un congegno di tortura composto da due legni a forma di X (come la croce su cui morì sant’Andrea a cui poi si deve il nome) che permetteva di allungare e disarticolare gli arti. Il suo corpo nudo fu infine esposto perché il popolo potesse vedere qual era la fine che meritavano i cristiani. Pare che, per coprire le sue nudità, si avverò un miracolo, cominciò a nevicare così tanto da seppellirla. Morì il 12 febbraio 303.