a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 15 aprile la chiesa celebra san Pietro González detto Telmo, (Pedro González), nacque ad Astorga (Spagna) il 9 marzo 1190, da una nobile famiglia spagnola; grazie alla protezione dello zio Arderico, vescovo di Palencia, fin da giovane gli fu conferito, con un permesso speciale perché non aveva l’età richiesta, il titolo di canonico dell’omonima cattedrale. Il giovane nobile viveva nel lusso e negli agi, ma il giorno, andandosene pieno di vanità per le strade di Astorga a prendere la sua carica di presidente dei canonici della cattedrale, un’incidentale caduta da cavallo lo gettò in una pozzanghera facendogli subire così le risate dei presenti. Questo fatto apparentemente insignificante permise a Pietro di sentire l’inconsistenza e la vanità delle cose e del successo mondano, portandolo a desiderare una vita austera e religiosa. E fu così che il Telmo si alzò dalla caduta e disse: «Da oggi il mondo mi ha preso in giro, d’ora in poi farò beffe del mondo» e lasciando le sue posizioni d’onore entrò come frate domenicano in convento. Fu confessore di san Ferdinando III di Castiglia, che lo portò con sé durante le battaglie contro i Mori nella reconquista; ma principalmente si dedicò ai poveri: instancabile predicatore, convertì ed istruì molti uomini e marinai e pescatori della Galizia che lo invocano come loro protettore con il nome di Telmo. Fu nominato priore del contento di di Guimarães (Portogallo) dove ebbe tra i suoi frati il beato Gonzalo de Amarante. A 60 anni si ritirò nel convento di Santo Domingo a Tui (Spagna). Morì a il 15 aprile 1246; patrono dei marinai e pescatori.
15 aprile: beato Cesare de Bus (César de Bus), nacque a Cavaillon (Francia) il 3 febbraio 1544, da una nobile famiglia originaria di Como (Bussi). Apprese i primi rudimenti della grammatica alla scuola di un precettore e, a 14 anni, proseguì gli studi nel vicino collegio di Avignone. Intraprese la carriera militare, ma poi venne ammesso alla corte di Parigi da Carlo IX. Condusse in questo periodo una vita fatta soprattutto di divertimento e feste. Tornato a Cavaillon, pur disgustato della vita di corte, non mutò atteggiamenti ed abitudini. Per richiamarlo sul retto sentiero, la Provvidenza si servì di due umili persone: Antonietta Reveillade, domestica in casa de Bus, e Luigi Guyot, sacrestano della cattedrale. Entrambi pregavano per ottenere che Cesare ritornasse sulla retta via. Antonietta soprattutto non perdeva occasione per rivolgere al giovane esortazioni al bene. Una sera del carnevale 1575 Cesare era in procinto di uscire per recarsi a una festa da ballo, Antonietta lo affrontò e gli disse: «Signore, con Dio non si scherza; vi chiama, e voi non l’ascoltate; va di continuo in cerca di voi, e voi di continuo lo fuggite state attento che, stanco al fine, non vi rigetti dalla sua presenza». Cesare uscì ugualmente in strada anche se avesse la tempesta nell’anima. Passò davanti a un’edicola della Madonna, la pregò, ripensò ai disordini della propria vita, e capì che era follia resistere agli stimoli della grazia. Ritornò a casa, raccontò piangendo ad Antonietta la decisione presa di mutare vita, e trascorse la notte in preghiera. Il giorno successivo si recò da Luigi Guyot e lo ringraziò delle preghiere e delle penitenze che, con Antonietta, aveva fatto per il suo ravvedimento. Il giorno dopo Cesare, consigliato dal canonico Francesco Ferrici si recò ad Avignone dai Padri Gesuiti, cercò padre Pietro Péquet che gli era stato indicato come uno dei più dotti e prudenti direttori di spirito, e a lui aprì il proprio cuore. Ritornò a Cavaillon deciso a riacquistare il tempo perduto pregando, studiando, riparando gli scandali dati con la sua vita. Fin dall’inizio della sua “conversione”, Cesare si dedica con grande slancio alle opere di misericordia, soprattutto in favore dei poveri, dei bisognosi e dei malati. Dopo la morte di un fratello, canonico del capitolo della cattedrale di Salon-de-Provence, ottenne le sue rendite ed iniziò a dedicarsi allo studio della teologia e della filosofia. Nel 1582 fu ordinato sacerdote. Insegnò senza mai stancarsi il Catechismo, percorrendo in lungo e in largo la natia Provenza e le regioni circostanti. A 32 anni si rimette a studiare con coraggio e umiltà. Nel 1582 riceve l’ordinazione sacerdotale e da subito si dedica all’apostolato. Ciò che a lui premeva era di presentare la dottrina di Cristo con un linguaggio comprensibile a tutti. Cesare non catechizzava dal pulpito, ma stava in mezzo ai suoi uditori: parlava ad essi, dialogava con essi, li interrogava e rispondeva alle loro domande e difficoltà, dipingeva, cantava, faceva fare dei lavoretti manuali. Utilizzava cartelloni catechistici da lui dipinti, esposti alla porta della chiesa, quale sussidio per facilitare la comprensione delle verità che spiegava; la musica e la poesia per rendere interessante e piacevole l’insegnamento. Attratti dal suo modo di fare apostolato, altri preti e laici vollero seguire il suo esempio e così, il 29 settembre 1592, fondò la Congregazione dei Padri della Dottrina Cristiana (dottrinari). Nel 1594 inizia per Cesare il periodo della prova sia fisica, causata in particolare da un affievolimento della vista che da lì a pochi anni lo porterà alla cecità, sia morale, dovuta a problemi economici. Morì ad Avignone (Francia) il 15 aprile 1607.
15 aprile: Venerabile Thomas Byles(Thomas Roussel Davids Byles), nacque a Leeds (Inghilterra) il 26 febbraio 1870, dal reverendo Alfred Holden Byles, ministro congregazionista, e Louisa Davids. Fu primo di sette figli. Crebbe in una famiglia protestante. Frequentò il Leamington College di Warwickshire e la Rossal School di Rossall a Fleetwood (Lancashire). Tra il 1885 ed il 1889 si trasferì al Balliol College di Oxford e quell’ultimo anno iniziò a studiare teologia. Nel 1894 frequentò anche un Bachelor of Arts. Ad Oxford si convertì alla religione cattolica romana, assumendo il nome di Thomas. Nel 1899 frequentò il Pontificio Collegio Beda di Roma per studiare sacerdozio. Venne ordinato sacerdote nel 1902, all’età di 32 anni, e nel 1905 fu assegnato alla parrocchia Sant’Elena, a Chipping Ongar, nella contea di Essex, dove fu per otto anni parroco. Durante il suo sacerdozio, fu invitato ad officiare il matrimonio di suo fratello William che si sarebbe dovuto tenere il 20 aprile 1912 a Brooklyn (New York) e per questo, con l’occasione, spinto dal padre, fece un viaggio per New York a bordo del transatlantico più grande all’epoca quale era il Titanic. Partì il 10 aprile 1912, durante il viaggio inaugurale della nave dal porto di Southampton. In quell’occasione raggiunse l’accordo con il capitano Edward Smith affinché gli fossero riservati alcuni spazi per celebrare le funzioni religiose. Il giorno precedente l’impatto, precisamente il 13 aprile, era Pasqua, e il giorno dopo, Lunedì dell’Angelo il reverendo, celebrò quella che sarebbe stata la sua ultima messa. Una signora che partecipò alla funzione e che riuscì a salvarsi ricordò come nell’omelia don Thomas avesse parlato del «naufragio spirituale che tutti ci minaccia» e della necessità, dunque, di «aderire alla fede come a un salvagente». Parole rivelatesi certamente profetiche. In quella stessa notte, avvenne ciò che ingegneri e capitani di grande prestigio non avevano previsto, perché lo giudicavano impossibile: la parte sommersa di un iceberg tranciò il Titanic sotto la linea di galleggiamento. A nulla servirono i decantati compartimenti stagni e gli acciai più avanzati. La mattina del 14 aprile 1912, celebrò la Santa Messa in occasione della Domenica in Albis, per i passeggeri di seconda e terza classe. Quando quella sera la nave urtò contro l’iceberg, egli stava camminando sul ponte superiore mentre pregava, tenendo in mano il suo breviario. Sono molte le testimonianze, raccolte tra i superstiti, sulle ultime ore del sacerdote: resosi conto della tragicità della situazione, Thomas si impose la massima calma e si diede da fare con l’equipaggio perché l’imbarco nelle poche scialuppe avvenisse con ordine e rispettando il precetto del «prima le donne e i bambini» e poi i più giovani tra gli uomini. Secondo i racconti di alcuni dei superstiti sembrerebbe che Thomas per ben due volte rifiutò un posto su una scialuppa di salvataggio: «Quando iniziò lo scontro usciti dalle nostre cabine per vedere cosa fosse successo, lo vedemmo lungo il corridoio, con la mano alzata. Ci disse di stare calmi, dopodiché andò a dare la benedizione e l’assoluzione. Tutti noi fummo colpiti dal suo assoluto auto controllo. Iniziò la recita del rosario. Tutti pregavano, senza distinzione di religione. Come chiese di pregare, tutti lo fecero, sia cattolici che non». Durante l’affondamento, aiutò centinaia di persone a trovare delle scialuppe di salvataggio, ma egli stesso avendone l’occasione, per ben due volte rifiutò il posto sulla scialuppa. Nelle fasi finali dell’affondamento egli scelse di cedere il suo posto ad altri e di rimanere sulla nave per pregare, confessare e sostenere le altre vittime che erano rimasti intrappolati sulla poppa della nave, in assenza di scialuppe, dando poi loro l’assoluzione. Il suo corpo, se recuperato, non fu mai identificato. A bordo del transatlantico inabissato nelle gelide acque del Nord Atlantico, oltre a Thomas, vi erano altri due sacerdoti che donarono la loro vita in un eroico sacrificio: padre Juozas Montvila, sacerdote della Lituania e padre Joseph Peruschitz, sacerdote benedettino tedesco. Morì nell’Oceano Atlantico il 15 aprile 1912.