Oggi 16 maggio la chiesa celebra san Simone Stock, nacque a Aylesford (Inghilterra) nel 1165 circa, gran parte delle scarse notizie sulla sua vita sono spesso ricavate da leggende: secondo la tradizione, all’età di 12 anni lasciò la casa dei genitori e si ritirò come eremita sotto una quercia, da qui l’appellativo Stock, che deriverebbe dall’inglese antico e significherebbe tronco d’albero, e in seguito percorse a piedi le contrade del suo paese predicando. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, avrebbe maturato la decisione di entrare come frate nell’Ordine dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (carmelitani) e, completati gli studi a Roma, venne ordinato sacerdote. Attorno al 1247, all’età di 82 anni, fu scelto come sesto priore generale dell’Ordine, avrebbe ricevuto la visione della Vergine con la rivelazione dello scapolare e la promessa: «Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo». Si adoperò per riformare la regola dei Carmelitani, facendone un ordine mendicante: papa Innocenzo IV nel 1251 approvò la nuova regola e garantì all’Ordine anche la particolare protezione da parte della Santa Sede. Simone favorì poi la diffusione dell’Ordine in Inghilterra e nell’Europa continentale: al suo generalato risalgono, tra l’altro, la fondazione delle case carmelitane a Cambridge (1248), Oxford (1253), Parigi e Bologna (1260). Morì il 16 maggio 1265, durante una visita al convento carmelitano di Bordeaux.
16 maggio: sant’Andrea Bobola (Andrzej Bobola), nacque a Strachocina (Polonia) il 30 novembre 1591, da una famiglia della piccola nobiltà polacca. Frequentò gli studi presso le scuole dei gesuiti a Vilna (Lituania) entrò nel loro noviziato in quella stessa città, nel 1611. Fu ordinato prete il 12 marzo 1622, poi come pastore della chiesa di Nieswiez, alla quale era collegata la scuola dei gesuiti. Dopo un breve ma efficace apostolato ritornò nella chiesa di San Casimiro a Vilna, dove la sua predicazione fu molto apprezzata; anche il suo impegno presso le confraternite risultò fruttuoso. Tra questi gruppi di devoti scelse i suoi assistenti per le visite alle carceri e ai poveri. In seguito essi divennero catechisti e si prestarono eroicamente nella cura dei malati durante le epidemie del 1624 e del 1629. Nel 1630 fu mandato a Bobrujsk, dove costruì la chiesa per i cattolici qui residenti, che per scarsità di preti erano passati alla Chiesa ortodossa. Dal 1643 al 1649 godette di cattiva salute e dovette ridurre le sue attività. Nel frattempo cresceva l’ostilità verso i cattolici in generale e i gesuiti in modo particolare; nonostante il trattato d’unione di Brest, del 1596, che cercava di ripristinare la coesistenza pacifica tra la Chiesa di Roma e quella russa, alcuni ortodossi, sostenuti da bande di cosacchi, miravano a vanificare l’accordo e a rimuovere i cattolici e le loro chiese dal territorio. I cosacchi, guidati dal sanguinario e crudele Bogdan Chmielnicki, fecero di tutto per far abbandonare, i cattolici, da quella regione. In quello stesso periodo Andrea faceva ritorno a Vilna, proprio mentre veniva saccheggiata dalle truppe russe durante la guerra con la Polonia. Il territorio polacco divenne teatro di un conflitto cruento e sanguinario; i gesuiti dovettero abbandonare chiese e collegi e trovare rifugio nella regione della Podlaska, dove il principe Albert Stanislaw Radziwill li accolse nella sua residenza a Pinsk. Là Andrea si adoperò per incoraggiare i polacchi perseguitati a rimanere saldi nella fede. Tutti erano a conoscenza dei suoi successi, ma non mancarono alcuni che tentarono di sabotare i suoi sforzi organizzando contro di lui anche bande di teppisti. Pinsk fu presa nel 1657. Dopo aver massacrato ebrei e cattolici a Janów Poleski, i cosacchi catturarono Andrea, subito dopo aver celebrato la Santa Messa. Volendo costringerlo a rinnegare il cattolicesimo i cosacchi lo frustarono, lo legarono a cavalli e lo trascinarono fino a Janów Poleski; qui lo distesero su un tavolo da macellaio strappandogli la pelle dal corpo e praticandogli fori nelle palme delle mani; gli conficcarono un punteruolo nel torace e infine lo uccisero con un colpo di spada. Di lì a poco arrivarono i polacchi, troppo tardi per salvarlo, ma in tempo per raccogliere il suo corpo e portarlo nella chiesa locale e seppellirlo a Pinsk. Morì il 16 maggio 1657.
16 maggio: sant’Ubaldo Baldassini, nacque a Gubbio intorno al 1085, da una famiglia benestante e nobile. Rimasto orfano di entrambi i genitori, venne educato da uno zio Ubaldo, uomo molto religioso, il quale tuttavia ostacolò il suo progetto, manifestato quando aveva 15 anni, di ritirarsi a vita solitaria; gli consentì, però, di associarsi ai canonici di San Secondo. Nella collegiata di San Secondo lo scopre san Giovanni da Lodi, già monaco per 40 anni a Fonte Avellana (Marche), poi vescovo di Gubbio. Prende Ubaldo come collaboratore e lo manda a San Mariano perché metta in riga i canonici bontemponi, anche se non è ancora prete. Nel 1115 è ordinato sacerdote e nel 1118 diventa priore della canonica di San Mariano. Riforma la vita canonicale adottando la regola che il beato Pietro degli Onesti aveva scritto per Santa Maria del Porto a Ravenna: la regola era fatta di silenzi, digiuni, preghiera e carità. Si libera di tutti i suoi cospicui averi, lasciandone solo una piccola parte ai parenti e donando il resto ai poveri. Con il tempo e per gradi, Ubaldo riesce veramente a mettere in riga i canonici bontemponi grazie soprattutto al suo esempio e alle sue doti di persuasore, al punto che sono poi loro a rieleggerlo priore per un decennio. Intorno al 1125, però, un incendio distrugge molte case di Gubbio e la stessa cattedrale, allora i canonici devono disperdersi presso altre chiese. Non c’è più la comunità e Ubaldo, scoraggiato, pensa di farsi eremita, ma poi torna in città dove lavora per la ricostruzione. Un anno dopo, 1126, gli arriva la sorpresa: a Perugia è morto il vescovo e al suo posto i perugini vogliono mettere lui. Reagisce fuggendo a Roma dove supplica papa Onorio II di lasciarlo semplice prete. Per quella volta il pontefice lo accontenta. Ma quando, nel 1129, a Gubbio muore il vescovo, non sente più ragioni e nomina lui a succedergli. Ora, altro che i canonici di San Mariano, le aspre divisioni tra le famiglie importanti accompagnano e peggiorano gli scontri nel clero, gli atti di indisciplina. Si arriva anche alle offese personali, fisiche, contro il vescovo, ma lui risponde con la fiduciosa costanza: mai impaurito, mai infuriato. E quando nelle liti cittadine si pone mano alle armi, è pronto a mettere in gioco persino la vita per fermarle. Aveva un comportamento diverso dai vescovi medievali, non girava con ricche pompe cerimoniose o ornato con anelli e ricche vesti, era sobrio in tutte le cose e non facilitò i suoi parenti regalando loro delle cariche. Gubbio era allora una città piuttosto inquieta, divisa da feroci discordie che contrapponevano fazione a fazione, casato a casato. E sulle strade cittadine spesso correva il sangue. Il vescovo Ubaldo si offrì a fare da paciere e un giorno mise a repentaglio la propria vita nel tentativo di sedare una delle tante violente sommosse. Si era gettato tra i contendenti supplicandoli di desistere, ma era stato travolto. Solo quando gli eugubini si accorsero d’averlo lasciato malconcio sul terreno, posero fine alla rissa, preoccupati della sorte del loro vescovo e pentiti della loro insensatezza. Da quel giorno gli animi si calmarono. Ubaldo, amato dal popolo perché era sempre pronto a difenderlo dall’arroganza dei potenti, resse la città per oltre 30 anni, salvandola dalla distruzione minacciata da Federico Barbarossa. Come papa Leone aveva fatto con Attila, il vescovo Ubaldo andò incontro all’imperatore, armato solo della forza della fede e del prestigio della sua dignità episcopale. Barbarossa, colpito da tanto coraggio, mutò proposito e risparmiò la città. Ubaldo venne colpito da una malattia strana e repellente: il corpo si ricoprì di pustole dolorose che emettevano in continuazione un liquido sieroso, biancastro e maleodorante. In quello stato celebrò la sua ultima messa, continuò fino alla fine i suoi doveri di vescovo, nella Pasqua del 1160. Morì il 16 maggio 1160; patrono di Gubbio.