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Oggi 18 marzo la chiesa celebra san Cirillo di Gerusalemme, nacque a Gerusalemme (Israele) verso il 315, da genitori cristiani e ricevette un’ottima formazione letteraria; fu questa la base della sua cultura ecclesiastica, incentrata nello studio della Bibbia. Avendo ricevuto un’educazione cristiana, fu ordinato sacerdot
e da san Massimo III verso il 345 e si dedicò preparare i catecumeni al battesimo. Sono famose le sue 24 Catechesi, discorsi che sono arrivati fino a noi: i primi 19 sono spiegazioni della dottrina cristiana, tenuta durante la Quaresima nella basilica di Costantino della Santa Croce ai catecumeni che si stavano preparando al battesimo nella notte di Pasqua, i rimanenti discorsi sono spiegazioni dei sacramenti cristiani che i neobattezzati hanno ricevuto dopo Pasqua nella Anastasis, o chiesa della Resurrezione. Molto incline al dialogo e alla riconciliazione, partecipò alle dispute teologiche più importanti della sua epoca. Sulla disputa cristologica (la natura di Gesù Cristo), egli abbracciò la corrente di Eusebio di Cesarea, che si situava in una posizione mediana tra la teologia di sant’Atanasio di Alessandria (che fu accettata dalla Chiesa), e quella di Ario. Gli ariani non la accettavano, Atanasio sosteneva la consustanzialità (stessa natura del Padre), mentre Eusebio e Cirillo erano per una posizione dove Cristo era definito ὅμοιος (homoios, simile al Padre). Cirillo esercitò il suo ministero in una città che, dopo molti anni di violenze e di soprusi, tornava a suscitare l’interesse dei potenti. La madre dell’imperatore, Elena, vi si era recata nel 323, mentre nel 335 lo stesso imperatore Costantino fece erigere la basilica del Santo Sepolcro, che vide in seguito Cirillo operare e predicare. Cirillo venne nominato vescovo nel 347 da Acacio vescovo di Cesarea di Palestina, filoariano, convinto di avere in lui un alleato. Fu, perciò, sospettato di avere ottenuto la nomina episcopale mediante concessioni all’arianesimo. Tra i due sorsero forti attriti, sia per questioni amministrative che per questioni teologiche. Questi dissidi sfociarono nella condanna all’esilio, formulata da un concilio indetto dal patriarca Acacio nel 358: Cirillo venne accusato di aver dilapidato i beni della città santa; in realtà il santo vescovo, in un tempo di estrema miseria, aveva semplicemente venduto, per soccorrere i poveri, vasi e ornamenti della sua diocesi. Si ritirò a Tarso, dove fu caldamente ricevuto dal semi-ariano Silvano e dove rimase in attesa della risposta al suo appello. Due anni dopo, nel 359, il Concilio di Seleucia, composto da semi-ariani, ariani e un piccolo numero di ortodossi, lo riabilitò. Cirillo era presente e Acacio, con grande disappunto, se ne andò sdegnato ma anche quando, ripensandoci, tornò per difendersi, il concilio ratificò il reinsediamento di Cirillo e la deposizione di lui. Appena un anno dopo, questa volta ad opera dell’Imperatore Costanzo II, anch’egli filoariano, venne di nuovo esiliato. Con l’avvento al potere di Giuliano nel 361, tutti i vescovi esiliati furono riammessi alle loro cariche. Nel 367 venne di nuovo esiliato; poté tornare nella sua sede solo nel 378. Nel 381 partecipò al Concilio di Costantinopoli, che riconobbe la legittimità del suo episcopato, e sottoscrisse la condanna dei semi-ariani e dei macedoniani, negatori del carattere divino di Cristo e dello Spirito Santo. Anche Cirillo sottoscrisse la definizione di Cristo come ὁμοιούσιος (homoiousios, simile nella sostanza al Padre), convinto che questa fosse l’unica accettabile. Quando finalmente venne raggiunta, per lui e per la propria Chiesa, una chiara presa di posizione dopo un’intera vita spesa a ragionare e ponderare quale fosse la vera sostanza del Cristo, poté trascorrere gli ultimi anni in serenità. Mori a Gerusalemme il 18 marzo del 387, a 70 anni circa
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