a cura di don Riccardo Pecchia.
Oggi 19 marzo la chiesa festeggia san Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Nacque probabilmente a Betlemme, il padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) ed era terzo di sei figli. Giuseppe era un falegname (Mt 13,55) che abitava a Nazareth. All’età di circa 30 anni, fu convocato dai sacerdoti del Tempio, insieme ad altri giovani scapoli della tribù regale di Davide, per prendere moglie, la giovane Maria, futura madre di Gesù, allora dodicenne. Giunti al tempio, i sacerdoti comunicarono che per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all’altare il loro bastone, Dio stesso ne avrebbe poi fatto germogliare uno, scegliendo così il prescelto. Il sacerdote Zaccaria entrato nel tempio chiese responso nella preghiera, poi restituì i bastoni ai legittimi proprietari: l’ultimo era quello di Giuseppe, era in fiore e da esso uscì una colomba che si pose sul suo capo. Giuseppe si schivò facendo presente la differenza d’età, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio. Allora questi, pieno di timore, prese Maria nella propria casa. La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l’episodio dell’Annunciazione. Nel sesto mese l’arcangelo Gabriele fu mandato da Dio a Nazareth, da Maria, promessa sposa di Giuseppe un uomo discendente della casa di Davide. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio: «chiamato Figlio dell’Altissimo». L’angelo a conferma dell’evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta anche se sterile, aspettava un figlio. Maria si recò dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza. In queste circostanze Giuseppe, che era giusto, e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto come dice il Vangelo di Matteo. Giuseppe non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie, cercava una risposta all’interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile. Gli apparve in sogno un angelo che gli disse di non temere perché quello che è concepito in lei viene dallo Spirito Santo. Svegliatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo, accettandone il mistero della maternità. Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli collabora nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente “ministro della salvezza”. Definizione che descrive perfettamente la grandezza di san Giuseppe, che ha avuto il singolare privilegio di servire Gesù e la sua missione, cioè la sua opera salvifica. I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della fanciullezza di Gesù, durante il quale questi, attraverso una vita apparentemente normale, si preparava alla sua missione. Un solo momento è sottratto a questa “normalità” ed è descritto dal solo Luca. Gesù, a 12 anni, partì come pellegrino insieme coi genitori verso Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi però i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme, senza che Maria e Giuseppe se ne accorgessero. Passato un giorno se ne resero conto e iniziarono a cercarlo, trovandolo dopo tre giorni nel tempio, seduto a discutere con i dottori. Maria gli domandò: «Ecco tuo padre e io, angosciati ti cercavamo». La risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?», risposta che lasciò i genitori senza parole. Quando Gesù iniziò la sua vita pubblica, molto probabilmente Giuseppe era già morto. Infatti, non è mai più nominato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (Lc 2,41-50). Secondo l’apocrifo “Storia di Giuseppe il falegname”, Giuseppe aveva ben 111 anni quando morì, confortato dalla sua sposa Maria e dal figlio Gesù; patrono della Chiesa, degli artigiani e degli operai.
19 marzo: beato Andrea Gallerani, nacque a Siena nei primi anni del XIII secolo, in una ricca e potente famiglia senese. La sua gioventù fu probabilmente inquieta e dedita alla carriera delle armi. Il suo biografo, padre Raimondo Barbi, scrive che combatté contro gli Orvietani a Campiglia d’Orcia nel 1219, uccidendo il loro capitano Andrea Martinelli. Solo in seguito fu protagonista a Siena di un episodio di violenza, forse una rissa tra bande di giovani e in quell’occasione Andrea abbia ucciso un blasfemo, di cui non sopportava udire le orribili bestemmie. Fu così esiliato dalle autorità della sua città e costretto a rifugiarsi in Maremma. Datosi a vita penitente, nel 1240, pensando che l’episodio fosse stato dimenticato, decise di tornare in città. Sinceramente e profondamente pentito, per poter espiare la propria colpa rinunciò a titoli e beni e prese a dedicarsi esclusivamente alle opere di carità. Prima tra tutte la fondazione di un ospedale pubblico, detto della Misericordia. La Misericordia senese si ritrovò numerosi giovani attratti dal suo esempio, si unirono a lui, provenienti dai vari Terz’Ordini cittadini, che indossavano una veste con la lettera “M”, e andarono a costituire la Congregazione dei Frati della Misericordia, per il servizio agli ammalati poveri, ma nonostante venissero chiamati “frati della Misericordia”, in realtà non furono mai costituiti in un vero ordine religioso, lo stesso Andrea prestò da laico la sua opera di carità per tutta la vita. Morì a Siena il 19 marzo 1251.
19 marzo: beato Marco da Montegallo, nacque a Fonditore di Montegallo (Ascoli Piceno) nel 1425, da nobile e facoltosa famiglia. Marco studiò dapprima ad Ascoli, in seguito passò alle Università di Perugia e di Bologna, dove divenne dottore in legge e in medicina intorno agli anni 1444-45; ritornato ad Ascoli esercitò per un certo tempo la professione di medico. Nel 1451 per assecondare i desideri del padre sposò Chiara de Tibaldeschi, ma, morto il padre l’anno successivo, gli sposi di comune accordo si separarono e, rinunciando agli agi e alle prerogative della loro condizione, decisero di consacrarsi alla vita religiosa, Chiara nell’ordine delle Clarisse del convento di Santa Maria in Ascoli, Marco quello dei Francescani Osservanti, entrando nel convento di Santa Maria di Valsasso di Fabriano. Padre guardiano del convento di San Severino nel 1457, nel 1458 Marco fu a Camerino, dove predicò in occasione di un’epidemia di peste, coinvolgendo la popolazione in intense pratiche devozionali e penitenziali. Fu attivo contro le due principali piaghe del suo tempo: le discordie civili e l’usura che condizionava pesantemente la vita delle famiglie, con l’istituzione, nel 1458 ad Ascoli, dei Mons mutuationis (Monti di Pietà), istituti di credito gratuito. Della sua vita negli anni successivi non si hanno fonti attendibili e sicure, certamente era a Fabriano nel 1470 dove, in aprile, fu istituito il Monte, approvato dal Consiglio generale cittadino. Negli anni successivi, tra il 1471 e il 1486, svolse la sua attività di predicatore a Fano, a Fermo, a Ripatransone, a Roccacontrada, ad Ancona e in altre città dell’Italia centro-settentrionale, dando impulso alla fondazione, alla regolamentazione o alla riorganizzazione dei Monti di pietà locali. Dal 1486 al 1496 Marco dimorò a Vicenza nel convento di San Biagio Vecchio, prestando opera di consiglio e di direzione nelle varie comunità religiose della città e presso le terziarie francescane di San Marcello. Nel 1496 era di nuovo a Vicenza, dove morì il 19 marzo 1496.