Oggi 26 settembre: santi Cosma e Damiano, nacquero nella seconda metà del III secolo, originari dell’Arabia, appartenenti ad una ricca famiglia. Il padre, Niceforo, si convertì al cristianesimo dopo la loro nascita, ma morì durante una persecuzione in Cilicia; la madre, Teodota (o Teodora), da più tempo cristiana, si occupò della loro prima educazione. Dopo aver appreso l’arte medica in Siria, praticarono la loro professione nella città portuale di Egea, in Cilicia e poi a Ciro, città dell’Asia Minore. Si distinguevano per la solerte e benefica operosità verso i malati, con predilezione per i più poveri e gli abbandonati. La tradizione riferisce anche che curavano i malati senza mai chiedere retribuzione. Ciò valse loro il soprannome di “santi anàrgiri” (termine greco che significa «senza denaro»). L’attività di questi santi non si ridusse alla sola cura dei corpi. Nel loro esercizio professionale miravano anche al bene delle anime con l’esempio e con la parola. La loro scelta di vita fu controcorrente rispetto al paganesimo dominante. Nell’Impero Romano, sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano, scoppiarono le persecuzioni contro i cristiani. Le maggiori repressioni avvenivano nell’esercito, principalmente a causa del rifiuto da parte dei cristiani a servizio nell’esercito, oltre che delle cerimonie pagane e del culto dell’imperatore. In esecuzione dell’editto del 23 febbraio 303, Cosma e Damiano furono arrestati con l’accusa di turbare l’ordine pubblico e di professare una fede religiosa vietata. Il loro processo si svolse al cospetto di Lisia, prefetto di Cilicia. Dopo l’arresto e il processo i due gemelli furono sottoposti a una serie di crudeli torture. Come primo castigo fu loro inflitta la fustigazione, ma dato che i carnefici non ottennero di farli apostatare, gli furono legati mani e piedi e gettati in mare da un alto burrone con un grosso macigno appeso al collo, miracolosamente, invece, i legacci si sciolsero e i fratelli riaffiorarono in superficie sani e salvi. Nuovamente arrestati, subirono altre dolorosissime prove, condotto ad una fornace ardente, furono immersi nel fuoco legati con catene, ma le fiamme non li bruciarono, furono quindi decapitati, assieme ai loro fratelli più giovani, Antimo, Leonzio ed Euprepio, nella città di Cirro, nei pressi di Antiochia nel 303 d.C.
26 settembre: san Nilo da Rossano (al secolo Nicola Maleinos), nacque a Rossano nel 910, da una nobile famiglia. Rimasto orfano di entrambi i genitori fin da piccolo, venne educato dalla sorella. Condusse una giovinezza spensierata dedicandosi allo studio e alla pratica del canto e della calligrafia. Intorno al 940, Nicola si sposò prima di intraprendere la vita da monaco, affascinato dalla bellezza di una ragazza di umili origini; ebbe una figlia, ma il matrimonio non durò molto. Fece in modo che moglie e figlia non avessero problemi economici e quindi si ritirò nell’eparchia del Mercurion (zona così chiamata perché dedicata al dio pagano). Qui si dedicò alla vita contemplativa e alla carità e dove fece la professione religiosa assumendo il nome Nilo; raccolse e copiò numerosi codici. Nel 943 essendo alla ricerca continua di una maggiore perfezione di spirito si ritirò nella grotta di San Michele, ad Orsomarso. Fu in questa grotta che accolse il suo primo discepolo, Stefano, anche lui di Rossano, a cui si aggiungerà Giorgio, di nobile e ricca famiglia rossanese. Nella solitudine del romitorio si dedicava, oltre che alla preghiera, a copiare codici antichi per procurarsi di che vivere. Nel 952-53, a causa delle continue e tremende incursioni saracene, si ritirò con i suoi primi discepoli in una sua proprietà ai piedi della Sila, dove, nei pressi di una chiesetta preesistente dedicata ai martiri Adriano e Natalia costruì il suo primo monastero di San Adriano, nei pressi dell’attuale San Demetrio Corone, qui Nilo dimorò per oltre 25 anni attuando la sua riforma monastica. Impose ai monaci il lavoro e lo studio: per questo istituì lo scriptorium dove avveniva la trascrizione degli antichi manoscritti. Intorno al 980, morto il vescovo della città di Rossano, il clero ed il popolo lo chiamarono a succedergli, ma, preferì la vita monastica, sottraendosi prima col nascondersi e poi con la fuga. Fu così che, affidato San Adriano alla cura di Proclo di Bisignano, lasciò la Calabria puntando con dei monaci prima a Capua e poi a Montecassino, dove l’abate benedettino Aligerno gli concesse il monastero di Valleluce. Il santo vi prese dimora con i suoi monaci per 15 anni. Avrebbe potuto scegliere Costantinopoli come meta a lui più congeniale, ma preferì puntare su Roma per creare al centro della latinità situazioni di conoscenza reciproca, di dialogo e di comunione spirituale. Prediligendo Roma, Nilo volle dimostrare e testimoniare che la comunione e l’intesa tra i due “polmoni” della Chiesa erano possibili, anzi necessari e che l’unità da perseguire con un impegno di reciproco rispetto era la strada maestra ed il futuro a cui ispirarsi. E di questo fu testimonianza tra l’altro la perfetta sintonia che si stabilì con i Benedettini di Montecassino, con scambi di esperienze liturgiche di grande significato umano e di reciproca edificazione spirituale. Nel 994 da Valleluce si dovette trasferire a Serperi, nei pressi di Gaeta, dove fondò un nuovo monastero. Da Serperi, ispirato da una visione soprannaturale, nella primavera del 1004, facendosi accompagnare dal discepolo Bartolomeo e dall’egumeno Paolo, pure di Rossano, e pochi altri, Nilo si diresse verso Roma per fondarvi un altro monastero. I lavori vennero avviati nella tenuta di “Cryptaferrata”, poi Grottaferrata, avuta in dono dal principe di Tusculo Gregorio. Qui l’abate Nilo ebbe solo la gioia di vedere avviati i lavori perché morì il 26 settembre 1004, all’età di 94 anni.
26 settembre: beato Paolo VI (Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini), 262o vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica; nacque il 26 settembre 1897 a Concesio (Brescia), in una casa dove i suoi genitori sono soliti trascorrere le vacanze estive; all’età di 6 anni viene iscritto presso il collegio gesuita bresciano “Cesare Arici”, in cui viene ammesso come studente esterno, poiché ha una salute cagionevole. Nel 1907 papa Pio X gli impartisce il sacramento della prima comunione e della cresima. Giovanni frequenta l’Istituto religioso bresciano fino al momento in cui consegue il diploma di maturità presso il liceo pubblico “Arnaldo da Brescia”, nel 1916. All’età di 18 anni inizia a collaborare con il giornale studentesco “La Fionda” e tre anni dopo entra a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Il 29 maggio 1920 viene ordinato sacerdote. Di lì a poco si trasferisce a Roma, dove inizia a lavorare nella Segreteria di Stato Vaticano e dove intraprende gli studi accademici. Nel 1924 si laurea in filosofia, diritto civile e diritto canonico. In questo periodo inoltre ricopre anche l’incarico di assistente ecclesiastico della FUCI, lasciandolo nel 1933 a causa dell’impegno che gli richiede la Segreteria di Stato Vaticano. Quattro anni dopo, nel mese di dicembre, Montini è nominato sostituto della Segreteria di Stato e collabora con il cardinale Segretario di Stato Eugenio Pacelli. Pochi anni dopo, papa Pio XI muore e sale sul soglio pontificale Pacelli con il nome di Pio XII. Nel 1952 viene nominato pro-Segretario di Stato per gli Affari ordinari. Il 1 novembre 1954 è eletto arcivescovo di Milano e deve quindi abbandonare la Segreteria di Stato Vaticano. Nel 1958 il nuovo papa Giovanni XXIII lo ordina cardinale e, nel corso del breve pontificato del primo, presiede i lavori del Concilio Vaticano II che però viene interrotto il 3 giugno 1963 a causa della morte del papa. Montini viene eletto nuovo papa, assumendo il nome di Paolo VI. Nel 1964 decide di vendere la tiara papale con l’obiettivo di fare del bene al prossimo con i fondi ricavati. Questa viene acquistata dall’arcivescovo di New York, Francis Joseph Spellman. Uomo di indole molto mite, Paolo VI riesce a condurre gli affari religiosi e sociali con caparbietà, riprendendo i lavori del Concilio Vaticano II che si erano interrotti poco prima, in seguito alla morte del suo predecessore. L’8 dicembre 1965 si concludono i lavori del Concilio Vaticano II e nel 1968 istituisce La Giornata Mondiale per la pace, che sarà celebrata a partire dall’anno successivo. Il 16 marzo 1978 viene rapito il Presidente del Consiglio italiano Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse; in quest’occasione papa Paolo VI, il 21 aprile dello stesso anno, fa pubblicare a tutti i quotidiani italiani una lettera, in cui chiede con grande umiltà ai rapitori di liberare il politico della Democrazia Cristiana. Purtroppo l’auto di Aldo Moro viene ritrovata il 9 maggio 1978 in Via Caetani a Roma, con all’interno il corpo del politico, che in vita è stato un grande amico del papa. Destando anche delle critiche il papa partecipa ai funerali di Stato di Aldo Moro. Il suo stato di salute si deteriorò da allora progressivamente e tre mesi dopo, il 6 agosto 1978, si spense nella residenza di Castel Gandolfo a causa di un edema polmonare.