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Oggi 27 maggio la chiesa celebra sant’Agostino di Canterbury, nacque a Roma il 13 novembre 534, non si hanno notizie documentate inerenti la sua infanzia, se non il fatto che visse nella città eterna. Alcuni storici lo descrivono come un uomo umile ma deciso, benevolo anche se a volte mostrava esitazione nel prendere decisioni, particolarmente colto e molto ligio a realizzare i voleri del Papa. Era un monaco benedettino, abate del Monastero di Sant’Andrea sul Celio, a cui san Gregorio Magno, nel 596, gli affidò l’incarico di evangelizzare l’odierna Inghilterra che era stata invasa dai Sassoni, dagli Iuti e dagli Angli. Il monarca, Etelberto, era pagano, ma dopo aveva sposato Berta, figlia del cristiano Cariberto, re di Parigi, di religione cristiana. Ella, portando con sé il cappellano Liudhard, eresse una chiesa a Canterbury, dedicandola a san Martino di Tours, patrono della sua famiglia, i Merovingi. Il marito, pur essendo pagano, si dimostrò tollerante e permise alla moglie di adorare il proprio Dio. Berta poté così organizzare una piccola comunità con tanto di sacerdoti. Etelberto, interessato al nuovo culto, chiese a papa Gregorio I di inviare dei missionari. Gregorio affidò il compito a un gruppo di 40 monaci benedettini del monastero romano di Sant’Andrea sul Celio, di cui Agostino era abate. Partito nel 597, Agostino raggiunse la Provenza ma, spaventato dai racconti che facevano i Sassoni un popolo crudele e intollerante, tornò a Roma, rinunciando all’incarico. Il pontefice riuscì però a rincuorarlo e alla fine Agostino raggiunse l’isola di Thanet, accolto dal re in persona. Egli lo accompagnò a Canterbury e qui il monaco fu messo a capo della comunità. In breve tempo, lo stesso sovrano e migliaia di sudditi chiesero di essere battezzati. Per merito di questo, Agostino ottenne il permesso di predicare e far conoscere al popolo la fede cristiana. Durante questo viaggio, il pontefice lo consacrò vescovo della Gallia. Questa onorificenza, venne vista come un premio per non esseri fatto intimorire dalle difficoltà che avrebbe incontrato durante la sua missione. Nel giro di poco tempo ovvero nel 597, il monaco benedettino riuscì a battezzare nella acque del fiume Tamigi, circa diecimila sudditi. Le sue funzioni missionarie non erano sempre bene accette tanto che spesso veniva cacciato in malo modo. I suoi rapporti con il Papa erano molto stretti, tenevano una corrispondenza molto confidenziale mediante la quale il monaco chiedeva pareri e consigli sul suo operato. Per ordine del Papa, Agostino venne inviato in Francia dove divenne vescovo ad Arles. Successivamente fu nominato vescovo e primate di Canterbury. Agostino si impegnò intensamente per riunire la Chiesa Sassone con quella Bretone, tuttavia i suoi sforzi non ebbero il risultato sperato, questo perché i Bretoni erano animati da un profondo odio contro i Sassoni. Riuscì a rinforzare i rapporti tra la Chiesa inglese e quella romana. Spetta a lui il merito di aver fatto cambiare la religione alla maggior parte della popolazione del territorio del Kent e di aver realizzato tre sedi episcopali, la prima a Canterbury, la seconda a Londra e la terza a Rochester. Prima di morire, Agostino consacrò Lorenzo come suo successore a Canterbury, nominò Mellito vescovo di Londra e Giusto vescovo di Rochester. Morì a Canterbury il 26 maggio del 604.
Oggi 27 maggio, detto il Veterano, era un soldato romano, fu accusato, di professare la fede cristiana, dinanzi a Massimo, governatore della seconda Mesia (attuale Bulgaria). Massimo durante l’interrogatorio le chiese se la cosa fosse vera di cui era accusato, Giulio rispose: «Si, sono cristiano, non posso negare ciò, che forma la mia speranza, il mio conforto, la mia gloria». Le chiese ancora, il governatore se fosse al corrente degli ultimi ordini degli imperatori, i quali volevano che tutti i sudditi dell’impero romano sacrificassero agli dei? Rispose: «Io so di questi ordini, ma torno a ripetere sono cristiano, non posso negare la fede di Dio vivo e vero». Massimo incalzò nel dirle: «Prendi un pò di incenso e brucialo sull’ara dei nostri Numi e poi puoi andartene sicuro». Ma Giulio rispose con fermezza: «Massimo, tu t’inganni, io non posso trasgredire i comandamenti di Dio, per 26 anni ho servito nella milizia degli imperatori e non fui mai accusato di nessuna mancanza, mai non ebbi a comparire dinanzi a un giudice. Nel tempo che militavo eseguì sempre con fedeltà gli ordini dei miei comandanti; a nessuno fui inferiore, nelle fatiche o nel combattere valorosamente contro i nemici. Se io sono stato sempre così diligente in tutte queste cose, che riguardano l’omaggio, che devo agli uomini, pensate quanto sarò fedele nelle cose della Religione, che importano sommamente, ed appartengono alla fede, che darmi all’unico e vero Dio?». Non cedendo alle sue lusinghe, il governatore, gli promise una somma considerevole di denaro qualora avesse sacrificato agli dei, ma ancora una volta Giulio non cedette. Massimo allora pronunziò la sentenza di morte per decapitazione. Morì il 27 maggio 302 d.C.