Oggi 29 aprile la chiesa celebra santa Caterina da Siena (al secolo Caterina Benincasa), nacque a Siena il 25 marzo 1347, in una numerosa e modesta, ma non povera famiglia. A 6 anni sostiene di vedere, sospeso in aria sopra il tetto della basilica di San Domenico, Gesù seduto su di un bellissimo trono, insieme ai santi Pietro, Paolo e Giovanni. A 7 anni, fa voto di verginità. Quando Caterina raggiunse 12 anni, i genitori iniziarono varie trattative per concludere un matrimonio vantaggioso per la figlia. All’inizio Caterina sembrò accondiscendere, ma poi, pentitasi, dichiarò che si era votata al Signore e che non intendeva ritirare la parola data. Ad ogni modo, pur di non concedere la sua mano, giunge a tagliarsi completamente i capelli, coprendosi il capo con un velo e chiudendosi in casa. Considerata affetta da una sorta di fanatismo giovanile, per piegarla la costringono a pesanti fatiche domestiche. Un bel giorno, però, la considerazione dei genitori cambia: il padre osserva che una colomba si posa sulla sua testa, mentre Caterina era intenta a pregare, e si convince che il suo fervore non è solo il frutto di un’esaltazione ma che si tratta di una vocazione sentita e sincera. Caterina scese così nel concreto pensando di entrare fra le Terziarie Domenicane, che a Siena si chiamavano “Mantellate”, per il mantello nero che copriva la loro veste bianca. La giovane senese aveva da poco passato i 16 anni ed era quindi troppo giovane per garantire la perseveranza sotto la Regola dell’Ordine. Quindi la madre, spinta dalle insistenze della figlia, si decise ad andare a parlare alla priora delle “Sorelle della penitenza di san Domenico”, ma ne ebbe un rifiuto perché esse non erano solite ammettere le vergini all’abito, ma solo vedove o donne in età matura. Entrata a far parte delle Mantellate, Caterina non aveva esperienza di preghiere, adunanze e pratiche penitenziali. Ma era soprattutto la preghiera comune la cosa più difficile per lei. Infatti le preghiere erano per lo più in latino, come la Messa, ma Caterina, salvo il Pater e l’Ave, non sapeva né capiva altro. Chiede allora al Signore il dono di saper leggere, dono che miracolosamente le viene accordato. Intanto, prende anche ad occuparsi dei lebbrosi presso l’ospedale di Santa Maria della Scala. Scopre però che la vista dei moribondi e soprattutto dei corpi devastati e delle piaghe le genera orrore e ribrezzo. A 20 anni si priva anche del pane, cibandosi solo di verdure crude, non dormiva che due ore per notte. La notte di carnevale del 1367 le appare Cristo accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, e le dona un anello, sposandola misticamente. Nel 1375 è incaricata dal papa di predicare la crociata a Pisa. Mentre è assorta in preghiera nella chiesa di Santa Cristina, riceve le stimmate che, come l’anello del matrimonio mistico, saranno visibili solo a lei. Nel 1376 è incaricata dai fiorentini di intercedere presso il papa per far togliere loro la scomunica che si erano guadagnati per aver formato una lega contro lo strapotere dei francesi. Caterina si reca ad Avignone con le sue discepole, un altare portatile e tre confessori al seguito, convince il papa, ma nel frattempo è cambiata la politica e il nuovo governo fiorentino se ne infischia della sua mediazione. Però, durante il viaggio, convince papa Gregorio XI a rientrare a Roma. Nel 1378 è convocata a Roma da Urbano VI perché lo aiuti a ristabilire l’unità della Chiesa, contro i francesi che a Fondi hanno eletto l’antipapa Clemente VII. Scende a Roma con discepoli e discepole, lo difende strenuamente, morendo sfinita dalle sofferenze fisiche mentre ancora sta combattendo. Morì il 29 aprile 1380, a 33 anni; patrona delle infermiere e compatrona d’Italia e d’Europa.
29 aprile: san Severo di Napoli, il suo episcopato data dal febbraio 363 circa al 29 aprile 409 e s’inserisce d’autorità nella storia napoletana all’indomani di complesse vicende religiose e civili; fu certamente un periodo in cui le due religioni, pagana e cristiana, furono costrette a convivere, ed i rigurgiti del paganesimo erano frequenti. Scarse sono le notizie sulla vita di Severo, ma in un’importante testimonianza se ne descrive lo spessore umano e religioso: una lettera a lui indirizzata da sant’Ambrogio da Milano nel 393, che ebbe occasione di conoscerlo durante il Concilio plenario campano, tenutasi nel 392 a Capua. Anche il pagano Quinto Aurelio Simmaco, praefectus urbi, riconosce le qualità di Severo, come dimostra una sua lettera del 397-8 al console napoletano Decio Albino. L’episcopato severiano è caratterizzato da una forte spinta evangelizzatrice, concretizzatasi nella costruzione di diversi edifici di culto, tra cui la basilica di San Giorgio Maggiore dove, sotto la mensa dell’altare maggiore, sono tuttora conservate le spoglie del santo e del battistero di Napoli, anteriore di circa 30 anni a quello eretto al Laterano da Sisto III, perciò considerato il più antico dell’Occidente. Ha riportato a Napoli i resti del suo predecessore san Massimo di Napoli, che era morto in esilio in Oriente, durante la persecuzione ariana. A Severo, inoltre, secondo la leggenda devozionale, è legato il primo dei cosiddetti “miracoli della liquefazione del sangue di san Gennaro”. Una ‘Vita’ leggendaria di Severo scritta nell’XI secolo, riporta un miracolo operato in vita dal santo vescovo: non potendo aiutare in altro modo una povera vedova con piccoli figli, minacciata di schiavitù da un uomo, che pretendeva di essere pagato un debito del defunto marito; allora Severo lo condusse con sé, insieme al clero e molto popolo, al sepolcro del defunto, richiamandolo in vita e da lui pubblicamente fece sbugiardare il pretendente, perché non gli doveva niente; patrono secondario di Napoli e patrono principale della città di San Severo in Puglia.