a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 9 marzo la chiesa festeggia santa Francesca Romana (al secolo Francesca Ponziani), nacque Roma nel 1384, dalla nobile famiglia Bussa de’ Leoni. Dalla più tenera età, seguiva la madre nelle pratiche di devozione, come l’astinenza, le preghiere, le letture spirituali e le visite a chiese dove potessero guadagnare indulgenze. Voleva consacrarsi al Signore, avendo cominciato presto a frequentare la basilica di Santa Maria Nova retta dai benedettini di Monte Oliveto (olivetani). Ad 11 anni, manifestò il desiderio di consacrarsi a Dio con il voto di verginità. Il padre, però, si oppose a questi infantili progetti, in quanto Francesca era già stata promessa in matrimonio a Lorenzo Ponziani, un giovane di nobile famiglia, dal buon carattere e una grande fortuna. Obbediente e docile, sposò, a soli 12 anni, il fidanzato scelto dal padre, dal quale ebbe tre figli, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Ines. Francesca fu sempre una sposa esemplare. Per desiderio del marito, si presentava in pubblico con il rango di dama romana, usando bei gioielli e sontuosi vestiti. Sotto questi, però, vestiva una rozza tunica. Dedicava alla preghiera le sue ore libere e non trascurava mai le pratiche di vita interiore. Tre anni dopo il suo matrimonio, contrasse una grave infermità che si prolungò per dodici mesi. Francesca, tuttavia, non aveva alcun timore, perché aveva messo la propria vita nelle mani di Dio. In questo periodo di prova, per due volte le apparve sant’Alessio, che pose il suo mantello dorato su di lei e le restituì la salute. Una volta ristabilita, decise, con la cognata Vanozza, di condurre una vita più conforme al Vangelo, rinunciando ai divertimenti inutili e dedicando più tempo alla preghiera e alle opere di carità. Fu in quest’epoca che Dio le inviò un Angelo per guidarla nella via della purificazione. Lei non lo vedeva, ma lui rimaneva costantemente al suo fianco e si manifestava per mezzo di segnali chiari. Oltre ad essere amico e consigliere, era un vigile ammonitore, che la castigava ogni volta che commetteva qualche piccola mancanza. La Chiesa stava allora attraversando uno dei periodi più tremendi della sua storia, quello dello Scisma d’Occidente. Roma era divisa in due gruppi che avevano ingaggiato un’accanita guerra: a favore del Papa, gli Orsini, della cui fazione Lorenzo faceva parte, e i Colonna, che appoggiavano Ladislao Durazzo, re di Napoli, che invase Roma tre volte. Durante il primo attacco, Lorenzo fu gravemente ferito in combattimento, ma guarì grazie alla fede e alla dedizione della moglie. La seconda volta, nel 1410, le truppe saccheggiarono Palazzo Ponziani, confiscando i beni della famiglia e mandando in esilio Lorenzo e il figlio Giovanni Battista. Nel 1413 e 1414, Roma fu saccheggiata e ridotta alla miseria e Francesca distribuì ai poveri il frumento dei suoi granai e il vino delle sue cantine e arrivò mendicare per poterli soccorrere; prestava poi assistenza ai malati negli ospedali di Santa Cecilia, di Santo Spirito, e soprattutto di Santa Maria in Cappella presso casa sua. Il 15 agosto 1425 fondò in Santa Maria Nuova le Oblate di Monte Oliveto che inizialmente vivevano nella propria famiglia, ma senza emettere voti solenni, dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità. Nel marzo 1433, acquistò l’immobile chiamato Tor de’ Specchi ai piedi del Campidoglio, e con dieci Oblate di Maria furono rivestite dell’abito e vi si stabilirono, in regime di vita comunitaria, dove tre anni dopo le raggiunse Francesca in seguito alla morte del marito Lorenzo e assunse la guida della congregazione. Morì il 9 marzo 1440; patrona delle vedove e degli automobilisti.
9 marzo: santa Caterina da Bologna (al secolo Caterina de’ Vigri), nacque a Bologna l’8 settembre 1413. Fin da piccola viene educata a Bologna dalla madre, donna di grande fede, e da parenti, per via delle molte assenze del padre, il quale però vuole che impari anche il latino. Nel 1424, si trasferisce con lei a Ferrara quando aveva 11 anni ed entra alla corte estense come damigella d’onore di Margherita d’Este, figlia naturale di Niccolò III. A Ferrara Caterina non risente degli aspetti negativi, che comportava spesso la vita di corte; gode dell’amicizia di Margherita e ne diventa la confidente; arricchisce la sua cultura: studia musica, pittura, danza; impara a poetare, a scrivere composizioni letterarie, a suonare la viola; diventa esperta nell’arte della miniatura e della copiatura; perfeziona lo studio del latino. Nel 1427, a soli 14 anni, anche in seguito ad alcuni eventi familiari, Caterina decide di lasciare la corte, per unirsi a un gruppo di giovani donne provenienti da famiglie gentilizie che facevano vita comune, consacrandosi a Dio. La madre, con fede, acconsente, anche se avesse altri progetti su di lei. Tra il 1429 e il 1430 la responsabile del gruppo, Lucia Mascheroni, decide di fondare un monastero agostiniano. Caterina, invece, con altre, sceglie di legarsi alla regola di santa Chiara d’Assisi, approvata da papa Innocenzo IV, dando inizio alla vita claustrale nel monastero del Corpus Domini dove rimase fino al vi rimase fino al 22 luglio 1456. La comunità abita nei pressi della chiesa di Santo Spirito annessa al convento dei Frati Minori che hanno aderito al movimento dell’Osservanza, così Caterina e le compagne possono così partecipare regolarmente alle celebrazioni liturgiche e ricevere un’adeguata assistenza spirituale. In convento, Caterina, nonostante fosse abituata alla corte ferrarese, svolge mansioni di lavandaia, cucitrice, fornaia, ed è addetta alla cura degli animali. Compie tutto, anche i servizi più umili, con amore e con pronta obbedienza, offrendo alle consorelle una testimonianza luminosa. In seguito le viene affidato il servizio del parlatorio. Le costa molto interrompere spesso la preghiera per rispondere alle persone che si presentano alla grata del monastero, ma anche questa volta il Signore non manca di visitarla ed esserle vicino. Con lei il monastero è sempre più un luogo di preghiera, di offerta, di silenzio, di fatica e di gioia. Alla morte dell’abbadessa, i superiori pensano subito a lei, ma Caterina li spinge a rivolgersi alle Clarisse di Mantova, più istruite nelle costituzioni e nelle osservanze religiose. Nel 1456, al suo monastero è richiesto di creare una nuova fondazione a Bologna, un insistente invito della cittadinanza e delle autorità civili e religiose. Caterina preferirebbe terminare i suoi giorni a Ferrara, ma il Signore le appare e la esorta a compiere la volontà di Dio andando a Bologna come abbadessa per fondarvi il monastero del Corpus Domini. Si prepara al nuovo impegno con digiuni, discipline e penitenze. Si reca a Bologna con diciotto consorelle. Da superiora è la prima nella preghiera e nel servizio; vive in profonda umiltà e povertà. Allo scadere del triennio di abbadessa è felice di essere sostituita, ma dopo un anno deve riprendere le sue funzioni, perché la nuova eletta è diventata cieca. Sebbene sofferente e con gravi infermità che la tormentano, svolge il suo servizio con generosità e dedizione. All’inizio del 1463 le infermità si aggravano; riunisce le consorelle un’ultima volta nel Capitolo, per annunciare loro la sua morte e raccomandare l’osservanza della regola. Verso la fine di febbraio è colta da forti sofferenze che non la lasceranno più, ma è lei a confortare le consorelle nel dolore, assicurandole del suo aiuto anche dal Cielo. Morì il 9 marzo 1463.
9 marzo: santi 40 Martiri di Sebaste, quando il crudele Licinio, che era stato associato all’imperatore san Costantino, mise termine alla finzione e ruppe l’intesa con lui, pubblicò degli editti contro i cristiani e inviò in tutte le province dei magistrati incaricati di eseguire i suoi ordini, mettendo a morte tutti coloro che non volevano piegarsi. Il governatore designato per la Cappadocia e l’Armenia, Agricolao, era uno dei più zelanti esecutori degli editti di persecuzione e aveva convocato nella città in cui risiedeva, Sebaste, la XII Legione imperiale, guidata dal comandante Lisia e soprannominata Fulminante. 40 soldati di questa legione si rifiutarono di sacrificare agli idoli dell’impero e si dichiararono cristiani, dicendo: «Sono cristiano!». Agricolao, inizialmente, cercò di convincerli, lodando le loro particolari imprese e promettendo favori da parte dell’imperatore qualora si fossero sottomessi ai suoi ordine. I 40 gli risposero per mezzo della voce di uno solo di loro: «Se abbiamo combattuto valorosamente per l’imperatore della terra, con quanto più ardore combatteremo per il Sovrano dell’Universo». Gettati in prigione, i valorosi combattenti della pietà caddero in ginocchio, pregando il Signore di mantenerli saldi nella vera fede e di fortificarli nel combattimento. Mentre trascorrevano la notte cantando salmi, il Cristo apparve loro e disse: «Avete iniziato bene, ma la corona sarà concessa soltanto a chi resisterà sino alla fine!». Il giorno dopo, comparvero nuovamente davanti al governatore che tentò di conquistarli con le lusinghe; ma uno dei santi martiri, Candido, denunciò la sua falsa dolcezza, scatenando così l’ira del tiranno. Tuttavia, non potendo fare niente contro di loro, sino al momento del giudizio che doveva essere espresso dal comandante Lisia, Agricolao li condusse nuovamente in prigione. Dopo sette giorni, giunto Lisia a Sebaste, li fece comparire al suo cospetto, ma non ne cavò niente. Nella notte, i martiri furono ricondotti in prigione, nell’attesa di scegliere la pena da infliggere loro. Riunendo le risorse della sua immaginazione perversa, il governatore ordinò di denudarli e di lasciarli così sul lago ghiacciato che era nei pressi della città, affinché patissero una orribile morte, tra le molte sofferenze causate dal gelo. Appena fu nota la sentenza, i 40 fecero a gara a chi, per primo, deponeva la veste. Incoraggiandosi a vicenda, i 40 martiri avanzarono come un solo uomo sul ghiaccio, senza subire altra costrizione che non fosse la propria volontà e, durante tutta la notte, sopportarono la crudele morsa del vento, pregando il Signore che da 40 combattenti ne uscissero 40 vittoriosi. Mentre la notte avanzava, i loro corpi iniziavano ad indurirsi e il sangue a gelare nelle vene, provocando loro un terribile dolore al cuore. Uno dei martiri, vinto dal dolore, lasciò il lago e si precipitò verso il bagno surriscaldato, ma morì all’istante. Gli altri 39, addolorati della caduta del loro compagno, rafforzarono la preghiera mentre una grande luce attraversava il cielo, fermandosi al di sopra del lago e riscaldando i santi martiri. Davanti a tale meraviglia, uno delle guardie, Aglaio, ebbe la coscienza illuminata dalla fede e avanzò sul ghiaccio per raggiungere i martiri, gridando che anche lui era cristiano. Quando, il mattino dopo, Agricolao venne a conoscenza dell’accaduto, ordinò di trarre fuori i santi dal lago e di finirli, rompendo loro le gambe. Infine, comandò di gettare i corpi nel fuoco affinché non restasse alcuna traccia del loro glorioso combattimento.