Oggi 15 marzo la chiesa celebra san Zaccaria, 91º papa della Chiesa cattolica; nacque a Santa Severina (Crotone) nel 679, da una famiglia greca della Calabria, era stato diacono lavorando in stretta collaborazione con Gregorio III, al quale succedette il 29 novembre 741. La consacrazione avvenne il 10 dicembre, senza aspettare la conferma dell’esarca (primate) di Ravenna che a questa funzione era stato delegato qualche anno prima dall’imperatore. Il gesto non aveva però alcuna connotazione polemica o di sfida, in quanto il nuovo pontefice era comunque conosciuto come saggio diplomatico e persona conciliante. Durante il pontificato di Zaccaria, era re dei Longobardi Liutprando. Poco tempo prima il duca di Spoleto Trasamondo II aveva mostrato tendenze indipendentiste rispetto al monarca, trattando direttamente con il nuovo papa, cui aveva donato alcuni territori dell’Italia centrale. Liutprando aveva reagito invadendo Spoleto, ma appena rientrato nella sua capitale Trasamondo, che in passato era stato protetto da Gregorio III dall’ira di Liutprando, aveva ripreso Spoleto. Zaccaria scoprì che l’alleanza del suo predecessore con il duca di Spoleto non proteggeva le città papali dal re dei Longobardi, allora si trovò costretto a sospendere l’alleanza con Trasamondo e a rivolgersi direttamente al re Liutprando, che incontrò a Terni nella primavera del 742. Il pontefice ottenne la promessa della restituzione di tutti i prigionieri, dei quattro castelli occupati nella campagna romana e una tregua ventennale fra Roma ed i Longobardi. Liutprando morì nel gennaio 744. Gli successe Rachis, che confermò la tregua ventennale e nel 749, dopo un inizio di campagna militare in Italia centrale che ancora una volta Zaccaria riuscì a bloccare, si ritirò nell’Abbazia di Montecassino. Nel 751 il successore Astolfo conquistò Ravenna e le altre città, e mettendo fine all’Esarcato d’Italia, ma questa volta Zaccaria comprese che la fermezza del nuovo re non gli avrebbe consentito alcun margine di mediazione e non si mosse. Consapevole che Asfolfo avrebbe presto marciato verso Roma, Zaccaria si mise nuovamente in cerca di alleati. Tentò di rivolgersi ai Franchi. Pipino il Breve governava di fatto il regno al posto del legittimo sovrano merovingio Childerico III come «Maggiordomo di palazzo», ma egli aspirava al trono. Valutando le circostanze, Pipino inviò a Zaccaria alcune lettere e, all’insaputa del suo re, ma con il consenso di tutti i Franchi, inviò una delegazione a Roma, guidata da san Burcardo, vescovo di Würzburg e di Fulrado, abate di Saint-Denis, chiedendogli se il titolo di re appartenesse a chi esercitava il potere o a chi era di sangue reale. Il pontefice rispose che doveva essere re colui che esercitava il potere. Questa fu una sentenza che segnò i tempi: stabilì la fine della dinastia merovingia, incapace di governare da più di un secolo. Childerico III allora fu deposto mentre Pipino il Breve fu unto e incoronato, a Soissons, re dei Franchi, da san Bonifacio, vescovo di Magonza. I rapporti tra Roma e Costantinopoli rimasero buoni, nonostante la fede iconoclasta dell’imperatore Costantino V Copronico, forse proprio perché durante il pontificato di Zaccaria la questione dell’iconoclastia non venne mai affrontata a fondo. Abile amministratore, Zaccaria seppe controllare molto bene le milizie papali e l’amministrazione civile dell’Urbe. Sviluppò inoltre il sistema della domus cultae, l’assegnazione a fittavoli di terre incolte e abbandonate di proprietà della Chiesa. Fece restaurare e abbellire inoltre numerose chiese e in particolare il Palazzo del Laterano, dove riportò la residenza papale. Morì a Roma il 15 marzo 752, all’età di 73 anni.
15 marzo: san Longino (Gaio Cassio Longino), nacque nella città di Anxanum (oggi Lanciano), dove sarebbe tornato in vecchiaia, militò nella Legione Fretense, distaccata in Siria e nella Palestina attorno all’anno 30. Longino probabilmente è un nome fittizio che deriva dal greco λόγχη (lònche, lancia). Nessuno dei Vangeli canonici nomina la figura di Longino, ma Luca, Matteo e Giovanni parlano di un soldato che, prima che il corpo di Cristo fosse concesso a Giuseppe di Arimatea e Nicodemo per la sepoltura, per assicurarsi che Gesù fosse morto gli colpì il fianco con la lancia, da cui «uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). Secondo una tradizione orientale e greca, passata poi anche in occidente, racconta che Longino era malato agli occhi, ma il sangue di Gesù, schizzato su di essi, lo guarì, poi pose un pò del sangue di Cristo in un’ampollina e lo portò via con sé a Lanciano, dove fu martirizzato. Potrebbe essere una leggenda popolare nata per dire che la vista del sangue di Cristo, mentre era ai piedi della croce, gli aprì gli occhi alla fede cristiana. Secondo gli Acta Pilati Longino era inoltre il centurione al comando del picchetto di soldati posti a guardia del sepolcro di Cristo, che avevano anche assistito alla sua morte. In occidente la sua figura si fuse poi con quella del centurione romano, che al momento della morte di Gesù gridò: «veramente costui era Figlio di Dio» (Mt 27,54), e che successivamente, quando il corpo di Gesù doveva essere deposto dalla croce perché stava per iniziare il sabato, giorno di festa per gli ebrei, in cui non si potevano lasciare i cadaveri dei condannati a morte esposti per evitare di spezzargli le ossa delle gambe, come prescriveva la legge, per un atto di pietà, preferì colpirgli il costato con la lancia, dal quale sgorgò sangue e acqua. Comandò poi i soldati messi di guardia al sepolcro di Gesù, e dopo la sua Risurrezione, andò assieme alle altre guardie dai sommi sacerdoti a riferire l’accaduto. Questi tentarono di corromperli con doni e promesse affinché testimoniassero falsamente che i soldati di guardia al sepolcro si erano addormentati, permettendo che i seguaci di Gesù ne trafugassero il corpo, per poi dire che era risorto. Mentre gli altri soldati si lasciarono corrompere, Longino rifiutò di dire il falso, anzi contribuì a diffondere a Gerusalemme il resoconto della Resurrezione di Cristo. Per questo motivo cadde in disgrazia agli occhi dei notabili della città, che decisero di farlo uccidere, il centurione però avendo scoperto questo disegno, lasciò l’esercito romano assieme a due commilitoni e ritornò in Italia da Gerusalemme, nella sua città natale Anxanum (l’attuale Lanciano), qui avrebbe predicato e donato tutti i suoi averi ai poveri, prima di essere catturato e giustiziato per decapitazione; patrono dei militari e ciechi.
15 marzo: santa Luisa de Marillac, nacque a Ferrières-en-Brie (Francia) il 12 agosto 1591, da una nobile famiglia, ma nasce fuori del matrimonio, da Luigi de Marillac, signore di Ferrières, che la riconoscerà come “figlia naturale” con atto notarile solo tre giorni dopo la nascita e le assegna una rendita, e da madre ignota, probabilmente una domestica. Quando Luigi de Marillac si risposò, il 15 gennaio 1595, aveva posto la piccola Luisa a pensione nel monastero reale di San Luigi di Poissy, retto dalle domenicane, dove le insegnarono a conoscere Dio, a leggere e scrivere e a dipingere. Le diedero poi una solida formazione umanistica, sotto la guida di una delle sue zie, madre Luisa di Marillac. Ben presto Luisa venne inviata, in una pensione per ragazze, a Parigi, probabilmente da Michele di Marillac, futuro cancelliere di Francia, che divenne suo tutore dopo la morte di Luigi di Marillac, il 25 luglio 1604. In questo periodo Luisa conobbe la sua origine e ne soffrì, acquisendo nel contempo numerose competenze domestiche di base e sviluppando capacità relative all’organizzazione e maturando il proposito di farsi religiosa. Allora frequentava le cappuccine del Quartiere Saint-Honoré, le “Figlie della Croce” e, pensando di diventare una di esse, fece voto di servire Dio ed il prossimo. Ma Charles Bochard de Champigny, provinciale dei cappuccini nel 1612, tenendo conto della debole costituzione di Luisa, le consigliò di non farsi cappuccina, assicurandole che Dio aveva per lei un “altro progetto”. Così i parenti decisero di farle sposare il segretario della regina madre, Maria de’ Medici. Il 5 febbraio 1613, Luisa sposò, Antoine Le Gras; dal matrimonio, nel 1614, nasce il figlio Michele, fonte di tante preoccupazioni per Luisa. Nel 1622 Antoine cadde gravemente malato e in più le sopraggiunte difficoltà finanziarie turbarono quasi sul nascere l’armonia tra i due coniugi, al punto che Luisa pensò alla separazione. I frequenti colloqui con san Francesco di Sales, che aveva incontrato la prima volta a Parigi nel 1618, l’aiutarono a superare questo difficile momento. Luisa conobbe un lungo periodo di depressione spirituale, perché credeva che Dio l’avesse punita con la malattia del marito per non essersi data a Lui come aveva promesso, quando era più giovane. Nel 1623, mentre pregava, il giorno di Pentecoste, nella Chiesa di Saint Nicolas des Champs, vive un’esperienza illuminante che irradia la sua vita e la prepara ad affrontare le successive difficoltà e la orienta nelle scelte da compiere, da quel giorno acquistò la certezza che il suo posto era al capezzale del marito e che sarebbe venuto un tempo in cui avrebbe potuto pronunciare i voti, vivere in comunità, e trovare un nuovo direttore spirituale. In questa illuminazione, scorse un sacerdote, che riconobbe più tardi come san Vincenzo de’ Paoli, suo futuro confessore e collaboratore nel servizio. Nel 1624 incontrò con san Vincenzo de’ Paoli che dà inizio al lungo periodo di direzione spirituale che durerà tutto il resto della vita. Poco dopo, nel dicembre 1625, morto il marito, per tubercolosi, ed entrato in seminario il figlio Michele. Gli anni 1626-1628 sono un periodo di lenta e profonda maturazione spirituale che portano Luisa ad una scelta importante: dedicarsi totalmente al servizio dei poveri. Il 29 novembre 1633 con altre compagne dà inizio alla “Compagnia delle Figlie della Carità”, di cui è riconosciuta cofondatrice assieme a san Vincenzo. Morì il 15 marzo1660; patrona degli assistenti sociali.
15 marzo: san Clemente Maria Hofbauer (al secolo Jan Hofbauer), nacque a Taßwitz (Repubblica Ceca) nel 26 dicembre 1750, all’età di 7 anni gli morì il padre; allora la madre, una donna di profonda fede, porta il piccolo davanti al crocifisso e indicandolo disse al figlio: «D’ora innanzi questo sarà il tuo papà». Fin da bambino rivelò una inclinazione particolare al raccoglimento e la preghiera, e manifestò anche il desiderio di farsi prete, ma le condizioni economiche della madre non glielo permettevano. Per questo, quando aveva 16 anni lavorò come apprendista in un panificio, e dopo, a 20 anni, come fornaio nel monastero dei Premostratensi di Louka presso Znojmo. Lasciato il lavoro e gli studi che i monaci gli permettevano, fece un pellegrinaggio a piedi fino Roma, dove si ritirò come eremita nel santuario di Santa Maria di Quintiliolo (Tivoli), qui gli cambiano il nome con quello di Clemente Maria, ma dopo sei mesi di questa esperienza religiosa ritornò in patria. Riprese il lavoro di panettiere nel monastero, ma iniziò anche a studiare il latino. Alcuni anni dopo venne assunto in una prestigiosa panetteria di Vienna dove, con l’aiuto di due ricche signore, riuscì a riprendere gli studi presso l’Università. A 33 anni intraprese un nuovo viaggio in Italia assieme ad un compagno, il servo di Dio Taddeo Hübl, qui incontra la comunità dei Padri Redentoristi e presso di essa venne ordinato sacerdote, nel 1785. Dopo l’ordinazione sacerdotale furono inviati nel nord per portare il carisma della Congregazione del Santissimo Redentore nel centro Europa. Clemente e Taddeo arrivarono a Varsavia e per più di 20 anni fecero il lavoro pastorale della Chiesa di San Bennone. Qui la comunità subì parecchie vicissitudini, quattro compagni morirono avvelenati da un prosciutto regalato al convento, un altro venne ucciso a bastonate, in simili condizioni riuscirono comunque ad avviare un’opera caritativa accogliendo gli orfani e aiutando i poveri, per mantenere i quali Clemente dovette anche elemosinare e fare il garzone panettiere di notte. La loro attività a Varsavia si interruppe 20 anni dopo quando, nel 1808, furono arrestati, processati e condannati all’espulsione dal paese. Clemente ritornò a Vienna, continuando la sua opera di evangelizzazione, particolarmente tra i giovani e gli studenti. Tutti, anche i protestanti, sono attratti da quel prete che non fa miracoli, non dice niente di straordinario, con un carattere un poco burbero ed irascibile che certo non aiuta, ma è di una fede e di una pace che conquistano. Morì a Vienna il 15 marzo 1820, patrono dei fornai.