Oggi 17 maggio la chiesa celebra san Pasquale Baylón (Pascual Baylón Yubero), nacque a Torrehermosa (Spagna) il 16 maggio 1540, da una famiglia di umile condizione. I suoi genitori l’avevano avviato al lavoro in tenera età, mandandolo dietro il gregge di famiglia e più tardi come garzone di un ricco allevatore. La sua preparazione scolastica fu rudimentale, imparò a leggere da solo, esercitandosi sui libri di preghiere, mentre pasceva il gregge di famiglia o di altri. Era tanto devoto quanto scrupoloso, assiduo nella preghiera, ma anche preoccupato di rifondere i danni causati dal passaggio delle pecore nei vigneti altrui. A 18 anni chiese di essere ammesso al noviziato presso il convento di Santa Maria di Loreto della Congregazione dei Frati Minori riformati alcantarini, fondati da san Pietro d’Alcantara, ma gli venne opposto un netto rifiuto, sarà ammesso solo due anni dopo. Nel frattempo, lavorando presso il ricco allevatore Martino Garcia, che lo aveva preso a ben volere, rifiutò l’offerta di quest’ultimo di divenire suo erede. Infine la fama della sua santità, e di alcuni prodigi compiuti, gli aprì le porte del convento di Santa Maria di Loreto, a 21 anni, dove poté emettere i voti religiosi il 2 febbraio 1564, come “fratello laico”, non sentendosi degno di aspirare al sacerdozio. Fin dall’inizio della sua vita religiosa trascorreva lunghe ore in preghiera, inginocchiato sulla nuda terra davanti al Santissimo Sacramento, qualche volta fino a notte inoltrata o addirittura all’alba; mostrava inoltre grande devozione nel servire la Messa. In contrasto con la sua ammirevole vita claustrale, un episodio avvenuto durante la “guerra di religione” ce lo mostra sotto una luce diversa ma non meno degna. Fu inviato, nel 1576, in Francia a portare una lettera al ministro generale dell’Ordine dei francescani riformati e non sappiamo come o perché fu scelto lui, né se quelli che lo mandarono erano informati dei pericoli. Pasquale viaggiò fino alla città di Orléans senza conoscere, evidentemente, alcuna parola francese e, malgrado i pericoli, riuscì a consegnare le lettere nonostante le ripetute incursioni degli ugonotti. Fu preso anche a sassate e una ferita alla spalla fu fonte di dolore per il resto della vita. Riuscì a far ritorno al suo convento e a riprendere la vita nascosta, come aveva fatto prima di questo viaggio, continuando, come molti altri fratelli laici francescani, ad aiutare i poveri e gli ammalati che venivano a chiedere aiuto al convento. Morì il 17 maggio 1592, a 52 anni, il giorno di Pentecoste, nel convento del Rosario di Villarreal; patrono dei congressi eucaristici e protettore dei cuochi e pasticcieri perché, secondo la leggenda, sarebbe l’inventore dello zabajone, il suo culto si diffuse a Napoli nel periodo della dominazione spagnola, nella tradizione popolare napoletana il nome di Pasquale Baylón è spesso accostato all’universo femminile quale santo protettore; da qui l’invocazione: «San Pasquale Baylonne protettore delle donne, fammi trovare marito, bianco, rosso e colorito, come te, tale e quale, o glorioso san Pasquale!».
17 maggio: santa Restituta d’Africa, nacque a Teniza (attuale Biserta in Tunisia) nel III secolo. Formatasi alla scuola di san Cipriano, vescovo di Cartagine, fece parte del gruppo dei martiri di Abitina, descritto nella Passio SS. Dativi, Saturnini et aliorum, redatta da Pio Franchi de’ Cavalieri. Durante la decima persecuzione anticristiana, ordinata dall’imperatore Diocleziano nel 304, un folto numero di cristiani, provenienti anche dalle vicine città di Cartagine e Biserta, continuarono a radunarsi nella città di Abitina in casa di Ottavio Felice, per celebrarvi il rito eucaristico, detto dominicum, sotto la guida del presbitero Saturnino. Una cinquantina di loro venne sorpresa dai soldati romani: furono arrestati, interrogati e quindi trascinati in catene a Cartagine. Il 12 febbraio 304 subirono l’interrogatorio rituale alla presenza del proconsole Anulino e, riconfermata la loro fede nonostante le torture, vennero condannati a morte: fra loro c’era anche Restituta. Tardive Passiones medievali, hanno completato gli scarsi dati storici citati: l’agiografo Pietro Suddiacono, descrisse il processo, la condanna e il martirio di Restituta che, stremata dalle torture, fu posta su di una barca carica di stoppa, impregnata di resina e pece; quando questa fu portata al largo dai carnefici e data alle fiamme, Restituta rimase illesa, mentre il fuoco annientò l’altra imbarcazione con i suoi occupanti. Restituta ringraziò il Signore e invocò che un angelo la accompagnasse durante la traversata: esaudita, riconoscente domandò di accedere alla pace eterna e serenamente spirò. Un’altra tradizione narra che la barca, guidata dall’angelo, approdò all’isola Aenaria, oggi detta Ischia, situata di fronte al golfo di Napoli, toccando terra nella località detta ad ripas, oggi San Montano. Viveva in quel luogo una matrona cristiana di nome Lucina: avvertita in sogno dall’’angelo, si recò sulla spiaggia, dove trovò l’imbarcazione arenata e in essa il corpo intatto e splendente di Restituta. Radunata la popolazione, venne data solenne sepoltura alla martire nel luogo detto Eraclius, alle falde dell’attuale Monte Vico in Lacco Ameno, dove sono conservati i ruderi di una basilica paleocristiana, e dove sorge oggi un santuario dedicato alla Santa. La leggenda racconta che quando la barca toccò la spiaggia, per miracolo questa si riempì di gigli bianchi: i gigli di santa Restituta; patrona di Ischia.
17 maggio: santa Giulia Salzano, nacque a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il 13 ottobre 1846, figlia di Diego Salzano, capitano dei lancieri, nell’esercito borbonico di Ferdinando I e di Adelaide Valentino, discendente della famiglia di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Rimasta orfana di padre a 4 anni, fu affidata alle Suore della Carità del Regio Orfanotrofio di San Nicola la Strada presso Caserta; dove stette fino all’età di 15 anni. Conseguito il diploma magistrale, insegnò nella scuola comunale di Casoria (Napoli), dove si era trasferita con la famiglia, dall’ottobre 1865. Su suggerimento del Venerabile cardinale Sisto Riario Sforza, contattò santa Caterina Volpicelli, per diffondere a Casoria l’opera delle Ancelle del Sacro Cuore. Giulia lasciò la scuola anticipatamente, a 36 anni, perché cominciò a maturare l’ideale della vita religiosa a partire dal 1882, guidata in questo cammino da san Ludovico da Casoria e da altri degni e santi sacerdoti. E con grande spirito profetico, ma anche con tante sofferenze, raccolse intorno a sé, nell’ottobre 1890, un gruppo di amiche, che costituirono il nucleo iniziale delle “Suore Catechiste del Sacro Cuore”, Congregazione che ha lo scopo primario di far conoscere ed amare Dio da tutti, mediante la devozione al Sacro Cuore ed alla Vergine Maria. Furono l’ignoranza, la povertà e l’avversione alla fede cristiana a far maturare l’esigenza di realizzare questo Istituto concepito appunto per appagare l’ansia di evangelizzazione di Giulia. Il 21 novembre 1905, Giulia e 7 compagne presero il velo, a loro in breve tempo si aggiunsero altre giovani e così si aprirono altre Case sempre nell’ambito napoletano. L’attività della Congregazione delle Suore Catechiste del Sacro Cuore era incentrata soprattutto sull’insegnamento catechistico e sulla devozione all’Eucaristia ed al Sacro Cuore; certamente in quei tempi così lontani, Giulia anticipò la spinta e l’importanza che oggi la Chiesa ha dato alla Catechesi, cioè a tutti i livelli e ad ogni ceto sociale; ogni giorno della settimana era impegnata nei vari incontri e quando qualche suora, vedendola affaticata e stanca, cercava di distoglierla, essa reagiva dicendo a tutte le suore che come Catechiste dovevano desiderare di morire sulla breccia, cioè facendo catechismo fino all’ultima ora. Le “Suore Catechiste del Sacro Cuore” ottennero il decreto di erezione diocesana dal cardinale Giuseppe Prisco, il 12 agosto 1920, le Costituzioni furono approvate da Roma il 4 febbraio 1922 ed il riconoscimento pontificio giunse il 19 marzo 1960. Nel febbraio del 1928 subì una crisi di angina pectoris e il suo stato apparve critico. Ma, dopo due settimane, il male si placò e lei poté a poco a poco riprendere le sue attività e prese perfino parte con le sue Suore Catechiste del Sacro Cuore al Congresso Catechistico Diocesano, indetto dall’arcivescovo di Napoli, per l’aprile di quell’anno. Giulia continuò il suo apostolato, dispensando consigli a quanti aprivano il loro cuore alla sua accogliente comprensione; per tutti, giovani, soldati, mamme, aveva parole di conforto ed incoraggiamento. Il 16 maggio 1929, raccolse ancora attorno a sé i fanciulli che venivano preparati alla Prima Comunione per esaminarli, il giorno dopo, fu colpita da un attacco cardiaco. Morì a Casoria il 17 maggio 1929.