Oggi 2 aprile si celebra san Francesco di Paola, nacque a Paola (Cosenza) il 27 marzo 1416, i genitori erano sposati senza figli da quindici anni e per ottenere la grazia di un figlio si rivolsero a san Francesco d’Assisi, al quale erano particolarmente devoti. Per questo motivo gli viene dato il nome di Francesco; questi sarà inoltre vestito, per un anno, con l’abito votivo francescano, per la guarigione ottenuta ad un occhio. Fin da piccolo, Francesco fu attratto dalla pratica religiosa, denotando umiltà e docilità all’obbedienza. A 15 anni viene accolto nel convento francescano di San Marco Argentano; qui il ragazzo dimostra la sua propensione alla vita di preghiera e avvengono i primi fenomeni miracolosi che gli daranno fama di taumaturgo. Trascorso un anno i frati avrebbero voluto trattenerlo con loro, ma Francesco desiderava conoscere anche altre modalità di vita consacrata prima di fare la sua scelta. Nel 1430, con la famiglia, compie un lungo pellegrinaggio ad Assisi, toccando Montecassino, Roma e Loreto. Tornato a Paola iniziò un periodo di vita eremitica in un bosco isolato, dove vive per alcuni anni dormendo sulla pietra e cibandosi di radici. Nel 1435, altri decidono di condividere la sua vita formando così il primo nucleo di quello che diverrà l’Ordine dei Minimi, nome che lo distingue da quello dei Minori di san Francesco d’Assisi. Nel 1470 viene fondato un convento a Paola, nel 1472 a Paterno Calabro, nel 1474 a Spezzano della Sila. Il 17 maggio 1474, papa Sisto IV riconosceva ufficialmente il nuovo ordine con la denominazione: Congregazione eremitica paolana di San Francesco d’Assisi. Il riconoscimento della regola di estrema austerità venne invece con papa Alessandro VI, in concomitanza con il mutamento del nome in quello di Ordine dei Minimi. Fiorirono, ai precedenti, altri conventi, nel 1476 a Corigliano Calabro e a Milazzo, e nel 1480 uno in Sicilia. Proprio per raggiungere la Sicilia Francesco compie il famoso miracolo dell’attraversamento dello Stretto di Messina sul suo mantello, dopo che il barcaiolo Pietro Coloso si era rifiutato di traghettare gratuitamente lui ed alcuni seguaci, che ha contribuito a determinarne la “nomina” a patrono della gente di mare d’Italia. Francesco è promotore di una azione di predicazione religiosa che si pone come difesa dei deboli, in un periodo caratterizzato dalle prepotenze dei baroni e dalla forte conflittualità tra la Corona aragonese e contro le rivendicazioni angioine. Senza fare differenze di ceto e di nascita, Francesco non fa mancare la sua voce di denuncia e nello stesso tempo di conforto ai tanti senza speranza e senza mezzi. Grande taumaturgo, a Francesco sono attribuiti un numero imprecisato di miracoli e di guarigioni che ancora oggi ne fanno uno dei santi più venerati in Italia e nel mondo. La sua fama giunge fino al re di Francia Luigi XI che lo chiama presso di sé nella speranza che lo possa guarire da una terribile malattia di cui è affetto. Ma Francesco rifiuta più volte nonostante le sollecitazioni del re di Napoli che sperava così di ingraziarsi il potente monarca francese che da tempo, vantando diritti dinastici per la sua parentela con gli Angiò, minacciava di invadere il regno. Francesco accetta di partire solo quando gli viene ordinato dal Papa. Il 2 febbraio 1483, ormai anziano, il frate parte da Paterno Calabro e si ferma a Napoli accolto festosamente dal popolo, dalla corte e dal re. A Roma incontra papa Sisto IV che gli affida delicati incarichi e arriva finalmente in Francia al Castello di Plessis-les-Tours dove Luigi XI si inginocchiò davanti a lui. Il re non otterrà la guarigione, ma morirà sereno. Francesco visse in Francia circa 25 anni e seppe farsi apprezzare dal popolo semplice come dai dotti della Sorbona. Nel 1498, alla morte di Carlo VIII, ascese al trono Luigi XII che, anche se Francesco chiedesse di tornare in Italia, non lo concesse. Trascorse gli ultimi anni in serena solitudine. Morì a Plessis-lez-Tours (Francia) il 2 aprile 1507, a 91 anni
2 aprile: sant’Abbondio di Como, pochissimo si conosce circa le sue origini, sono sconosciuti sia la data che il luogo di nascita. La tradizione ci riporta come se egli fosse nativo di Tessalonica. Sant’Amanzio, terzo vescovo di Como, aveva ordinato sacerdote Abbondio e già prima della morte lo aveva designato alla propria successione, consacrandolo vescovo il 17 novembre 440. Alla morte di Amanzio, nel 450 circa, Abbondio divenne così il quarto vescovo di Como. Nel V secolo si era diffusa nell’Impero romano d’Oriente la dottrina nestoriana, che sosteneva la presenza in Cristo di due persone distinte, l’una divina e l’altra umana. La dottrina era già stata condannata come eretica dal Concilio di Efeso del 431, ma la questione si era riaccesa, con il monofisismo, cioè la dottrina che sosteneva in Cristo una sola natura. Nel 449 si aprì un secondo concilio di Efeso, con l’intento di combattere queste eresie, ma inutilmente. Papa Leone inviò nel luglio 450 una nuova missione, capeggiata questa volta da Abbondio, per presentare al patriarca di Costantinopoli e ai vescovi orientali il Tomus ad Flavianum. È uno scritto mirabile, per ispirazione biblica ed acutezza teologica, con il quale Leone Magno interveniva nelle complesse questioni dottrinali sulla figura di Cristo, affermando con chiarezza la sua integra umanità e la sua piena divinità, in reciproca comunione. Missione che ottenne un certo successo, visto che agli imperatori, molto più che la purezza dottrinaria, interessava la preservazione e l’unità dell’Impero, già duramente provato dalle invasioni barbariche. Così si convocò un nuovo concilio a Calcedonia nel 451, il monofisismo venne condannato. Rientrato in Italia, dopo aver presentato il Tomus di Leone Magno anche ai vescovi convocati in sinodo a Milano nel 451. Negli anni successivi, Abbondio si dedicò al governo della diocesi di Como, impegnandosi soprattutto nella cristianizzazione del territorio. Il diplomatico e teologo tornò a fare il predicatore. Secondo la tradizione, Abbondio morì un giorno di Pasqua dopo la predica festiva, probabilmente nel 468 o 469.
2 aprile: san Pedro Calungsod, nacque a Ginatilan (Filippine) nel 1654 circa, fin da ragazzo frequentò la missione dei padri Gesuiti. Ben presto divenne catechista mettendosi al servizio dell’impegno di evangelizzazione che i discepoli di sant’Ignazio di Loyola avevano avviato nelle nuove terre scoperte dalla Spagna. Seguì il beato Diego Luis de San Vitores nella sua missione sull’isola di Guam, dove ottenne numerose conversioni. La vita nelle Isole Ladroni, che nel 1521 a causa del comportamento della popolazione così le chiamò Ferdinando Magellano, era veramente difficile, giungla troppo fitta, scogliere ripide, con frequenti e devastanti tifoni, approvvigionamenti per la missione non regolari; nonostante ciò la perseveranza dei missionari fu premiata con numerose conversioni. Il 2 aprile 1672 all’alba, il superiore della missione, il padre gesuita Diego Luis de San Vitores e il giovane catechista Pedro, di 17 anni, giunsero al villaggio di Tomhom nell’isola di Guam; lì seppero che era nata una bambina, figlia di Matapang, che un tempo era stato cristiano e amico dei missionari, ma che poi convinto dal guaritore cinese Choco, invidioso del loro successo, prese a spargere la voce fra gli indigeni, che l’acqua del battesimo fosse avvelenata, per cui alcuni bambini erano morti dopo aver ricevuto tale sacramento; per la verità questi bambini erano stati battezzati già gravemente ammalati e poi erano deceduti; ma questo bastò e molti gli credettero, rinnegando la fede cristiana e presero a perseguitare i missionari appoggiati da alcuni indigeni superstiziosi e di non retta condotta. Matapang rifiutò di battezzare la figlia, i missionari sicuri di poterlo convincere, radunarono i bambini e gli adulti del villaggio per pregare e cantare insieme e per parlare delle verità cristiane, invitandolo ad unirsi a loro, ma l’uomo rifiutò, gridando ed imprecando contro Dio ed i loro insegnamenti. Sempre più in preda all’odio si recò al villaggio per avere un appoggio per ucciderli, rivolgendosi ad un certo Hirao, il quale memore della bontà dei missionari in un primo momento rifiutò; nel frattempo padre Diego con il consenso della madre battezzò la bambina, quando Matapang apprese la notizia, prese a scagliare furiosamente numerose frecce contro Pedro. Il giovane catechista molto agile, riuscì in un primo momento a schivarle, poteva scappare del tutto, ma per non lasciare solo padre Diego, non lo fece, né si difese perché disarmato, come era regola per i catechisti; alla fine fu raggiunto da una freccia al petto cadendo stramazzato, padre Diego accorse e gli diede l’assoluzione sacramentale. Sopraggiunse Hirao che lo finì con un colpo alla testa, stessa sorte toccò a padre Diego Luis de San Vitores, ucciso con una lancia; i due cadaveri spogliati e sfregiati dalle loro poche cose, vennero portati al largo su una barca e gettati nell’Oceano. Morì a Tumon il 2 aprile 1672.
2 aprile: beato Leopoldo da Gaiche (al secolo Giovanni Croci), nacque a Gaiche di Piegaro (Perugia) il 30 ottobre 1732, da una famiglia di contadini benestanti e profondamente religiosi. Nella prima giovinezza Giovanni, mentre custodiva il gregge del padre, visitò il noviziato francescano di San Bartolomeo a Cibottola e ne restò profondamente colpito. Il parroco del vicino villaggio di Greppoleschieto, lo istruì nel catechismo, nelle materie letterarie e nel latino, i cui rudimenti erano indispensabili per poter essere ammessi in quel noviziato, dove entrò il 19 marzo 1751 mutando il nome in Leopoldo. Trascorso l’anno di prova, si trasferì nel convento della Santissima Annunziata di Norcia dove riprese gli studi, interrotti nell’anno precedente. Fu ordinato sacerdote il 5 marzo 1757. Lo studio approfondito delle materie letterarie, filosofiche e teologiche, nonché una curiosità poliedrica verso più campi del sapere, lo fecero destinare dai superiori all’insegnamento, prima della filosofia e poi della teologia, a cui si dedicò per vari anni. Ma la sua attività principale, svolta per circa cinquant’anni anche per le doti di oratore, fu la predicazione. Nella sua predicazione seguiva il metodo di san Leonardo da Porto Maurizio, teso a coinvolgere gli ascoltatori con una forte carica emotiva: si presentava avvolto da catene, con una corona di spine sulla testa e si flagellava recitando il Miserere. Eresse 73 Viae Crucis, ne restaurò moltissime e fece costruire spesso nei luoghi delle predicazioni croci commemorative. Occupò importanti uffici all’interno dell’Ordine dei frati minori, prima guardiano, poi custode e nel 1781 ministro della provincia umbra di Santa Chiara, esercitando un controllo attento attraverso frequenti circolari e visite. Avviò in tutti i conventi un corso straordinario di esercizi spirituali, invitando a tenerli i religiosi più autorevoli. In particolare ebbe a cuore l’educazione dei giovani, specie dei novizi, e cercò di migliorare il sistema degli studi e la preparazione all’attività della predicazione. Leopoldo scelse il convento di Monteluco (Spoleto) come ritiro, soprattutto per i predicatori, affinché riprendessero forze spirituali e fisiche nelle pause dell’attività, e ne scrisse le regole e le costituzioni, ricalcate su quelle di altre sedi francescane, ma con attenzione particolare alla disciplina. Con la soppressione napoleonica dei conventi, nel 1810, i frati vennero dispersi, ed egli peregrinò da un luogo all’altro della regione. Continuò comunque a predicare e a soccorrere i religiosi privati delle loro sedi. Il 10 ottobre 1814 tornò nel ritiro di Monteluco, pronunciando un discorso ai confratelli e rinnovando la professione dei voti, ma poco tempo dopo si ammalò e fu costretto al riposo. Morì a Monteluco il 2 aprile 1815.