a cura di Don Riccardo Pecchia
Oggi 20 dicembre la chiesa celebra san Domenico di Silos, nacque a Cañas (Spagna) nel 1000 circa, In gioventù fu pastore per poi entrare in una comunità monastica benedettina a San Millán de la Cogolla in Navarra. Ebbe un grande successo nella vita monastica, si impegnò in opere di riforma e divenne priore del suo monastero. Durante il suo mandato entrò in conflitto con il re, Garcia III di Navarra, che rivendicava la proprietà di alcuni possedimenti del monastero. Il monaco benedettino gli rispose, con umiltà ma anche con risolutezza, che le ricchezze dell’abbazia erano per i poveri e non per i Re. La risposta suscitò l’ira del Sovrano, il quale minacciò di strappare la lingua all’Abate ribelle. Non riuscì però a strappargli né quella, né i denari richiesti, ma scacciò Domenico e altri due monaci, che per fortuna furono accolti da Ferdinando I della Vecchia Castiglia, che li indirizzò al monastero di San Sebastiano a Silos, dove Domenico divenne priore. Il monastero tornò a fiorire diventando un centro di cultura, carità e religiosità. Con la Regola di Domenico, che svolse estesamente il ministero della preghiera e della cura delle anime, il declino si arrestò, poi iniziò una fase di progresso, e il convento divenne uno dei più famosi di Spagna. Ma l’opera più bella di Domenico di Silos fu il riscatto dei cristiani, caduti in mano ai Saraceni e fatti schiavi. Era uno dei problemi più dolorosi di quel tempo, nella penisola parzialmente occupata dagli Arabi, e quasi tutti i maggiori santi spagnoli di quel periodo dedicarono molte delle loro energie e dei loro mezzi all’opera dei riscatto dei cristiani schiavi, contro il pagamento di una mercede, o talvolta consegnandosi essi stessi in cambio dei prigionieri. Domenico morì, in questo centro monastico e che in seguito prese il suo nome Santo Domingo de Silos, il 20 dicembre 1073.
20 dicembre: beato Vincenzo Romano, nacque a Torre del Greco (Napoli) il 3 giugno 1751, da una famiglia tanto umile quanto religiosa, fin dall’infanzia coltivò una forte vocazione sacerdotale, maturata grazie alla formazione impartitagli da don Agostino Scognamiglio, pio sacerdote torrese. Dopo aver superato difficili prove, a causa dell’elevato numero dei seminaristi e del clero locale, all’età di 14 anni fu ammesso al Seminario Diocesano di Napoli, dove poté giovarsi della guida di uomini di cultura e di santità, dei consigli del beato Mariano Arciero, suo padre spirituale, e degli insegnamenti di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Diventò sacerdote il 10 giugno 1775. La terribile eruzione del Vesuvio del 15 giugno 1794, distrusse quasi completamente la città e la chiesa parrocchiale, mise in luce la sua fibra apostolica. Dal 1796 al 1831 resse, prima come Economo Curato e poi dal 28 dicembre 1799, alla morte del parroco, don Vicienzo, così chiamato affettuosamente dal popolo, diventa parroco di Santa Croce in Torre del Greco, dove iniziò un lavoro sempre più vasto ed impegnativo essendo l’unico della città: celebrava messe, insegnava catechismo, amministrava sacramenti, predicava, dava consigli e ammonimenti, confortava, visitava chiese, poveri e ammalati, raccomandava bisognosi presso famiglie abbienti; impose ai padroni di barche contratti più giusti per i marinai. E non si curò solo dei cittadini vicini, ma anche di quelli lontani, creando cappellani di bordo che assistessero moralmente spiritualmente i marinai durante la navigazione. Grazie al suo incessabile ed infaticabile lavorare a favore dei poveri, dei malati, dei marittimi e dei bisognosi d’ogni sorta, si guadagnò dalla popolazione locale l’appellativo di “prevete faticatore”. Durante i 33 anni, di ministero si occupò con cristiana carità della formazione dei ragazzi, della cura dei malati, dell’assistenza dei bisognosi e addirittura dello scovare i rifugi dei malviventi; la proclamazione del Vangelo a tutti, però, era la sua vera missione, tanto da inventare la “sciabica” che consisteva nell’andare con crocifisso e campanello incontro alle persone, predicare e poi accompagnarli nella chiesa più vicina. Colpito da diversi acciacchi, ridotto ad usare le grucce per la frattura del femore sinistro, morì il 20 dicembre 1831, a 80 anni di età; patrono del Clero di Napoli, dei malati di tumore alla gola.